“ER PASTICCIACCIO BRUTTO” E IL PUNTO D’APPRODO DELL’IDEOLOGIA ITALIANA DI SINISTRA
Il compianto Costanzo Preve ogni tanto faceva dei discorsi sensati; ad esempio riteneva che fosse opportuno, a volte, “mettere in mezzo la verità” ovverosia lasciare da parte la ricerca della supremazia nella discussione perché non è sempre importante se ho ragione io o tu ma può essere più utile comprendere in realtà come stanno le cose. Stati di cose che sono basati su fatti composti da classi (logiche) di dati sensibili elaborati dal soggetto conoscente a partire dal presupposto “realistico” che un qualcosa esterno a noi ci impedisce, in ogni determinato momento, di accettare una indefinita serie di interpretazioni, magari anche contraddittorie, come spiegazione di un evento. Pessimo inizio per questo discorso ma proviamo a rimediare. Il vecchio Moro, notoriamente, aveva una particolare predilezione per le due massime: “dubita di tutto” e “nulla di ciò che è umano (che riguarda l’umanità) mi è estraneo”; la seconda si connette alla radicale e integrale politicità di tutto il suo lavoro teorico mentre la prima è il principio della sua fondamentale decisione di allontanarsi dalla “filosofia” per abbracciare la “scienza”. Anch’io sono pieno di dubbi e, per fare un esempio, tra le cose che non capisco c’è anche quella che riguarda il valore attribuito ad un’eventuale approvazione di quanto implicato in questo imminente referendum costituzionale. Per quanto mi riguarda ho voluto, proprio per provocare un po’ di polemiche, ipotizzare una mia volontà di votare sì. Il primo motivo che mi sono inventato è che una vittoria del sì porterebbe a un sistema politico istituzionale il quale “rivelerebbe” la scarsa rilevanza del voto elettorale in conseguenza del fatto che le posizioni partitiche e politiche minoritarie verrebbero svuotate di ogni possibilità di intervenire nei processi decisionali di chi governa. Queste forze verrebbero così costrette a praticare una diversa forma di politica stabilendo legami socioculturali “forti”, comportanti sacrifici e non prebende, con alcuni ceti subalterni allo scopo di guidarli verso una comprensione-azione autonoma nell’arena dello scontro politico in senso lato. Mi pare che secondo alcuni l’attuale sistema permetterebbe ancora ai ceti medio bassi di mantenere delle capacità decisionali, seppure minime, all’interno di quell’apparato di potere che chiamiamo Stato. Costoro asseriscono che la riforma proposta ridurrebbe quasi a zero queste potenzialità. Naturalmente si tratta di un argomento di “sinistra” perché la destra tradizionalmente è più favorevole allo “Stato etico”, al liberismo, al decisionismo e alla governabilità. Nonostante che la Lega abbia sbandierato il federalismo, il cittadino conservatore e liberale serio pensa che uno Stato “forte”, che si sappia far valere anche all’estero – e che abbia qualche possibilità di limitare sprechi e corruzione alimentando i punti cruciali che possono innescare la crescita – deve strutturarsi in maniera centralizzata e caratterizzarsi per un esecutivo forte e stabile. Il no del centro destra al referendum è quindi, sostanzialmente, un no al governo e a Renzi. Un no che condivido nella misura in cui il giovanotto toscano è ora il rappresentante ufficiale degli Usa in Italia a garanzia della nostra dipendenza e sottomissione. Ma vi sono alcune cose che non capisco e che vi pregherei di spiegarmi, perché alle volte sono proprio ottuso, ovvero: non riesco a convincermi che gli strati sociali subordinati in Italia abbiano tuttora un qualche potere decisionale e quindi non comprendo come possano perderne perché l’imperium e la potestas (riferiti in questo caso ai gruppi sociali dominati) sotto zero non possono andare al contrario delle temperature; se parliamo di sovranismo e ci rifacciamo storicamente alle fasi multipolari e policentriche mi pare si possa considerare che i regimi più funzionali ad una autonomia ed indipendenza nazionale siano quello autoritario liberale, per il multipolarismo, e quello fascista (vedi, ad esempio, il periodo tra le due guerre mondiali) per le fasi policentriche acute. Ricordiamo che Bobbio, grande filoamericano ma non stupido, affermava che il totalitarismo è l’opposto del liberalismo mentre l’autoritarismo lo è della democrazia; uno stato autoritario e liberale è sicuramente possibile a patto che