FINANZA E CIALTRONI
«La speculazione, la speculazione» ripeté macchinalmente, combattuta dal dubbio. «Ah! È una cosa che mi sconvolge il cuore, fino all’angoscia». Saccard, che conosceva bene i suoi pensieri ricorrenti, aveva seguito sul suo volto la speranza dell’avvenire. «Sì, la speculazione. Perché questa parola vi fa paura?… Ma la speculazione è il richiamo stesso della vita, è l’eterno desiderio che costringe a lottare, a vivere… Se potessi permettermi un paragone, saprei convincervi…». Rideva di nuovo, preso da uno scrupolo delicato. Poi, volentieri brutale davanti alle donne, osò ugualmente. «Vediamo un po’, voi credete che senza… come posso dire? senza lussuria, si farebbero molti bambini?… Su un centinaio di bambini che non si riescono a fare, se ne produce a stento uno solo. È l’eccesso che porta allo stretto indispensabile, non è vero?». «Certo» rispose lei, imbarazzata. «Ebbene! Senza la speculazione non si farebbero affari , mia cara… Perché diavolo volete che io tiri fuori il mio denaro, che rischi il mio capitale, se non mi promettete un appagamento speciale, un’improvvisa felicità che mi apra il cielo?… Con la remunerazione legittima e mediocre del lavoro, con il prudente equilibrio delle transazioni giornaliere, l’esistenza è un deserto assolutamente piatto, una palude in cui tutte le forze dormono e marciscono; invece, fate sfavillare con energia un sogno all’orizzonte, promettete che con un centesimo se ne guadagnino cento, offrite a tutti questi addormentati di mettersi a caccia dell’impossibile, di milioni guadagnati in due ore, in mezzo ai rompicolli più temerari; allora sì che comincia la gara, che le energie si moltiplicano, il parapiglia è così grande che la gente, pur sudando solo per il piacere, si mette a fare figli, voglio dire cose vive, grandi e belle… Ah! perbacco! ci sono tante porcherie inutili, ma certamente senza di quelle il mondo sarebbe finito». La signora Caroline si era decisa a ridere, anche lei; perché non aveva nessun falso pudore. «Allora» disse, «la vostra conclusione è che ci si deve rassegnare, perché tutto questo è nel piano della natura… Avete ragione, la vita non è una cosa pulita.
Zola, Il Denaro
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La speculazione fa paura perché la si demonizza continuamente senza provare a capire la sua funzione nei sistemi capitalistici. Chi contribuisce ad alimentare lo spauracchio non rende un servizio ai dominati ma ai dominanti che puntano sulla confusione nelle menti per annichilire ogni possibile resistenza. Di questi apocalittici, fintamente rivoluzionari, che partecipano al caos intellettuale generale ne conosciamo a iosa. Il loro linguaggio biblico contro la finanza ne rivela soprattutto la cattiva fede. Costoro, anziché spiegare i rapporti sociali che attraversano la sfera finanziaria, si limitano a lanciare anatemi contro il Moloch del denaro per eccitare le masse e condurle su una strada senza uscita dove non faranno mai del male a nessuno se non a loro stesse. La finanza è consustanziale al capitalismo con i suoi “spiriti animali, non può essere rabbonita con le recite moralistiche di predicatori tardivamente keynesiani o comunisti, i quali vorrebbero mettere la museruola ad un Cerbero a più teste, amplificato dalle loro medesime narrazioni.
Prendiamo qualcuno a caso di questi presunti amici del popolo che fanno la guerra alla finanza adulterando la sua reale “natura”.
