Excursus psico-letterario sulla partecipazione di 15 persone ai funerali, di Rita Simonitto
Una riflessione in merito alle disposizioni del Presidente G. Conte nell’ultimo dcpm notturno del 26.04.2020.
Io credo che molti, me compresa, si siano interrogati sul perché mai, nelle disposizioni di apertura alle funzioni religiose, esclusivamente però circoscritte ai funerali, fosse tassativamente indicato il numero dei partecipanti alla mesta cerimonia nella misura di 15 persone. Perché 15?
Subito mi è risuonata la ballata “15 uomini sulla cassa da morto” e, siccome da cosa nasce cosa, mi sono messa a scandagliare la memoria.
Perchè le reminiscenze, per chi ancora le tiene in sommo privilegio, sono un bagaglio importante a cui poter attingere. Perciò, non solo mi sono ricordata del canto piratesco ma anche della storia a cui è collegato. Questo è riportato nel primo capitolo del romanzo “L’isola del tesoro” (1883) scritto da Robert Louis Stevenson, un romanzo che ha molte osservazioni e battute che ci fanno pensare all’attualità (es: il dare una parola o fare un contratto possono cambiare se mutano le condizioni. Avvisate quelli del pro-MES!). E’ dunque un libro che andrebbe letto non solo dai ragazzini ma anche dagli adulti, oppure visto nel film dallo stesso titolo del 1934 diretto dal regista Victor Fleming.
La ballata è questa:
“Quindici uomini sulla cassa del morto,
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum per conforto!
Il bere e Satana li han spediti in porto,
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum per conforto!
Ora, proprio perché queste memorie ci permettono di addentrarci non solo nella storia ma anche in quegli ambiti letterari che, alimentando l’immaginazione, ci danno mododi spaziare nelle profondità dell’animo umano (e sappiamo come il più delle volte l’inconscio agisca a nostra insaputa portandoci a compiere azioni che apparentemente sembrano incomprensibili) possiamo fare alcune riflessioni rivelatrici.
Il canto in questione viene intonato da un pirata che possiede la mappa di un tesoro nascosto a cui mira il sedicente cuoco Long John Silver, che si fa arruolare nella goletta affittata dal giovane Jim Hawkins (protagonista del romanzo) il quale,assieme al Dott. Livesey, vuole partire alla ricerca proprio del tesoro stesso. Infatti, in una situazione fortuita il ragazzo ha potuto prendere possesso di quella mappa a seguito della morte del pirata che era arrivato nella locanda gestita da lui e dalla madre, rimasta vedova.
Ma chi è Long John Silver? Che cosa ci mostra il suo personaggio?
Quello che ci colpisce subito è il contrasto tra il suo aspetto fisico, laido e ripugnante (è anche zoppo), e il suo modo di fare, che appare disponibile e sottomesso. Verso chi lo ingaggia come cuoco della goletta si mostra deferente, persona lavoratrice e responsabile al punto che l’armatore Trelawney assieme all’ingenuo Dott. Livesey e al suo protetto, il ragazzino Jim Hawkins, gli affidano la ricerca dell’equipaggio da portare in quella spedizione. Il comando della nave viene invece affidato al capitano Smollett, uomo di lunga esperienza marinara, ma che, inizialmente viene tenuto all’oscuro del motivo di quel viaggio.
Nel procedere della trama, non solo si scopre che Long John ha reclutato dei pirati come lui (e che lo temono) al fine di impadronirsi della nave e del tesoro una volta arrivati a destinazione, ma che manifesta una forte ambiguità e doppiezza soprattutto nei confronti dell’ingenuo protagonista, il giovane Jim che ha nei suoi confronti dei sentimenti di profonda ammirazione e affetto.
Long John Silver infatti funge da mentore del ragazzo nonché da suo padre putativo, creando in lui un forte trauma quando alla fine il giovane scoprirà che è il vero responsabile dell’ammutinamento, e soprattutto quando in virtù di ciò, Jim dovrà affrontarlo e combatterlo. Ma, in un finale che rivolta lo stomaco, il pirata riuscirà ancora una volta a giocare sugli affetti del giovane amico facendosi aiutare da lui per scappare e sottrarsi all’impiccagione.
Ma anche il lettore (o lo spettatore) vengono assorbiti e travolti dalla ambiguità e dallo sconcerto che essa produce, soprattutto quando si assiste agli astuti cambi di bandiera in qualsiasi momento essi servano per garantire al pirata l’incolumità e la sopravvivenza abusando della credulità del fanciullo, annebbiata dai suoi genuini sentimenti di amicizia. Ma nello stesso tempo, al pari dell’ingenuo e inesperto ragazzino, lettore e/o spettatore si sentirebbero disposti a privilegiare quei tratti positivi che comunque il pirata fa vedere, mostrando ad esempio delle competenze che i suoi brutali e disorganizzati ‘soci’ pirati, non hanno.
Questa lunga descrizione per arrivare a quale riflessione?
Quando ci troviamo di fronte a comportamenti ambigui, non solo siamo sopraffatti dallo sconcerto (anche nel senso etimologico del termine: le esperienze che facciamo di quella realtà non si ‘concertano’ tra di loro, bensì confliggono) ma, nello stesso tempo, questa sopraffazione ci espone al rischio di voler preservare gli aspetti positivi come se fossero i soli a cui poterci appoggiare e salvaguardarci. E ciò accade maggiormente quando ci sentiamo fragili e spaventati. Mentre invece è importante chiamare in causa la pericolosità degli aspetti negativi in modo da strutturare meglio le nostre difese e proteggerci adeguatamente.
Rita Simonitto
Conegliano, 02.05.2020