rispetti il principio fondamentale di permettere il libero gioco competitivo tra i singoli individui lasciando che la società civile come sistema dei bisogni e del “commercio” si autoregoli senza vincoli artificiosi. In particolare la forza, oltre che per l’ordine interno, risulta decisiva nell’arena internazionale per tentare l’affrancamento da potenze che insidiano l’autonomia delle decisioni dell’elité al governo. Un motivo serio per votare no veramente ci sarebbe e consiste nel fatto che la riforma è proprio un “pasticciaccio brutto” ovverosia un taglia e incolla senza molta coerenza. Ma non si tratterebbe, a quanto pare, solo di una modifica incoerente perche come dice il professor Luca Antonini:
<<L’Italicum è una brutta copia del Porcellum dichiarato incostituzionale, prevede ancora sostanzialmente le liste bloccate (perciò di fatto anche questo sarà “un parlamento di nominati”) e assegna un enorme premio di maggioranza al partito che al ballottaggio raggiunge il più alto numero di voti. Quindi un partito con il 25-27 per cento dei consensi può diventare maggioranza alla Camera e decidere tutto. Vedo un fortissimo rischio di “premierato assoluto”, che secondo me metterebbe in pericolo la tenuta democratica del sistema. Anche perché questa maggioranza “facile” ottenuta grazie all’Italicum, in virtù della riforma permette di condizionare tutte le nomine che fa il parlamento (Csm, Corte costituzionale, presidente della Repubblica…). Viene meno tutto il meccanismo di “check and balance” previsto dalla Costituzione. Secondo me è grave>>.
In sostanza si può dire che il problema è l’Italicum rispetto al quale la riforma del testo costituzionale è soltanto una premessa. Qualcuno, quindi, potrebbe dire che la “lista” che saprà meglio convincere il “popolo”, alle prossime elezioni politiche, sarà in grado facilmente di rimediare ai “danni” provocati dalla riforma perché la “violazione della democrazia” è contenuta in una legge ordinaria che potrà essere modificata radicalmente in tempi brevi grazie al superamento del bicameralismo perfetto. Probabilmente avremo un duello tra Pd e Movimento 5 Stelle, un fatto veramente anomalo ! Non si è mai visto e non si vede tuttora in nessun paese – perchè gli Usa e il Regno Unito sono solo il frutto della nostra immaginazione – che la vittoria se la giochino solo due partiti! (???!!!). E se la partita, invece, se la giocassero in 5 o 6, allora si che avremmo un regime veramente democratico ! Che meraviglia! Ma non preoccupatevi, se volete un seggio in parlamento la soglia di sbarramento è solo del 2 %, qualche biscottino ci sarà per tutti da subito, anche per la “sinistra”. Dubbi. Tanti dubbi. Anche un vecchio arnese democristiano come Cirino Pomicino è andato in crisi. A suo tempo pareva una persona in grado di ragionare decentemente. In un articolo del 10.05.2016 egli scrive:
<< I sostenitori del sì ci dicano qual è la differenza democratica tra la nuova riforma costituzionale accompagnata dalla nuova legge elettorale con il Regno d’Italia del 1923 quando fu varata la legge Acerbo di fascista memoria cui si opposero comunisti, socialisti e democristiani (allora «popolari»). Sino a quando non ci verrà spiegata noi ricorderemo a tutti che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa ma nella stagione della globalizzazione anche la farsa è una tragedia.>>
E’ vero la farsa è spesso una tragedia soprattutto quando il comico è un incapace o un deficiente e comunque non conosco nessun sostenitore del sì perché anch’io mi sono arreso e a questo punto come si dice in Veneto “go moa el manego drio a baia” (ho mollato il manico assieme al badile) ! Ma se si vorrà guardare in giro il vecchio democristiano potrebbe trovare un guitto “ex piciista” che gli potrebbe spiegare tutto (inutile credo fare il nome). Eppure Cirino Pomicino dimostra di possedere ancora un minimo di lucidità quando scrive:
<<Se si vuole rafforzare il governo rispetto al potere del parlamento c’è il presidenzialismo all’americana che stabilizza l’esecutivo rafforzandolo, non certo il pasticcio di una democrazia parlamentare finta con un premio di maggioranza del 15% simile a quello presente nella sola Grecia. […] La riduzione dei parlamentari può essere fatta anche con un sistema presidenziale che non consegnerebbe il paese a una minoranza dei votanti ma alla maggioranza dei votanti>>.
