EPISTOLA DI UN PISTOLA. POROSHENKO SCRIVE AL WSJ
Il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha inviato una lettera al Wall Street Journal nella quale ha denunciato, ad un anno preciso dagli eventi, l’illegale annessione russa della Crimea, dopo “a farce referendum” nemmeno riconosciuto dalla comunità internazionale. Poroshenko dice di aver visto con i suoi occhi gli omini verdi (“little green men”, non extraterrestri ma soltanto soldati russi senza mostrine di riconoscimento) muoversi rapidamente agli ordini del Cremlino per occupare la penisola.
Poco dopo, con una dinamica similare, sempre a detta del Presidente ucraino, il conflitto si è esteso ad altre due regioni russofone del paese, Donetsk e Lugansk, con una tecnica che in parte ricalcava quella crimeana, “An insurgency led by Russia and supported by Russian troops”. Militari privi di distintivi e di qualsiasi altro simbolo di identificazione intervenivano manu militari nel Donbass provocando 6000 morti e piegando una delle aree industriali più laboriose dell’Ucraina.
Poroshenko punta il dito contro Mosca per quanto successo eppure la guerra nel Donbass, coperta dalla dicitura “operazione antiterrorismo”, è stata avviata dai suoi predecessori golpisti, Turcinov e Yatseniuk, e continuata da lui stesso con uguale efferatezza e scarsità di risultati. E’ molto facile dimostrare, di fronte a questi episodi, che gli attuali oligarchi al potere a Kiev sono dei bugiardi e dei traditori del proprio popolo, i quali hanno scatenato una guerra civile fratricida per ragioni di potere personale e niente affatto patriottiche.
La propaganda fa sempre un gran baccano ma ci vuole davvero poco per dissipare la sua cortina fumogena. A volte basta fare le domande giuste per sopire certe assurde infatuazioni nazionalistiche che, come diceva Samuel Johnson, sono misero rifugio di canaglie. Per esempio, Poroshenko ha sempre affermato che nel Donbass fossero i russi a combattere. Ogni giorno si lamentava con i suoi partner internazionali, i quali lo assecondavano vergognosamente, che colonne militari sconfinavano dalla Russia per andare ad aiutare i separatisti. Non ci sono prove concrete a supporto di tali asserzioni, però ciò ha giustificato l’inizio e la prosecuzione della ATO, che ha fatto ben più dei 6000 morti di cui egli parla. Tuttavia, la verità è un’altra. Se “l’invincibile armata ucraina” avesse voluto venire alle mani con i russi la Crimea era il luogo più adatto. Accettando la sfida in Crimea gli ucraini avrebbero davvero combattuto contro un esercito straniero. Ed, invece, proprio laddove la presenza russa era lapalissiana ed inequivocabile, anche in virtù delle innumerevoli strutture militari russe dislocate sul terreno, a cominciare dalla base di Sebastopoli, gli ucraini se la sono data a gambe levate o si sono arresi senza alcun onore. Chi non ricorda le immagini trasmesse da tutte le televisioni mondiali delle caserme ucraine circondate dagli “omini verdi”? Non è stato sparato nemmeno un colpo per svuotarle. I soldati di Kiev le hanno abbandonate, dopo una brevissima resistenza di facciata, consegnando armi e spesso anche bagagli, visto che in molti hanno deciso di defezionare e di passare col “nemico”.
Allora, come mai, Presidente Poroshenko, l’Ato non è partita proprio dalla Crimea? Perché il glorioso esercito ucraino, così coraggioso nei cori e nelle minacce a distanza, si è ritirato dai propri presidi sulla penisola anziché resistere all’invasore? La verità è che gli ucraini se la sono fatta addosso davanti ai russi veri, mentre hanno fatto i duri coi russi immaginari del Donbass, i quali erano, come ha detto Putin, perlopiù trattoristi e minatori locali (coadiuvati da istruttori e volontari provenienti dalle altre nazioni slave). Il portentoso esercito ucraino è riuscito però a prenderle anche dai separatisti, subendo una sconfitta bruciante, ed è, altresì, stato capace di farsi odiare anche da quella parte di popolazione dell’est che inizialmente non era convinta di voler passare con Mosca. Un fallimento su tutta la linea a cui ora Poroshenko vorrebbe rimediare coinvolgendo nelle sue scelte sbagliate “the rest of the world”. Certamente, non lo trarrà fuori dal brutto impaccio la fiacca retorica sul “respect of the rights of our citizens” perché, e la storia non ci metterà molto a riscontrarlo, lui è stato il primo a violare i diritti umani del suo popolo, ordinando e permettendo ai suoi soldati di bombardare i centri abitati e di sparare sui civili inermi. Poroshenko, pistola od epistola, riesce a spararle sempre più grosse e fuori bersaglio.