Diego Fusaro, figosofo itinerante della televisione italiana: “In effetti, il vero dissenziente, oggi, pare poter essere identificato in chi è eretico e non allineato rispetto al monoteismo idolatrico del mercato, al fanatismo economico-finanziario: e, dunque, a quella sacra teologia che, con i suoi dogmi imperscrutabili («ce lo chiede il mercato»), ci rende tutti adepti di un culto intimamente irrazionale, con la sua trinità composta dalla crescita fine a se stessa, dal nichilismo classista del profitto e dalla mercificazione integrale a detrimento della vita umana e del pianeta. Non vi è giorno che le omelie neoliberiste non celebrino, a reti unificate, questo culto, rinsaldando un consenso universale e una sincronizzazione di massa delle coscienze, che sembrano non vacillare nemmeno al cospetto delle catastrofi naturali, delle «tragedie nell’etico», come le etichettava Hegel, e del restringimento ogni giorno maggiore della democrazia che il fanatismo economico sta realizzando….Il nuovo ordine mondiale classista corrisponde, nella sua logica, al capitalismo divenuto absolutus perché realizzato nel superamento di ogni limite. Con la grammatica hegeliana, l’immane potenza del negativo si è integralmente dispiegata nella condizione dell’alienazione universale e della perdita di sé, da parte dell’umanità, nell’esteriorità deiettiva del fanatismo economico centrato sul processo di valorizzazione infinita divenuto fine a se stesso e sullo sfruttamento classista subito passivamente dal Servo…Il nuovo ordine globalizzato, al tempo stesso, ha saturato le coscienze, colonizzandole con un’ideologia gravida di potere che, in assenza di visioni antagonistiche, si è imposta nella forma del cosiddetto pensiero unico politicamente corretto…Con il Weltdualismus, si è, in pari tempo, estinto il dualismo delle prospettive e delle immagini del mondo. In suo luogo, si è venuto costituendo quello che, con diritto, è stato definito il pensiero unico e che già Marcuse aveva etichettato come «pensiero a una dimensione»7. Nella sua logica essenziale, esso corrisponde alla sovrastruttura ideologica della struttura del fanatismo economico-finanziario globale. È, in altri termini, l’ordine simbolico che glorifica i rapporti di forza esistenti, la logica illogica di un sistema che orbita intorno all’obiettivo della crescita illimitata, alle disuguaglianze sempre piú radicali, alla neutralizzazione della possibilità di dissentire rispetto a questa follia difesa con metodo dal Deus mortalis del mercato globale”. (Pensare altrimenti, Einaudi)
Dopo tutti questi versi ridondanti, di gusto religioso, quanto se ne sa di più dei meccanismi finanziari? Assolutamente nulla. Il filosofo, col suo scrivere, ha contribuito all’ingrossamento di una oscura teologia che intorcina, anziché chiarire, gli aspetti del problema.
Prendiamone un altro. Per esempio, il sociologo Luciano Gallino il quale ricorre, invece, ad un lessico fantascientifico, di grande effetto ma di nessun rigore scientifico, per illustrare il presunto ultimo stadio del Capitale: “Il finanzcapitalismo è una mega-macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli ecosistemi. L’estrazione di valore tende ad abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza degli uni e degli altri, dalla nascita alla morte o all’estinzione. Come macchina sociale, il finanzcapitalismo ha superato ciascuna delle precedenti, compresa quella del capitalismo industriale, a motivo della sua estensione planetaria e della sua capillare penetrazione in tutti i sotto-sistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona” (Finanzcapitalismo, Einaudi). Il Capitale, per Gallino, non è rapporto sociale, come diceva Marx, ma cosa, megamacchina, “la quale, attraverso i suoi sistemi intermedi- le grandi imprese finanziarie e non – e le sue servo-unità di base, gli uomini economici, procede a estrarre valore, oltre che dagli esseri umani, pure dalla natura”.
Questa descrizione (come quella del filosofastro di cui sopra), è un pauroso passo indietro rispetto alla scienza marxiana e benché tale analisi possa apparire appena più raffinata degli slogan puerili di Fusaro conduce, parimenti, in un vicolo cieco interpretativo che riproduce errori secolari, pre e post marxisti.
