FINE DELLE TRASMISSIONI
Fine della trasmissioni. Con un video tutto era incominciato e con un video tutto si è concluso. Il ruggito del Caimano, il grido di battaglia che vent’anni fa permise di frenare la diaspora socialista e democristiana, il cui elettorato rischiava di essere risucchiato dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto, o, persino, di non trovare rappresentanza per mancanza di punti di riferimento, è diventato un piagnisteo ed un sibilo. Per questo, ormai, intorno a B. ci sono unicamente delle serpi in seno, benché camuffate da falchi o da colombe.
Berlusconi mugola a reti unificate per i torti subiti, denuncia l’accanimento giudiziario che lo ha penalizzato nella vita parlamentare ed in quella imprenditoriale, sbraita contro la magistratura politicizzata che gli avrebbe impedito di governare e di lavorare serenamente, ma non chiarisce le motivazioni di questa persecuzione. Lo disprezzano perché troppo ricco, troppo godereccio, troppo immorale? Non diciamo amenità, questa è soltanto l’apparenza delle cose.
Dire che i giudici lo odiano perché di sinistra, mentre lui sarebbe il baluardo delle libertà individuali e della libera intrapresa odiata dai burocrati di ogni risma, non significa niente. Affermare che i togati lo volevano morto, sin dall’inizio, perché lui è anticomunista, in assenza comunisti e di comunismo, è una palese assurdità.
Le procure che lo inseguivano e che sono riuscite a prenderlo stavano facendo un lavoro sporco conto terzi. Dovevano completare l’opera iniziata con Mani pulite ma frenata dalla sua discesa in campo, nel lontano ‘94. Questo è il vulnus che non gli è mai stato perdonato. Perciò è stato braccato senza sosta. Tutta la II Repubblica è stata una infinita caccia all’uomo che adesso giunge ad un misero epilogo, con il Paese ridotto in macerie.
I tribunali che per quarant’anni non avevano avuto nulla da obiettare sui mezzi poco ortodossi di finanziamento dei partiti e di gestione del denaro pubblico, si risvegliarono improvvisamente dopo la caduta Muro. Qualcuno che non indossava certo la toga ma distribuiva barbe finte chiamò i giudici all’appello, con l’assicurazione che ad operazione riuscita sarebbero divenuti i protagonisti della nuova situazione.
Il mutamento del clima internazionale, in seguito al crollo del mondo bipolare, con l’estendersi dell’influenza e dei confini della compagine uscita vittoriosa dalla guerra fredda – la quale era ora intenzionata a dilatare le sue ambizioni temporali (il secolo americano) e territoriali (uno spazio vitale percepito come coincidente con l’intero orbe terraqueo) – rese obsolete ed, anche, intralcianti, le classi dirigenti dei paesi satelliti dell’alleanza atlantica che, nelle pieghe della lunga disputa Usa-Urss, si erano ricavate margini di sovranità (condizionata) e configurazioni economiche atte a garantire un ampio benessere sociale per vasti settori della popolazione.
Finché si era trattato di erigere fronti utili a circondare l’impero sovietico, gli statunitensi erano stati generosi con i loro partner. In cambio di prosperità generalizzata e sviluppo economico-industriale (con alcune limitazioni attinenti agli ambiti strategici, soprattutto nell’industria bellica ed in altre più avanzate, che dovevano restare di loro stretta competenza) chiedevano esclusivamente fidelizzazione politica e convergenza militare. Il gioco era dispendioso ma valeva la candela.
Con il crollo del socialismo reale l’atteggiamento americano si modificò profondamente, così come le loro pretese che divennero ricattatorie e minacciose. L’amicizia non bastava più, non ne avevano bisogno perché erano diventati i padroni del mondo. Avrebbero gestito i loro affari concedendo meno, molto meno, rispetto al passato ed obbligando gli alleati più deboli (vedil’Italia), che non avevano saputo ricontrattare la loro posizione nel rinnovato contesto geopolitico, a cedere tutto quello di cui necessitavano. Con le buone o con le cattive. Nel Belpaese venne organizzato, da sapienti manine oltreoceaniche, con l’appoggio di quella parte politca che per decenni era stata gravata da una conventio ad excludendum, un Golpe di Palazzo al quale, appunto, si prestarono alcuni settori della magistratura.
Il truce piano era quasi andato in porto quando, all’improvviso, dalle viscere di uno schermo televisivo di Milano emerse un piccolo tycoon che riuscì in un miracolo dell’ultimo minuto, rompendo le uova nel paniere dei “congiurati”. In poco tempo, costui mise su un partito dal nome improbabile, verosimilmente incoraggiato dai frammenti dei gruppi decisori pubblici scampati dalla mannaia giustizialistica, i quali intendevano vendere cara la pelle.
B. si accollò una responsabilità epocale, forse non essendo nemmeno consapevole di quel che faceva, mandando, provvisoriamente, a carte quarantotto i progetti antitaliani che avevano, come spiegavamo, mandanti lontani ed esecutori vicini.
Salito al potere, forte di un inaspettato appoggio popolare, avrebbe potuto cambiare le sorti della nazione e restituirla ad un destino migliore. Dopo qualche passo nella direzione giusta (gli accordi con la rinascente Russia e con altre potenze emergenti), ha fatto dieci, cento, mille passi indietro. I suoi interessi personali hanno prevalso sugli interessi generali ed ha perso ignobilmente la partita. Con i tentennamenti e la ricerca di impossibili compromessi, con chi mai avrebbe transato se non ottenendo il suo scalpo, ha scritto di suo pugno la sentenza a morte che lo ha estromesso dalla vita politica. Si è fatto fregare da chi gli prometteva di lasciarlo in pace, qualora si fosse deciso a riallinearsi, a cambiare registro politico e frequentazioni internazionali. Ma più si piegava e più veniva schiaffeggiato, per quel suo imperdonabile peccato degli esordi. E’ stato un pappamolle ed è stato giustamente schiacciato. Del piccolo aspirante statista non restano che i tacchi delle scarpe. Adesso viene a piangere in video le sue miserie personali. Ha tradito gli italiani e per questo non merita nessuna compassione. Questo messaggio è la sua resa definitiva ed è il suo estremo tentativo di patteggiamento. Forse gli verrà lasciata una presenza laterale sul palcoscenico parlamentare, con un partito di testimonianza del 8-10%. Questa sarà la Forza Italia, prossima (s)ventura, un mero ramo d’azienda di Mediaset, adibita alle relazioni istituzionali, per curare gli affari economici della famiglia presso i ministeri. Insomma, i figli manterranno l’eredità (ma non è detto, chissà che non venga fuori un altro caso CIR) e le relazioni coi Palazzi costruite dal padre e gli italiani se la vedranno con l’eredità politica devastante del suo lungo ed inutile passaggio.Si è chiusa un’era e si è spalancato un abisso.