FATTI E RIFLESSIONI (III), 25 sett. ‘11
1. Da lunga pezza ormai il Governo italiano (in particolare il premier che era in fondo quasi l’unico a sembrare non del tutto omologato in politica estera) è stato appiattito sugli Usa di Obama. Dico “di Obama” per significare un cambiamento nient’affatto modesto della precedente strategia che aveva ricevuto particolare impulso dai “fatti” (sulla cui origine sospendo ogni giudizio) dell’11 settembre 2001. C’è stato forse un periodo di interregno dopo la fine del 2006 (ancora sotto la presidenza di Bush jr.), poi si è prodotta una svolta piuttosto ben avvertita. Ribadisco quanto già detto in precedenza. Gli Stati Uniti sono una vera nazione, dunque i cambiamenti politici, tutt’altro che marginali, non implicano una lotta distruttiva tra vecchio e nuovo; inoltre le due strategie spesso si alternano o addirittura si intrecciano in utili compromessi e interconnessioni. Non esistono più negli Usa settori come furono quelli “cotonieri” (del Sud confederato) nell’800, che non a caso furono annientati mediante una sanguinosa guerra (e per di più civile). Oggi, però, abbiamo appunto a che fare con una nazione, quindi con un “sistema” piuttosto ben integrato, che non corre affatto pericolo di implosioni di alcun genere; i pericoli sono scaricati su paesi “non nazionali” come il nostro, un coacervo di gruppi subdominanti di vario genere, privi di compattezza, di dignità, di autonomia, solo dediti a bassi servizi verso potentati stranieri (non solo statunitensi).
Ci sono stati alcuni anni (in specie 2003-9) in cui ritengo tuttora non sia stato errato pensare alla formazione, pur “timida” e incerta, di un asse tra Mosca, Roma con prolungamento in Nord Africa (Libia per l’appunto); per un determinato periodo si è potuto pure immaginare l’avvicinamento a quest’asse (non dico una vera alleanza) della Turchia. Vi è stata la mancanza di coraggio, soprattutto in Italia, di collegarsi all’Iran; sembrava troppo insultante verso gli Stati Uniti, troppo pericoloso per i progetti di quest’asse, ancora abbastanza “gassoso”. Comunque, adesso è inutile parlarne più. Il “gas” è stato disperso, i due personaggi principali (Berlusconi e Putin) sono nella sostanza separati. Il primo è ormai definitivamente neutralizzato; il secondo sembra giocare in “alterne” parti con altri settori politici. Quanto vi sia di sotterranea tensione o invece di sostanziale accordo in tale gioco è al momento difficile a dirsi. In ogni caso, la Russia ha assunto negli ultimi frangenti un atteggiamento di non opposizione alla strategia “obamiana” .
Le “rivoluzioni colorate” in Georgia e Ucraina si sono “imbozzolate”, ma ciò non significa la fine di altri tipi di manovre per tenere all’angolo la potenza che sembrava emergente. Secondo me, gli Stati Uniti stanno dimostrando una buona flessibilità d’azione, basata appunto sul caos e sul mettere in difficoltà gli altri più che non stabilire forti prese dirette su specifiche zone territoriali. Attualmente, la famosa lotta tra potenze non viene svolta “in positivo” – da quella che è ancora decisamente superiore alle altre – per stabilire il proprio dominio su date regioni. Gli Usa mirano, intanto, ad impedire che qualcuno vi eserciti stabili influenze; poi, “da cosa nasce cosa”, questo l’orientamento della nuova strategia. Naturalmente, quest’ultima implica che si dia credito (con cautela) ad altri paesi, da assumere, in modo molto provvisorio, quali propri sicari cui far intravvedere possibilità di “promozioni” ulteriori. Alcuni agiscono come semplici “maggiordomi” degli Usa (Francia e Inghilterra, ad esempio); non credo invece sia questo il caso della Turchia e, chissà, forse nemmeno della Germania (qui siamo però più prudenti).
Ribadisco che gli Usa obamiani (solo una denominazione per indicare comunque una diversa politica rispetto a quella seguita in precedenza, spero lo si sia ormai capito) non si pongono in netta e allora lacerante contrapposizione rispetto al passato. Agire nel caos è molto complicato e rende una strategia comunque labile e rischiosa anche per chi la applica; a volte si deve procedere a rapidi revirements da un momento all’altro. La pantomima sulla mossa di Abu Mazen è abbastanza chiara; non si tratta di una forzatura del lacchè palestinese, il quale invece agisce con il consenso di Obama. Questi finge di non essere d’accordo, non rifiuta affatto la prospettiva di mettere il veto apparendo ancora il “difensore” di Israele. In realtà, i media del mondo politico “occidentale” (quello vicino ad Obama) daranno risalto e pubblicità alla mossa, perfino talvolta criticandola. Abu Mazen cercherà di acquistare credito internazionale. Il tentativo è di spingere settori islamici più moderati a staccarsi da quelli radicali. Tra i primi, vi è chi funzionerà da vero servitore degli Usa, altri invece da “alleati” subordinati però all’influenza della Turchia, che cercherà di avvantaggiarsi rispetto sia ad Israele sia all’Iran quale subpotenza principale nell’area mediorientale; giocando in relativa autonomia, ma certamente con una maggiore vicinanza alla strategia statunitense odierna.