Proprio così, secondo gli esperti (e secondo gli americani) può essere democratico anche un sistema politico in cui il corpo elettorale elegge direttamente il capo dell’esecutivo. E infatti la dottrina classica parla di equilibrio dei poteri da mantenere tra i detentori di quello legislativo, di quello esecutivo e di quello giudiziario. Ma in Italia si è sempre voluto enfatizzare il ruolo del Parlamento tacciando, ad esempio, come forma eversiva la reiterata pretesa del governo di presentare decreti anche in situazioni di reale urgenza. E in questo modo i cosiddetti “poteri forti” sono stati “costretti”, quando le cose non giravano per il verso previsto, a utilizzare magistrati non eletti per sovvertire veramente e in maniera radicale l’ordine istituzionale. E se la riforma di Renzi viene considerata, da tutti i benpensanti, un progetto che porterà a un governo autoritario anche il solo parlare di presidenzialismo, in Italia e in particolare per la sinistra, è sempre stata considerata una bestemmia. Vorrei accennare, per ultimo, allo Stato sociale e alla sua sostenibilità. Si tratterebbe del fine ultimo per il quale risulta necessario il mantenimento della cosiddetta democrazia. Mi pare che gli economisti ammettano che in tempi di crisi nonostante i tentativi di frenarla la spesa pubblica tenda ad aumentare; molti dicono che comunque l’austerità è dannosa e che bisogna insistere per tentare di sostenere la domanda visto che in questa congiuntura un aumento di liquidità senza crescita non produce inflazione. Così si può trovare scritto :
<<Quali sono le conseguenze di un calo della domanda aggregata? I cittadini spendono meno, le aziende producono meno, perché non riescono a vendere i loro prodotti e servizi e sono costrette a chiudere, a non assumere personale e peggio ancora a licenziare>>.
Ma se l’offerta, soprattutto intesa in termini qualitativi, non trova una corrispondente domanda le imprese vanno comunque in crisi, aumenta la disoccupazione e anche i consumi frenano. Ma, insomma, non sono in grado di argomentare oltre su queste questioni per cui posso solo limitarmi ad una citazione da un articolo di Marco Craviolatti (05.06.2016):
Le interpretazioni più consolatorie attribuiscono il rallentamento alla stagnazione internazionale, ma purtroppo ci sono ragioni ben più gravi, che chiamano in causa non solo la quantità, ma soprattutto la qualità del sistema produttivo italiano. L’industria nazionale si sta de-specializzando, non migliora i prodotti, deposita il 2% dei brevetti internazionali a fronte dell’ 11% della Germania e della Cina, rimane assente o marginale in molti settori ad alto valore aggiunto (si pensi a biotecnologie e high-tech). Così perde quote di mercato non solo a favore dei Paesi avanzati, ma anche di molti emergenti, che al costo del lavoro ridotto abbinano ormai un rapido sviluppo tecnologico. “Bisogna investire di più” – si dice – giacché gli investimenti sono crollati del 30% dall’inizio della recessione.
Tuttavia, l’economista Roberto Romano documenta su Sbilanciamoci.info come anche questo sia un problema qualitativo più che quantitativo. A mancare sono soprattutto gli investimenti ad alta tecnologia; inoltre i beni capitali sofisticati (macchinari, brevetti, licenze) devono essere in gran parte importati dall’estero, per l’assenza di una valida offerta nazionale. Non serve nemmeno – dice Romano – invocare più ricerca e sviluppo: è vero che il nostro Paese vi impiega poche risorse, ma è una coerente conseguenza di ciò che produce, beni e servizi di complessità limitata. Ben venga la promozione del buon cibo italiano, ma il packaging del Parmigiano richiede certo meno ricerca delle sonde di Stephen Hawking per Alpha Centauri>>.
Mauro Tozzato 06.06.2016