E’ bastata una mezza stagnazione, che dura sì da un decennio, per riaprire la bocca a simili pensatori di fantasia, pronti a speculare (sono loro i veri affaristi) sulle angosce che ogni crisi porta con se, per vendere copie di libri inutili e piazzarsi ancor meglio nell’Accademia dove s’imbrodano tra loro. Tuttavia, anche l’ultimo mini-crollo economico non annuncia una trasmutazione palingenetica del capitalismo (veramente è da un bel pezzo che non è più quello di un tempo) divenuto definitivamente Moloch succhia-sangue o Mega-macchina finanziaria o chissà quale altra scemenza. Come ci ha insegnato La Grassa gli apparati finanziari sono ineliminabili fino quando non saranno superati i rapporti capitalistici: “La finanza nasce dalla presenza del denaro, e quest’ultimo è il necessario duplicato della merce che è la forma generale assunta dai prodotti nella società moderna”. Nel Capitalismo non esiste una finale preminenza di una sfera sociale sull’altra anche se, a seconda delle fasi, una di queste può prendere il davanti della scena o condizionare maggiormente le dinamiche complessive del panorama sistemico. Ovviamente, questa divisione in sfere del capitalismo (meglio sarebbe parlare di uno specifico sistema a predominanza americana, sviluppatosi insieme alla potenza e proiezione geopolitica-economica-militare Usa) è artificiale e segue un determinato taglio della realtà ai fini di una decomplessificazione dei suoi elementi (ritenuti più importanti, sempre secondo l’epoca). Le tre sfere in questione sono quella politico(-militare), economico(-produttivo-finanziaria), ideologico(-culturale). La superiorità è semmai della politica, in quanto insieme di mosse strategiche per primeggiare in un ambiente sempiternamente conflittuale, che scuote ogni ambito societario (nelle sfere predette) modificando i rapporti di forza tra gruppi decisori (verso i quali sono trascinate anche le masse). Lascio volentieri la parola a La Grassa (con estratti da testi vari) che meglio di chiunque altro ha chiarito questi aspetti.
Gli agglomerati – i grandi organismi finanziari “monopolistici” che trattano la moneta e i suoi sostituti, surrogati e derivati: non soltanto gli apparati del settore bancario, ma anche quelli assicurativi e oggi quelli dei fondi pensione, e altri – sono tali in quanto precipitazione, condensazione, dei flussi reticolari conflittuali già ricordati, che interessano le varie sfere sociali ivi compresa quella che tratta il “duplicato” delle merci, l’“immagine” della ricchezza reale riflessa nello specchio della produzione effettuata secondo strutture di rapporti e modalità capitalistiche; sempre ricordando che tali rapporti (conflittuali) non vanno semplicisticamente ridotti, come ha fatto certo marxismo, a quelli capitale/lavoro, bensì concernono pure quelli tra dominanti (economici, politici, ideologico-culturali), che sono anzi i rapporti decisivi nell’attribuire al capitalismo la sua forza espansiva e innovativa con riguardo alle forze produttive, quella forza che, pur attraverso devastanti crisi (nelle epoche policentriche), ha garantito la prosecuzione e sviluppo del sistema, la sua vittoria sugli altri che si pretendevano alternativi, l’inglobamento e assorbimento delle istanze critiche che predicano costantemente la sua crisi finale: si veda il miserevole punto d’arrivo politico e ideologico dei terzomondisti, degli ambientalisti, dei “diversi”, in massima parte riavvolti nelle spire delle attività producenti profitto (pur talvolta dichiarandosi, cervelloticamente e risibilmente, no profit)…
Nel settore che manovra il denaro, l’elemento decisivo, da tenere sempre sott’occhio, è il conflitto – permanente pur se attraverso fasi di acutizzazione e di attenuazione, di crescente fluidità e di temporanea aggregazione collaborativa (alleanza) per meglio disporsi sul terreno del combattimento – tra gli agenti che ricoprono i ruoli e svolgono le funzioni strategiche di “gruppi di comando” delle “truppe” finanziarie. Ogni gruppo di comando di un esercito usa gli strumenti che possiede. I finanzieri manovrano il denaro e tutti gli strumenti che ne derivano. Ovviamente essi non hanno, in specie se lasciati “soli”, la visione dell’equilibrio di detti strumenti con quelli impiegati dagli agenti dominanti in altri comparti della società, arrivando così a mettere in circolazione una quantità eccessiva di mezzi finanziari e a utilizzarli in contingenze in cui sarebbe più efficace, ai fini della vittoria nella lotta per la supremazia, affidarsi a quelli specifici di altre sfere sociali: ad es. all’attività produttiva, in specie innovativa; o all’azione politica, in particolare di potenza; e via dicendo. ..