Chi non vede in tutto questo un profondo rimescolamento delle carte – quanto meno tentato, i risultati effettivi si vedranno in seguito – da parte degli Usa di Obama, non è in grado di capire gran che di ciò che si andrà sviluppando nel prossimo futuro. Verrà facilmente a trovarsi in pieno contrasto con quelli che la pensano come noi, perché il suo cieco furore antiebraico lo porterà ad accostarsi a tale strategia che, naturalmente se riesce nei suoi intenti e non sarà quindi obbligata a ripiegare nuovamente sul “vecchio”, ridimensionerà Israele (senza abbandonarlo, perché in futuro potrebbe tornare ancora molto utile in caso di nuovo “cambio di passo”) e darà qualche “acciughina” ai “poveri palestinesi”. Ribadisco che in ogni caso il mutamento statunitense non è affatto marginale e non è per nulla una “finzione”. Certamente, tutti noi ci auguriamo che la nuova strategia finisca in un “cul di sacco”; tuttavia, ora è in pieno svolgimento e non è un cambiamento di scarsa portata.
Giusta a mio avviso la presa di distanza di Hamas. Tuttavia, mi sembra che la cautela di cui questa è pregna sia non solo dovuta alla corretta prudenza da esibire in simili occasioni; si manifesta pure una certa difficoltà di riadattare la propria strategia a quella molto più “avvolgente” degli Usa, che dettano di fatto l’agenda ad Abu Mazen. Hamas non si sente di affrontare di petto tale contingenza; e si trincera dietro la necessità di mantenere aperta la possibilità di un “fronte unito” con il Quisling palestinese, quando l’unità d’azione comporta, nelle condizioni internazionali presenti, un possibile parziale cedimento su questioni decisive. Sintomatico, direi, tale evento, da seguire comunque nell’evoluzione dei prossimi tempi.
2. Come già sostenuto, la politica dell’attuale Governo italiano è ormai appiattita definitivamente su quella degli Usa di Obama. Non vi è dubbio che la falsa sinistra (mai stata sinistra in senso effettivo, “storico”) tenta disperatamente di non perdere la sua qualifica di referente primario degli americani. Le demenziali, e ignobili, dichiarazioni dei suoi esponenti (compresi quelli “radicali”, termine del tutto inappropriato, che usiamo per farci intendere da chi ancora non ha capito che non di sinistra si tratta, ma di varie gradazioni del tradimento operato da frange politiche di una infamia senza pari) sono molto significative. Si è arrivati a paragonare Berlusconi a Gheddafi, proprio a colui che il primo ha tradito in modo clamoroso. Il “governo” del Comune di Milano ventila la possibilità di invitare l’eventuale nuovo Stato palestinese alla prossima Expo. Naturalmente, non si sa se per stupidità o per gioco delle parti, il centro-destra vi si oppone. Tutto concorre a far si che la falsa sinistra si presenti come il migliore e più prono sicario delle trame obamiane.
Tuttavia, il presidente nero (non tanto di pelle quanto “d’anima”) non si lascia troppo commuovere. In questo momento, è indecidibile la convenienza o meno di lasciare marcire Berlusconi nella sua situazione di ormai “prigioniero” delle manovre statunitensi. Anche il referente maggiore che gli Usa hanno in Italia, colui che veramente governa il paese dietro l’apparenza del “supremo garante”, è molto cauto. Si agitano scompostamente invece i vari settori della falsa sinistra; e quanto più a sinistra si va (quanto più falsa e ipocrita essa è), tanto più si trova gente che scalpita. In effetti, il suo “terrore” è giustificato; dopo vent’anni di fallimenti continui, se Berlusconi dura ancora sei mesi, “questi qui” hanno chiuso con ogni possibile alternanza. Tale risultato è per lo meno assai probabile (lo darei all’80-90%). La “prescia” è quindi d’obbligo.
Altrettanto scalpitanti sono i settori della Confindustria e dell’Abi, quelli che chiamo GFeID (grande finanza e industria “decotta”). In effetti, quest’ultima era sempre stata di fatto guidata e orientata dalla Fiat, che ormai sempre più si è defilata, avendo stretto una migliore e più proficua alleanza (subordinata) con gli Usa di Obama; “alleanza” di cui la “conquista” della Chrysler (ottenuta con “soldi” americani) è stata la firma. L’appiattimento di Berlusconi su Obama, le misure economiche deludenti prese finora, hanno indubbiamente scontentato vasti settori di quella che poteva essere la base sociale del berlusconismo, i settori del ceto medio produttivo (piccolo-media imprenditoria, lavoro “autonomo”, ecc.), i quali non si rendono minimamente conto di quanto si è svolto e si sta svolgendo, dei giochi internazionali che hanno “disfatto” il premier e certe sue “alleanze”. Di conseguenza, quel che conta è il malcontento dell’elettorato di centro-destra; la GFeID (come gli scherani della falsa sinistra) sente la necessità di approfittare dell’occasione: ora o mai più. Anche per questi finanzieri e industriali felloni i prossimi sei mesi sono decisivi. E lo stesso vale per i sindacati della “concertazione”; non solo quindi la Cgil, ma pure gli altri.
