ERMENEUTICA DI UN BLITZ (ANTIMAFIA)

 

 

Di CLAUDIO LANTI

 

Sarà un caso ma da quando il governo Prodi è entrato in crisi  sembra che almeno nell’interregno delle elezioni siano venute meno le non poche  guarentigie  che la nostra repubblica ha accordato ai suoi terminali mafiosi più esposti. O perché le protezioni regionali concesse da  certe stanze si sono alleggerite o perché qualche magistratura locale si è fatta più coraggiosa, ecco che  miracolosamente carabinieri e poliziotti  sono stati lasciati liberi di picchiare qualche colpo.  Ne fanno fede le perquisizioni già miracolose nelle case e negli uffici inviolabili del plurindagato governatore calabrese Agazio Loiero ed altre piccole iniziative nel sud e anche nel nord. Si è svegliata persino la sonnolenta   polizia napoletana andando ad acciuffare tale Vicienzo o’ chiatto, molto reclamizzato dalle fonti  dominanti ma in realtà solo un boss del quartiere di Secondigliano. Sono segnali probabilmente provvisori destinati ad  epater le bourgeois (a far fessa l’opinione pubblica detto nell’amata e coltissima seconda lingua diffusa in questo sito)  in attesa che si ricompongano gli equilibri squassati dalla crisi politica e  si richiudano le acque puenti del sempre più esteso intreccio politica-crimine organizzato.

 

In questo contesto si  vorrebbe far rientrare l’altisonante operazione trans-oceanica Palermo-New York (con triangolazioni canadesi), che sui giornali di  venerdì scorso  intendeva rinverdire  le glorie della Pizza Connection degli anni ’80  sulle quali è nato ed ha prosperato il più potente gruppo di potere che abbia mai comandato in Italia dopo la Fiat di Valletta-Agnelli e l’Eni di  Enrico Mattei: parliamo ovviamente della super-casta dell’antimafia,  con le sue carriere  politiche e i suoi super magistrati e super poliziotti, con i suoi bilanci miliardari e le innovative  leggi anti-crimine, copiate dai nuovi codici americani, a cominciare dai programmi di protezione per i collaboratori di giustizia. E’ in quel periodo che vennero  radicalmente modificati i rapporti  di collaborazione riservata tra Italia e Usa, il cui baricentro passò progressivamente dalla CIA  al FBI. La fine della guerra fredda determinò poi la definitiva precedenza del Bureau e la sostanziale  estromissione dell’agenzia dalle vicende italiane, ratificata dal processo milanese  per il rapimento del imam Abu Omar.

 

La storia tenta spesso di imitare se stessa ma sempre a livelli più scadenti.  Le firme più informate  e suggestive del Corriere e di Repubblica ci hanno presentato adesso questo  divertente affresco  della retata da 90 arresti tra le due sponde continentali. Ma  dando pochissimi chiarimenti giudiziari, ad esempio sugli effettivi reati commessi, e  dilungandosi in racconti ad effetto di vita vissuta sulle manovre di Cosa Nostra siculo-Usa per uscire dalla  sua doppia crisi epocale. Attraversando gustose storie e storielle di viaggi e ristoranti, donne e  progetti di nuovi loschi affari, alla fin fine vi riferiamo il succo che dalla clamorosa retata abbiamo ricavato.

 

La premessa è che, negli anni ’80 il vecchio establishment mafioso dei Bontade- Badalamenti-Inzerillo   alleato della super famiglia Gambino negli Usa si trovo schiacciato tra la nuova repressione a tolleranza zero del procuratore speciale Rudy-Rudy Giuliani   e la cosiddetta “seconda guerra di mafia” scatenata dalle famiglie paesane e rampanti dei Corleonesi di Totò Riina. Una tenaglia micidiale: tra pentiti e manette da un lato e i mitra dall’altro, fu una strage epocale.  I perdenti vennero braccati e massacrati fino negli Usa.  La vecchia mafia siculo-americana morì lì, travolgendo anche alcuni suoi noti referenti politici come Salvo Lima. Il processo a Giulio Andreotti  fu figlio di quell’ondata epocale.  Non appena  chiusa quella fase, ne iniziò subito una seconda limitata al versante italiano, quando il nuovo potente  “complesso antimafia” nato dalla collaborazione con Giuliani si lanciò con  i nuovi strumenti investigativi  e con altri mezzi contro la nuova mafia vincente dei Corleonesi.