Quello che è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo “duplicato” monetario, viene in questo modo ad essere accresciuto e reso eccessivamente sovrabbondante per il semplice fatto che gli agenti strategici dominanti nella sfera finanziaria hanno a disposizione tale strumento di battaglia, e questo sanno usare in modo precipuo. In tale senso e a causa di quest’uso, il mezzo monetario diventa meramente speculativo. Gli “specchi” dunque si moltiplicano rinviando continuamente, potenzialmente all’infinito, la stessa immagine. Se uno o più “specchi” vanno in frantumi, l’immagine si spezza o anche sparisce per un certo periodo di tempo, fino a quando quelli rimasti non vengano riposizionati onde rinviarsela nuovamente, in genere ormai deformata irrimediabilmente…
La crisi finanziaria – con cui, non a caso, si aprono quasi sempre le più vaste crisi di tipologia economica nella formazione capitalistica – non è però il sintomo dell’ormai irreversibile parassitismo da cui sarebbe caratterizzato il capitale, che avrebbe perciò raggiunto il massimo livello possibile di sviluppo. I critici anticapitalistici che si consolano sempre con queste speranze, e con vaticini demenziali di imminente fine del capitalismo, meriterebbero solo le più dure critiche e il più infamante ludibrio, poiché sono i principali responsabili della débacle dei dominati e del prevalere, pur dopo catastrofiche crisi, di nuovi gruppi di dominanti. Le crisi sono infatti uno dei momenti di trapasso dal predominio di dati gruppi di questi ultimi ad altri; mentre i dominati servono, in tali fasi di transizione, da “carne da macello”, e sono a quest’esito condotti da politici e ideologi asserviti ai vari gruppi di dominanti fra loro in lotta, o succubi delle mene mistificatorie dei loro agenti politici e culturali. Oggi, ad es., non è agevole, direi che è quasi impossibile, combattere una efficace battaglia ideologica contro il neoliberismo, se prima il campo “tra noi e lui” non è stato completamente liberato dalla sterpaglia infestante del “marxismo”, del “comunismo”, del “riformismo” e “neokeynesismo”; più altri “ismi” altrettanto nefasti che paralizzano ogni possibile intento di trasformare l’attuale formazione sociale: ambientalismo, pauperismo, antisviluppismo, egualitarismo in quanto mera massificazione della mediocrità, ecc. ecc. Impossibile farne un elenco esauriente soprattutto perché, individuata e sottoposta a critica una “quinta colonna” (ideologica e politica), i dominanti si affrettano a promuoverne di ulteriori…
Anche quando gli agenti strategici finanziari, moltiplicando gli specchi riflettenti lo strumento specifico (monetario) da essi controllato e manovrato come loro arma decisiva nel conflitto per prevalere, provocano eventualmente un forte scompenso (l’eccesso seguito dalla carenza) nell’impiego dello strumento in oggetto che – essendo quest’ultimo il necessario duplicato della capitalistica forma generale di merce [per inciso: ecco un altro motivo per cui l’analisi della merce, contrariamente a quanto anch’io pensavo un tempo seguendo Althusser, è decisiva al fine di comprendere la struttura e la dinamica della società capitalistica, pur se in un’ottica in parte modificata rispetto a quella marxista relativa alla proprietà e al conflitto capitale/lavoro] – coinvolge la produzione e dunque l’intero assetto materiale della vita dei membri della società e i loro rapporti, non è affatto imminente o prossima la fine del sistema capitalistico. La crisi, pur se prevalgono inizialmente i suoi lati economici (primo fra tutti, in ordine di tempo, quello finanziario), dilaga poi nelle altre sfere della società, provocando spesso mutamenti politici e ideologici (il fascismo, ma soprattutto il nazismo, ne sono un esempio preclaro). Niente dunque semplice parassitismo (termine che può risultare utile solo in un pamphlet per la sua diretta efficacia propagandistica) della finanza; si ha invece rottura degli equilibri nei rapporti di forza esistenti tra i diversi gruppi di agenti dominanti in reciproca lotta nelle differenti sfere sociali.
