Finanza e energia, teatri di guerra
Come l’attacco a Tripoli della NATO ha spianato la strada alla spartizione delle risorse strategiche, finanziarie ed energetiche della Libia, con evidente indebolimento della posizione relativa dell’ENI e quindi italiana, così possiamo rilevare segni di un’accelerazione sulla questione del cambio di regime italiano sui fronti finanziari ed energetici nazionali.
L’FMI fa girare un rapporto in cui si stimano in 200 mld$ il minor valore delle banche europee, se iscrivessero a bilancio i titoli dei fondi di Stato (sovrani) ai loro effettivi valori di mercato attuale. Nonostante la reazione sdegnata delle autorità economiche e monetarie europee, il segnale che viene dagli USA è chiaro: crisi bancarie e crisi del debito pubblico sono e resteranno intrecciate. Non ci sarà eurobond che tenga. Come rileva Giuseppe Berta (ilSole24Ore del 2.9): “gli eurobond rinviano, loro malgrado, a nodi insoluti, rimossi troppo a lungo per poter essere affrontati In una congiuntura di drammatica confusione come l’attuale. Temo che non serviranno proposte, pur generose, per fare di essi uno strumento più accettabile e meno subordinato a scelte radicali, se permarrà l’assordante silenzio sul futuro dell’Europa”. Berta si riferisce alla costruzione di un “quadrilatero del potere” istituzionale che affianchi al Parlamento ed alla BCE, anche una Organizzazione Fiscale ed una politica continentale di Debito Pubblico. Come dire un’Europa pienamente politica, con il controllo pieno delle sue risorse per un’autonoma politica di sviluppo e proiezione di potenza. Precisamente ciò che è stato contrastato dagli USA fin dalla caduta dell’URSS e sistematicamente evitato dalla burocrazia UE, longa manus della finanza USA. E che non avverrà sicuramente nei prossimi anni.
Ma le parole del FMI sono bastate per fare affermare a Weidemann, presidente della Bundesbank: “si potrebbe perdere fiducia nella BCE se continuerà a perseguire politiche anti-crisi che vanno oltre il proprio ruolo convenzionale”. L’Italia, che deve contare sull’acquisto dei suoi bond da parte della BCE è avvertita. E se non avesse capito bene, oppure contasse sull’”amico” Draghi, prossimo presidente della BCE, W. aggiunge: ”le decisioni di assumere nuovi rischi dovranno essere prese dai governi e dai parlamenti; solo loro sono legittimati democraticamente a farlo”. Punto e a capo. Il compitino per Draghi è stato già sfornato attorno al difficile equilibrio del sostegno alle banche ed ai PIGS.
Se a questo si aggiunge che, nel caso un aumento di capitale fosse reso indispensabile dalle aggressioni di “mercato”, la seconda banca italiana, Unicredit, quella con diretta vocazione di propensione ad est, non saprebbe a chi rivolgersi per la sua quota parte “libica” (fra il 2 ed il 4% del capitale), lo scenario di “blocco finanziario” per il nostro pauvre pais è pienamente dispiegato.
Ma le cose non vanno lisce neanche nel campo USA, se è vero che (la Repubblica del 2.9) il WSJ pubblica estratti di un documento della Goldmann Sachs, che, stimando in 1000 mld$ la sottocapitalizzazione della banche europee, in pratica invita i suoi migliori clienti Vip ad una strategia di speculazione “contro”, investendo in un cds che aumenta di valore se i titoli della banche europee scendono. Scrive il WSJ: “Questo rapporto è stato diffuso mentre GS offre i suoi servizi di consulenza a quei medesimi Stati europei, contro i quali sta consigliando ai suoi clienti di speculare”. L’aveva fatto in Grecia perché non in Spagna ed in Italia? Nulla di nuovo, se non fosse che il WSJ fa emergere, diciamo così una non-compattezza, se proprio non un conflitto tutto interno ai dominanti USA.
Come si difende l’Europa da questa aggressione USA sul teatro finanziario della guerra? Si chiama “meccanismo interno per lo scambio di informazioni” (la Stampa del 2.9). E’ stato proposto da Gunther Ottinger, commissario UE per l’Energia. Comporterebbe che tutti i nuovi accordi per gas e petrolio che gli Stati europei faranno in futuro, comporterebbero un esame preventivo in sede comunitaria. “Se dunque l’Italia volesse costruire un gasdotto coi russi , dovrebbe dirlo a Bruxelles la quale dovrà stabilire la compatibilità con la legge dell’Unione prima che ci sia la firma”. L’esempio non è proprio casuale e suona come un avvertimento sinistro per l’ENI, dal giornale della GFeID. Che tanto per essere ancora più preciso, sottolinea che “lo stesso varrebbe nella definizione dei rapporti con la nuova Libia”. Ca va sans dire.
Va bè, ma noi abbiamo anche l’Edison, secondo produttore di energia elettrica del paese. Nel contenzioso che divide gli attuali azionisti, EDF e le multiutilities italiane del Nord, il ridicolo sta già nel fatto che un ministro italiano, Romani, si siede al tavolo con un’azienda straniera, EDF, per “trattare”. Che cosa? Se va bene ci resteranno un po’ di centrali a gas e idro (ex ENEL), in cambio della cessione della maggioranza di Edison ai francesi. Gli azionisti italiani cacceranno qualche soldo per mantenere l’italianità degli assets strategici? Macchè, ci pensa la Cassa Depositi e Prestiti (dallo Stato allo Stato dopo aver arricchito un po’ di “poveri” capitalisti. Sfido che sono tutti favorevoli ad una “equa” patrimoniale … – ndr) , se e quando riuscirà a mettere d’accordo il pollaio degli azionisti italiani, che in realtà giocano ognuno per sé su tutti i possibili tavoli. Ma poi, perché i francesi dovrebbero rinunciare alle centrali, che, se gli va tutto male, potrebbero ricomprare a prezzi convenienti all’asta che necessariamente seguirà l’eventuale rottura del patto di sindacato in scadenza il 15/9? Il fatto è che EDF ha in testa un obiettivo preciso: trasformare Edison (partner del nuovo gasdotto GALSI Algeria – Sardegna – Italia) in una gas company controllata da EDF.
E qui il cerchio di questo racconto si chiude. Con le banche in sofferenza impedite ad alimentare il credito industriale, con il futuro “esproprio” dei gasdotti ENI per sanare il debito pubblico, con la preclusione a qualunque politica di approvvigionamento energetico autonoma, con la trasformazione dell’Italia in snodo essenziale per veicolare gas e petrolio dal nord-africa all’Europa e quindi sotto tutela “fisica” per interessi e sicurezza sovranazionali, con un italiano della Goldmann Sachs a guardia dei nostri BTP e quindi sotto tutela finanziaria, forse non ci sarà neanche più bisogno di cambiare il governo. E comunque se l’attuale perdesse la fiducia (… per un incidente, per carità) ci penserà qualcun altro, in alto, a mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, per sostituirlo con un funzionario adeguato. Che conosca le lingue …
Roma, 4 settembre 2011