 

Il celebre corvo di Palermo denunciò che il killer Totuccio Contorno,  l’ultimo degli uomini di Bontade,  aveva approfittato della sua posizione di pentito per vendicarsi a revolverate di vari  nemici Corleonesi, aiutando così la Patria e gli inquirenti che guardavano da un’altra parte.   Poi vennero gli arresti clamorosi, Riina, Bagarella e gli altri, poi i maxiprocessi e gli ergastoli in quantità. Quando l’anno scorso è stato preso anche il vecchio Provenzano con i suoi acciacchi e gli antiquati pizzini, anche la mafia strettamente siciliana, era già finita da un pezzo.  E’ irrilevante che  molti continuino ad esaltarne il pericolo per approfittare dei beni mafiosi sequestrati, preferendo invece tacere su altri fronti mafiosi oggi molto più pericolosi della scalcagnata  Cosa Nostra: la camorra  napoletana, con cui il sistema di potere di Bassolino è riuscito sinora a convivere (ma non giuriamo sul domani); e soprattutto  sulla ‘ndranghetra calabrese diventata  grazie all’alacre porto di Gioia Tauro,  potenza economica internazionale della cocaina che ha messo radici in Germania, Canada, Australia.

 

L’ultimo blitz  ha dunque più che altro più un valore  mediatico e persino romantico. Nessun “colpo ai padrini “ come è stato detto, ma semmai ai possibili futuri padrini.  L’operazione, 54 arresti in America e 23 a Palermo,  è stata realizzata quasi tutta  negli Usa dagli americani  con  una minima partecipazione  delle procure antimafia siciliane e delle celebratissime giubbe rosse a cavallo canadesi. L’FBI l’ha montata con testimonianze di  nuovi pentiti,  intercettazioni e -non si dice ma è da giurarci-   su precise soffiate anche incartate da intercettazioni.    Al dunque  ne sono usciti tre nomi degni di considerazione.   A New York,  è stato arrestato  un certo Frank Calì di 42 anni,  palermitano di padre, nato a Brooklin, che ha sposato una Inzerillo ed  è considerato dal FBI come l’astro nascente della nuova Cosa nostra americana.  Frank Calì aveva imbastito una rete di contatti con  gli ultimi Corleonesi di Sicilia con l’ambiziosa proposta di  giungere a una nuova pace  e  a nuovi fruttuosi affari tra  vecchi nemici e vecchie sponde.     Ma, leggendo sulla stampa delle sue pubbliche ostentazioni di potere  e che si era intestato di persona negli Usa una decina di società di import-export e di costruzioni, si capisce subito che un pollo simile non poteva fare una lunga carriera.   

 

Forse con troppa fantasia, questa indagine del FBI è stata battezzata “Old Bridge”, cioè  “il vecchio ponte” New York-Palermo che qualcuno voleva  riattivare.  Grazie al lavoro diplomatico di Frank Calì, iniziato nel 2003 con viaggi e incontri,   i giovani eredi Inzerillo si erano già riaffacciati a Palermo, dove è stato preso Giovanni Inzerillo,  il più giovane del  famiglia quasi sterminata dai Corleonesi negli anni ’80.  Ma il ritorno degli esiliati  non era affatto gradito a molti  superstiti Corleonesi ancora in circolazione, timorosi di subire qualche vendetta a sorpresa. Il portavoce del dissenso era tale Antonino Rotolo, un capofamiglia fedelissimo di Totò Riina.   E qui tocchiamo una corda sensibile. Il terzo nome  importante è quello di certo Giovanni Nicchi un altro giovane, che la polizia italiana  ha indicato con  tranquilla sicurezza ai colleghi americani come il futuro capo di Cosa Nostra siciliana.  Ora, un primo caso vuole che Nicchi sia un uomo  di Rotolo cioè di Riina. E un secondo caso rivela che mentre  gli Inzerillo cadevano nella rete, lui l’uomo dei Corleonesi è sfuggito alla polizia italiana e figura tra i 13 latitanti delle retate. Sommando due più due non è difficile capire chi  è  che ha mandato a monte la riapertura del vecchio ponte  facendo arrestare gli  epigoni  americani della vecchia mafia perdente.

 

A parte l’evidente compiacimento trasmesso dagli inquirenti ai cronisti, va dato atto che l’operazione Old Bridge ha bloccato sul nascere l’ipotesi –solo l’ipotesi- di una nuova  generazione di boss mafiosi  un po’ dilettanteschi in Usa e in Italia. Tutto bene, un po’ di pubblicità  fa sempre bene alla polizia. Ma solo se gli sforzi di soldi e di uomini dedicati  a quei mafiosi da due soldi,  verranno seriamente profusi  in  altre direzioni meno cinematografiche ma  sempre più pericolose  e coinvolte con il sistema politico del Paese.    Forse l’Italia non è ancora un narco-Stato  ma la strada per diventarlo non  è troppo lunga.

 

CLAUDIO LANTI