Si modificano insomma i flussi conflittuali che scorrono nel reticolo, sempre più fitto, costituente latrama dei tre comparti in cui possiamo suddividere (teoricamente) la società: economico (produttivo e finanziario), politico (ivi compreso lo Stato), ideologico-culturale. L’alterazione dei flussi è in un certo senso fisiologica, ma non è di tipo deterministico e non può quindi essere perfettamente prevista nei suoi tempi e nei suoi effetti di continuo spostamento dei rapporti di forza tra raggruppamenti (“classi”) e gruppi (strati e segmenti) sociali; tale spostamento non può essere mai veramente calcolato con esattezza né si è in grado di indicare con precisione le direzioni di mutamento dei rapporti di forza in questione. Siamo solo in grado di dire che l’ipertrofia finanziaria – il proliferare degli “specchi” e quindi l’uso speculativo del denaro – può, nel caso di gravi crisi, accentuare i conflitti tra dominanti, coinvolgendo i gruppi di agenti strategici della sfera politica (e, in subordine, di quella ideologica, ove si svolge il confronto/scontro tra le varie correnti teoriche, e culturali in genere). Il capitale finanziario è in definitiva una espressione sintetica – e solo in questo senso la impiego – per indicare i flussi conflittuali che scorrono nel reticolo di rapporti tra gruppi di agenti strategici in lotta per la preminenza con l’“arma” del denaro (nelle sue svariate forme), flussi che si condensano (cosificano) in apparati vari di grandi dimensioni attuanti operazioni particolari. Gli apparati sono le imprese capitalistiche dello specifico settore finanziario ove, al di sotto dei ruoli dominanti esplicanti funzioni strategiche, agiscono quelli del management che persegue gli scopi di ogni e qualsiasi azienda: accrescere i ricavi e ridurre i costi, cioè massimizzare i profitti. Che tale massimizzazione non sia fine a se stessa – e soprattutto che essa non si consegua in ambito esclusivamente economico né con le sole metodologie della “buona” esecuzione (efficiente) del particolare processo di lavoro svolto in ogni dato ambito aziendale – non è conclusione cui sappiano giungere i gruppi manageriali dell’impresa. Quanto appena detto vale in generale e dunque anche per il management delle imprese finanziarie. Esso agisce tutto sommato come Pinocchio: “seminare denaro” onde “raccoglierne di più”; a questa attività, come fosse avulsa da altre, esso dedica le migliori energie. Si tenga inoltre conto che la circolazione di quella merce peculiare che è la moneta, a parità di ogni altra condizione, è più semplice e “scorrevole” di quella di qualsiasi altra…
In ogni caso, per non allungare il discorso, appare abbastanza intuitivo che chi usa lo strumento finanziario, lo considera in se stesso e tende ad espanderlo – salvo l’eventuale intervento di altri organismi di controllo più centralizzato – senza troppo riguardo per gli equilibri “sistemici”. In linea generale, gli apparati del capitale finanziario, di per se stessi, tenderebbero alla moltiplicazione ipertrofica dello strumento da essi impiegato quale arma ai fini del loro reciproco conflitto nella specifica sfera sociale in cui agiscono. Il capitale finanziario cioè, se agisse da solo, si autonomizzerebbe perdendo di vista il complesso (il sistema sociale). Esso non è però mai solo e la conflittualità interdominanti è assai più complicata di quanto normalmente si pensi; il reticolo di flussi finanziari si intreccia con quelli delle altre sfere dell’economia, della politica, ecc. Lasciando cadere le banalità che si potrebbero dire sull’andamento dei flussi monetari in relazione a quello della produzione reale, diventa fondamentale l’analisi dell’interrelazione tra agenti finanziari e politici. Anche in tal caso, ci sono però molti discorsi, teorici e pratici, che non centrano il problema. Non mi sembra si sia fatta sufficiente attenzione all’intreccio tra agenti finanziari e politici nell’ambito di una più complessiva politica di potenza, che certamente contiene al suo interno anche quella specificamente economica (con le due contrapposte finalità appena considerate). Per considerare tale aspetto della questione è però indispensabile andare oltre le formulazioni teoriche relative ad un sistema economico capitalistico inquadrato secondo le sue caratteristiche tipizzate. E’ indispensabile allargare il discorso allo spazio (dell’intero mondo o di sue parti rilevanti) occupato da più sistemi interrelati, in genere ancora paesi o gruppi di questi uniti da particolari relazioni (come quelle sussistenti nella UE, ad esempio). E’ in quest’ambito che vanno situate le analisi in termini di potenza e di eventuali rapporti di dominanza/dipendenza, o invece di più o meno sorda o acuta conflittualità, tra dati sistemi (paesi o gruppi di paesi)…
