ETEROGENESI DEI FINI di M. Tozzato

Durante l’Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi del 06.10.2008 il papa Benedetto XVI ha toccato, durante un breve passaggio del suo discorso, alcune problematiche di stretta attualità a cui è seguita la consueta smisurata “amplificazione” del contenuto ad opera dei media italiani. Il papa ha dapprima posto in luce la “realtà empirica evidente dei soggetti umani come produttori del proprio destino esaltando quindi, in particolare, la capacità della volontà cosciente di determinare questo  destino stesso. Noi pensiamo invece che l’eterogenesi dei fini sia la dimensione predominante nel nostro agire a partire dal fatto che gli uomini si muovono in circostanze date.  Queste condizioni dell’azione sociale, ad iniziare dai nostri pensieri e dalle nostre volizioni, rendono necessaria  una verifica fattuale della congruenza dei nostri progetti rispetto alla “realtà” del mondo – da noi posta mediante una visione comprensiva preliminare – la quale, in fondo, va di pari passo con la metodologia delle scienze sociali, che progrediscono attraverso la verificazione (o falsificazione) delle ipotesi rispetto al proprio  “ambiente oggettuale” costituito dall’effettualità mondana presa come una realtà data (costruita ed interpretata). Il papa, invece, afferma:

<<Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.>>

Ma ovviamente il passaggio successivo porta alla tesi teologica fondamentale che la vera realtà è Dio, e successivamente il mondo, che Dio ha posto per mezzo della sua Parola. Nel discorso del papa la creazione viene però ad assumere solo la forma dell’apparenza. Solamente Dio e la sua Parola – in quanto “potenza” e prima di diventare “atto” –  possono assurgere al rango di realtà vera e possono pretendere di rappresentare l’unico vero essere. Così si esprime, infatti, Benedetto XVI:

<<Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.>>

Sembra che venga qui riproposta la distinzione, molto importante anche nell’estremo Oriente, tra verità relativa e verità assoluta (della Totalità degli enti, mondani e ultramondani) che tende a ricadere in una sorta di idealismo “bimondano” molto lontano da quello hegeliano, che ne è in certa qual maniera l’opposto, e anche dal “realismo” cattolico tradizionale che nella distinzione tra Dio e il mondo vede certo la distinzione tra “fondamento” e “fondato”, tra “creatore” e “creazione” – ovvero una differenza di “natura” tra la causa e l’effetto ma una eguale consistenza e validità ontologica.

La critica alla morale “immorale” del mondo moderno si risolve poi nella mera proposta di  rifugiarsi nella contemplazione e nel raccoglimento. E pur vero che, anche per noi, le prospettive,  in questa congiuntura così critica, che anticipa altri futuri sconvolgimenti – come affermato più volte coerentemente da La Grassa su questo blog – sembrano limitarsi alla riflessione e all’analisi delle condizioni delle crisi e delle trasformazioni sociali ed economiche che ne conseguono. La forze che agiscono all’interno del “cuore” dell’attuale turbolenza globale appaiono particolarmente indifferenti ai pensieri, ai bisogni e alle aspirazioni dei dominati, anche se a parole sembrano preoccuparsi dei loro consumi e risparmi “monetari” e d’altra parte i non decisori esperiscono questi ultimi accadimenti alla stessa maniera delle catastrofi naturali e delle pandemie. Si continua comunque a lottare per sopravvivere anche perché si percepisce che, al di là degli interventi concordati su scala globale – che costruiscono l’immagine fittizia di una “unità di intenti” delle nazioni dominanti e di quelle subordinate – il conflitto si acutizza a tutti i livelli e ognuno si prepara a uscire da una crisi che sarà comunque lunga cercando di “divorare” o sottomettere gli altri competitori, smontando e rimontando alleanze, e pugnalando alle spalle quelli stessi con cui ci si era seduti al tavolo, poco prima, per concordare strategie comuni. In un momento come questo in cui la “costruzione sociale della realtà” (Berger – Luckmann, 1966) – ovvero quell’insieme di significati che gli attori sociali danno per scontato nella vita quotidiana – tende a sfaldarsi sotto il peso di eventi che mettono in discussione la “costruzione della realtà sociale” (J.R. Searle, 1995) –  vista come insieme di processi  in interazione che danno luogo alle istituzioni sociali e ne garantiscono la persistenza –  risulterà, credo, ancor più importante superare tutto quel ciarpame di concezioni obsolete, e legate alle più svariate tradizioni di pensiero, che risultano totalmente incapaci di leggere il presente perché rivolte ad un passato che non esiste più e da cui comunque molti non hanno imparato niente.

Mauro Tozzato            08.10.2008