Economia astrologica o astrologia economica?

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“Paragonare la previsione economica all’astrologia è un insulto sì, ma per gli astrologi”. Andrè Gunder Frank

Il neoconsigliere economico di Draghi è il prof. Francesco Giavazzi. Economista competente che, tra il 2007 e il 2008, si lanciò in grandi rassicurazioni circa l’estendersi della crisi economica a livello mondiale:
“la crisi del mercato ipotecario americano è seria, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata. Nel mondo l’economia continua a crescere rapidamente. La crescita consente agli investitori di assorbire le perdite ed evita che il contagio si diffonda”.
Inoltre, all’indomani del fallimento della Lehman Brothers, Giavazzi si disse sicuro che sarebbe stato il mercato a mettere riparo alla situazione, senza alcun intervento del governo americano. Il mercato fa, il mercato disfa e rifà. Ma il mercato trattato alla stregua di una entità metafisica ed estraeconomica è solo un rifugio per gli ottusi con alto quoziente intellettivo. Giavazzi fu prontamente smentito dai fatti e dai miliardi di dollari che l’amministrazione Usa fece piovere sull’economia statunitense per salvare il suo sistema finanziario e alleggerire anche le conseguenze che, presto o tardi, si sarebbero riverberate sull’economia reale. Da quella crisi non si è, in verità, mai del tutto usciti, tanto che anni dopo si cominciò a parlare di stagnazione addirittura secolare. Gli economisti sono fatti così, dal “non è nulla” a “sarà lunga” è un passo.
Gianfranco la Grassa, il quale non ci tiene ad essere chiamato economista per non essere anche meno di un astrologo, in quegli anni, gli stessi in cui imperversavano (e ancora imperversano, purtroppo) i competentissimi alla Giavazzi, paragonò la crisi in corso alla grande stagnazione iniziata nel 1870: “…Si trattò della fase in cui si andarono preparando eventi estremamente drammatici quali quelli che si produssero nella prima metà del secolo XX: le grandi crisi economiche (soprattutto, come già detto, quella del ’29) e, in particolare, le due guerre mondiali…A partire dalla seconda metà del XIX secolo, e specialmente dal 1870, si accentuò lo scontro tra i vari paesi capitalistici avanzati per la conquista delle colonie; e per la redistribuzione di quelle già acquisite (ci si ricordi che anche la Francia aveva possessi coloniali di rilievo pur se si era indebolita, come già messo in luce, con la sconfitta nella guerra del 1870-71)…la lunga depressione del 1873-96 è stata il sintomo (e l’effetto) della messa in discussione della primazia inglese, dell’ascesa di alcune nuove potenze ormai concorrenti nell’aspirazione a prevalere”. Mutatis mutandis, possiamo fare dei parallelismi con la situazione odierna, dal momento in cui la superpotenza statunitense (proprio come quella inglese al calar del XIX secolo), fatica a conservare un primato mondiale che però, fondamentalmente, resta tale. Gli Usa mantengono un notevole gap sugli altri paesi e ciononostante si determina una iniziale crisi di sregolazione, del sistema internazionale, che preannuncia ben altri conflitti. Per adesso l’opposizione tra player geopolitici si manifesta maggiormente sul lato finanziario, ma quando gli scarti di potere, tra gli Usa ed il resto del mondo, si saranno accorciati, le tensioni assumeranno la loro precipua veste politica e militare. Quando saremo più vicini a questo stato di fatto la crisi risulterà irricomponibile, nessuna riforma potrà salvare un sistema superato nelle sue stesse gerarchie e dipendenze, verrà squarciato il velo di sofisticazioni economiche che rivestono la crosta delle relazioni tra le nazioni ed i nudi rapporti di forza usciranno nuovamente allo scoperto. Difatti, l’epoca della grande depressione, volendo restare al paragone storico precedente, cioè quella della fine degli anni ’20 del secolo XX, coincide con il conclamato indebolimento e poi declino di Londra. Questo decadimento però era cominciato da più lontano, dalla stagnazione di fine ‘800, si era poi inasprito con una guerra mondiale, a cui era seguita un’altra depressione profondissima e quest’ultima si era risolta, a sua volta, in una seconda guerra generalizzata che doveva mettere fine alla supremazia dell’impero inglese sul globo, a favore di Usa (nel campo occidentale) e Urss (in quello orientale). Senza essere troppo teleologici, né nella narrazione degli eventi passati (ai quali risaliamo post festum), né di quelli futuri (quindi non escludendo a priori che gli Usa stiano andando incontro a questo destino ma nemmeno dandolo per scontato) parrebbe di essere sulla soglia di un’epoca di ulteriore scoordinamento, i cui risvolti sono intuibili con approssimazione ma non definibili con certezza…Oggi, come per il periodo 1873-96, il rafforzamento di potenze che rimettono in discussione il loro rango nel consesso globale innesca la destabilizzazione dello statu quo…Non dico nulla sull’eventualità di qualche improvviso botto finanziario con “grande crisi” tipo ‘29. Mi spendo invece per un vigoroso regolamento di conti – in tempi e con modalità non prevedibili; salvo predire una netta diversità rispetto alle guerre mondiali del XX secolo – che forse riporterà verso situazioni di migliore coordinamento; ma attraversando un periodo di gravi eventi traumatici di difficile sopportazione a causa della loro sempre più sconvolgente drammaticità”.
Qualche anno dopo, ma eravamo già nel 2015, Padoan, Ministro dell’Economia nel Governo Renzi, dichiarò in un convegno della Confindustria di essere “tra quelli che ritiene che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina”. Finalmente, ci erano arrivati anche loro con un decennio di ritardo.
Mentre Giavazzi si autocompiaceva intellettualmente per compiacere i centri ufficiali e accademici che distribuiscono riconoscimenti su base ideologica, in un circolo vizioso di crescente incomprensione dei fenomeni reali, qualcuno aveva inutilmente chiamato la categoria ad un minimo di resipiscenza, ovviamente inesaudita. Krugman ci andò giù pesantemente scrivendo sul NYT: “questa crisi economica era per gli economisti l’occasione per giustificare la loro ragione di essere, per noi scribacchini accademici era il momento di mostrare cosa sanno fare i nostri modelli e le nostre analisi”. Gli scribacchini accademici fallirono “Perché chiusi nella loro ortodossia e impermeabili a nuovi approcci; e pure senza passato, perché ignorano la lezione dei classici”. Tra quest’ultimi classici bistrattati c’è sicuramente Keynes, il quale sembra che non sia mai esistito, eppure la sua scuola ha a lungo dominato il ‘900. Oggi siamo al suo rinnegamento da parte di gente che non ne azzecca una. Come Giavazzi. E’ proprio necessario ricorrere ad un simile consigliere? Non era meglio un astrologo per l’esecutivo di un’altra figura magica come Draghi?