Il rapporto tra finanza – intrecciata al resto della sfera economica (branche industriali, commerciali, ecc.) – e politica cambia aspetto in una visione di spazi più ampi, suddivisi in tanti comparti (sistemi-paese) fra loro articolati secondo i suddetti rapporti di dominio e subordinazione o di reciproca conflittualità. Non si può più nutrire la convinzione, non soltanto marxista (si pensi a Hobson per fare un nome), che la finanza assuma, nel capitalismo “monopolistico” (pensato quale fase o stadio ormai permanente di tale formazione trattata in generale), una decisiva e irreversibile predominanza. Nemmeno è però da teorizzare semplicemente che tale settore consenta, grazie alla “liquidità” dello strumento impiegato, la mobilitazione delle risorse con loro trasferimento dai settori più tradizionali a quelli innovativi. Sia l’uno che l’altro punto di vista sono “parzialmente” corretti, come altri ancora, in quanto si tratta di casi particolari del mutevole intreccio – che si viene costruendo, disfacendo e ricostruendo in fasi temporali diverse e in differenti spazi della formazione globale (mondiale) – tra i gruppi di agenti dominanti (quelli delle strategie), fra loro in lotta nelle tre sfere in cui si usa suddividere teoricamente la società…
Tiriamo le fila, anche se molto resta da dire e dovrà essere ancora chiarito e sviluppato in ulteriori studi. Parliamo di finanza con riferimento agli apparati che trattano della “liquidità” in svariati modi; tra tali apparati, quelli più tradizionali e noti sono le banche, ma oggi tale comparto è molto più variegato di un tempo. Tuttavia, ciò che conta è la conflittualità tra i vari gruppi di agenti dominanti (quelli che ricoprono i ruoli e funzioni delle strategie); e indubbiamente nel sistema capitalistico, data la sua configurazione ormai generalmente mercantile, non sussiste conflittualità possibile senza l’impiego degli strumenti monetari. Che tale funzione sia svolta dai più tradizionali istituti a ciò adibiti, quali sono le banche, oppure dalle assicurazioni e da altri organismi che trattano attività similari; o che tale liquidità sia invece nella disponibilità di grandi corporations industriali (e commerciali): tutto ciò è meno importante del fatto che il denaro è divenuto, nella coscienza empirica degli individui viventi nelle nostre società, il simbolo del successo e della potenza di chi ne detiene le più ampie quantità…
La coscienza empirica coglie ancora una volta verità parziali, monche, dunque spesso svianti. La potenza – quale mezzo principe per conseguire la supremazia – dipende da molti fattori (non esauribili in una semplice elencazione, come già rilevato), che hanno comunque alla loro base un complesso intreccio tra funzioni finanziarie (esercitate, come appena rilevato, da istituti che gestiscono specificamente la “liquidità”, ma anche dalle grandi imprese industriali, ecc.) e politiche. Quando ad esempio si va incontro a fenomeni di rottura degli equilibri sistemici a causa di una ipertrofia finanziaria, è evidente che i settori più precipuamente addetti all’impiego del mezzo monetario hanno agito con “eccessiva” autonomia inseguendo i loro particolari fini, sfuggendo o aggirando i controlli degli agenti politici o invece prendendo il sopravvento sugli stessi (che questi processi si manifestino spesso nella forma di una crescente corruzione di questi ultimi agenti da parte di quelli finanziari, è fenomeno importante ma non tale da dover essere qui sottoposto ad analisi). E’ solo il caso di aggiungere che, in tali congiunture, si verifica di solito una notevole confusione di ruoli e funzioni tra agenti strategici e management negli apparati specificamente finanziari (banche ecc.), con tendenza ad invertire i rapporti di mezzo/fine tra profitti e supremazia…
Poiché nel combattimento le varie strategie richiedono l’impiego di mezzi vari, e poiché questi sono generalmente merci la cui acquisizione necessita del loro “duplicato” monetario, la manifestazione più appariscente dello squilibrio generato dalla lotta per la supremazia si verifica nei settori finanziari in senso stretto. L’osservatore – purtroppo anche quello marxista tradizionale – è sempre rimasto accecato da tale manifestazione così “visibile ad occhio nudo” (per constatarla non vi è gran che bisogno di coscienza teorica); per cui non è mai riuscito a mettere a fuoco il processo cruciale che si svolge dietro ad essa, ha perciò sempre creduto nella mera potenza del capitale finanziario, nel suo incontrastato predominio.