Incerto è il giudizio sul comportamento degli attuali Usa obamiani. Il non ringraziamento dell’Italia per il suo servile comportamento in merito alla vile aggressione alla Libia non deve trarre in inganno. E’ ovvio che non vi è feeling tra gli ambienti statunitensi oggi in auge e il premier italiano; tuttavia, è abbastanza credibile un cauto atteggiamento americano (e dunque del nostro presdelarep) data la possibilità di sconvolgimenti nel nostro paese, che non gioverebbero nemmeno all’Europa e agli indirizzi che la prevalente influenza statunitense vuole imprimere ad essa. La strategia del caos non è applicata senza discernimento e un minimo di prudenza. Difficile quindi valutare al momento (e senza informazioni precise sui comportamenti dei gruppi dominanti e subdominanti) la possibile evoluzione degli avvenimenti in Italia. Resta solo, di questo sono convinto, la fretta della GFeID e dei suoi scherani della falsa sinistra, che hanno ormai un tempo limitato per ottenere gli scopi che si prefiggono da quasi vent’anni. Assisteremo dunque ad un finale d’anno assai turbolento e logorante per Berlusconi. Il risultato non è già determinato con certezza.
La situazione è in completo (som)movimento nel nostro paese e nell’area a noi vicina. E d’altronde sarà difficile comprenderne i vari aspetti se non si capiscono più a fondo gli scopi della strategia americana. Appare piuttosto sicuro che essa ha l’iniziativa e che gli “impulsi” impressi si dirameranno in modo reticolare secondo direzionalità e obiettivi finali non preordinati con rigida determinatezza. Salvo ovviamente lo scopo precipuo e complessivo di rendere arduo il cammino delle potenze dette emergenti, che quindi emergeranno con più gravi difficoltà dovendo parare parecchi colpi e rattoppare “strappi” non prevedibili con il dovuto anticipo. L’Italia resterà a lungo un vaso di coccio, dove prevarranno forze servili e del tutto incapaci di difesa dei nostri interessi; dove “nostri” significa quelli della maggioranza della popolazione, con minoranze però cospicue che agiranno per portare il massimo disordine e la completa dipendenza (agli Usa e forse pure a Germania, Francia, ecc.).
Sarà tuttavia compito di chi si oppone a questa deriva comprendere meglio che cosa significa difendere gli interessi “nazionali”; onde non cadere in definitiva in uno sterile nazionalismo molto tradizionale e d’altri tempi, che non condurrebbe da nessuna parte. Per il momento, cerchiamo di afferrare i motivi della nostra dipendenza e di capirli soprattutto nel loro senso politico, senza le scorciatoie del debito pubblico e del deficit da sanare, della “malintenzionata” Finanza cui tagliare le unghie, ecc. Anche molti critici della politica italiana attuale – sia al governo che all’opposizione – aiutano di fatto le strategie complessive di asservimento del paese perché dirottano l’attenzione verso obiettivi assai limitati e circoscritti, mentre resta del tutto obliterato e mai analizzato l’orientamento dei reali centri strategici che si muovono, fra loro in contrasto, per ottenere la supremazia di questo o quel gruppo dominante (e, in Italia, subdominante). Anche la più cruciale polemica tra chi straparla di fine degli Stati nazionali e chi smaschera l’ideologia servile di tale tesi rischia di annebbiare la visione complessiva dei nostri problemi, in assenza di una più attenta analisi di che cos’è lo Stato, visto sempre come un “soggetto” a se stante: o custode paterno degli interessi collettivi o Leviatano diabolico che schiaccia la maggioranza a favore di una minoranza.
Ne abbiamo di strada da fare! In ogni caso, la politica al posto di comando, e rifiuto di ogni deviazione puramente tecnico-economicistica, di cui si fanno alfieri pure i “radicali nemici” del capitalismo, poi debitamente reclutati dal mondo accademico e dai media della GFeID per confondere le idee e distrarre dalle attività critiche più pregnanti perché, appunto, attinenti alla sfera della politica.
PS In Libia, a Tripoli trovata fossa comune con più di 1.700 corpi
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Tripoli, trovata fossa comune 1200 cadaveri tra prigionieri e insorti La Repubblica
Eccoli di nuovo in azione. Notare: chi scrive più di 1700, chi 1200. Ormai è inutile stupirsi di questi massacratori e assassini che chiamano assassini gli altri. Fra qualche anno sapremo che sono come Thaci, e che magari questa fossa è come quella di Timisoara; ma lo diranno per due-tre giorni e poi riprenderanno a mentire. Comunque, i giornalisti sono criminali al pari degli altri, nessuna scusante per questi delinquenti da trivio.