E(ra) ora?
Ammetto di aver creduto in una vittoria dei sì al recente referendum sulla riforma costituzionale che, invece, ha visto la netta affermazione dei no. Il battage mediatico messo in atto dal Governo, con i mezzi di comunicazione quasi tutti allineati, mi aveva convinto di questa probabilità che, invece, non si è concretizzata. Tuttavia, ho ugualmente detto che la questione principale atteneva i successivi scenari post-voto, chiunque l’avesse spuntata. Mi cito con poca eleganza perché è di questo che occorre ora occuparsi: “Se…vince il No, si dovrà ricorrere a più larghe intese (con o senza Renzi al timone), nell’immutata prospettiva di tenere ancorato il Paese alle sue solite zavorre e pastoie, procedendo con più cautela al suo smembramento, tra una mancia e l’altra. L’intento ultimo è quello di impedire ad ogni costo che si creino quegli spazi politici in cui si andrebbero ad infilare forze autenticamente antisistema (altro che Movimento 5 Stelle!), capaci di raccogliere ed incanalare il malcontento generale che si sta paurosamente accumulando nei corpi intermedi della nostra società.” Mi sembra che l’infausta previsione sia già in atto, almeno nelle parole a caldo del Presidente della Repubblica, che parla di tempi da rispettare per la manovra di bilancio (addirittura si avanza l’ipotesi del congelamento delle dimissioni di Renzi), ed in quelle di Berlusconi, pronto a passare all’incasso appoggiando un esecutivo tecnico o di larghe intese, grazie al quale continuare a galleggiare in Parlamento mentre i suoi consensi nel Paese sono in caduta libera.
Tutti vogliono evitare le elezioni anticipate che rappresentano una vera incognita considerati gli umori popolari. Chi credeva che il “no” al referendum servisse a salvare l’Italia dalla dittatura e la Costituzione dal macero è servito. Chi pensava che sarebbe stata data immediatamente la parola agli elettori, dopo anni di burattini calati dall’alto, lasci ogni speranza. Occorre prendere tempo per evitare che l’ondata di rabbia generale diventi incontrollabile e si canalizzi in un vero movimento antiregime, poiché l’italiano medio sa farsi i conti in tasca (benché gli si parli di superamento della crisi) meglio dell’Istat e degli altri istituti di rilevazione dati, sempre abili ad accomodare i numeri per spalleggiare questa classe dirigente putrefatta.
I partiti esistenti sono tutti sistemici, anche quelli più critici. Nessuno di questi oserebbe scardinare il Palazzo o rompere i fili che lo legano ai club esteri. Altrimenti non si condurrebbero certe sciocche battaglie sui costi della politica, le varie caste, la corruzione nei settori strategici ecc. ecc. Non saranno i grillini a lanciare l’assalto al cielo perché si incartano su ogni sciocchezza e rincorrono qualsiasi baggianata, non provvederanno i leghisti il cui populismo è uno strapaesismo volgare, impossibile da volgere in qualcosa di più elevato. Siamo in ritardo rispetto agli eventi che, in ogni caso, dovranno ancora maturare.
Quindi, diciamo come stanno le cose. Renzi è stata la “matta” giocata dai soliti poteri agenti dietro le quinte dello Stivale per abbreviare alcuni percorsi decisionali, ridurre il numero di pescecani che richiedevano la loro parte e soddisfare i clienti stranieri. La risolutezza di Renzi non è stata altro che questo, oltre le sue rodomontate. Occupazione di posti e di cariche nei punti nevralgici dello Stato e collaboratori trattati come pedine (scrive, infatti, Bisignani: “Lui si comporta come il padrone assoluto del governo, tanto che, come vedi, al contrario di qualsiasi altra compagine che lo ha preceduto, i ministri sono dei meri esecutori dei voleri del presidente. Arrivano perfino a votare testi che non sono stati neppure posti alla loro attenzione. E quando parlano vengono quasi sempre zittiti, come è capitato a febbraio sulla Libia” ) per conto di elementi sovraordinati e per soddisfare la sua vanità personale. Nella sostanza la linea politica generale della nazione rimaneva immutata, con l’Italia ancorata al carro statunitense e a quello europeo senza nessuno smottamento dal sentiero tracciato. Idem per i piccoli aggiustamenti economici spacciati per riforme epocali. Un programma scarsissimo per uno che si presenta come grande rottamatore del vecchiume, ben sapendo che però il problema è il pattume, tutto ancora al suo posto ed anche aumentato di volume.
Ora che l’incantesimo si è spezzato la merda può ritornare a galla con poche alternative che cercheranno comunque di farci digerire. Si chiamino grandi coalizioni o ulteriori comiche di stelle per le stalle. Per questo trovo tutto questo entusiasmo per la vittoria dei no così fuori luogo. La nostra ancora di salvezza è altrove ma stentiamo a capirlo. Basta con le chiacchiere sulla democrazia, la costituzione ecc. ecc. Essa è nel malcontento stesso e non nei suoi risvolti immediati. Che questo si diffonda inesorabilmente e renda i tempi più agevoli per le nostre esigenze. Il caos deve essere il nostro ambiente privilegiato, in esso raccoglieremo le energie per dare forma ad una forza diversa da quelle presenti, il cui spirito di contestazione non sia limitato dai finti buoni sentimenti e dalle bagatelle stracittadine. La cui voglia di affermazione non inciampi nella pietà per chi si contrappone, anche in buona fede. Come dice bene La Grassa dobbiamo iniziare ad riunirci e collegarci, senza i soliti malumori reciproci, per conquistare qualche posizione di quelle che, al gran completo, questi fottuti di “progressisti”, dopo il “mitico” ’68, hanno occupato in tutti i luoghi da cui diffondono la loro (in)cultura definita “progressista”. Dal disordine deve nascere un nuovo ordine che non annuncia fantomatici cambiamenti ma li attua nel momento stesso in cui li pensa