GARANTITI E REIETTI di G.P.
Il Presidente della Repubblica, da vecchio nostalgico di una passata stagione della sua “vigoria” politica, impastata di lotte e ideologia, ha rimandato al mittente il testo di revisione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, quello che, nel suo attuale impianto, affida alla magistratura i casi di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. La proposta del governo non portava allo sconvolgimento delle presenti tutele ma si limitava ad affidare ad un arbitro, anziché al giudice, le controversie tra lavoratori e datori di lavoro, previo accordo sindacale ex ante. Lo scopo era quello di ridurre i tempi per la risoluzione dei litigi evitando i vari gradi di giudizio che allungano incivilmente l’ottenimento di una sentenza definitiva, fin’anche a sette anni.
Non riteniamo che i problemi dell’Italia in tema di inelasticità e rigidità del mercato del lavoro siano dovuti esclusivamente alla vetustà delle norme che regolano i rapporti tra capitale e lavoro, quindi non ci incantano le sirene di chi vede come essenziali tali modifiche per sbloccare una situazione ormai fossilizzata e inadeguata alla complessità del mondo odierno; tuttavia, risulta chiaro che siffatte protezioni di legge siano alquanto esclusiviste, data la conformazione dei rapporti e delle forze produttive in tutti i settori economici, quindi distanti anni luce da una realtà materiale e sociale irrimediabilmente trasformatasi dagli anni ’70 ad oggi. Intestardirsi su determinate posizioni non aiuta né i lavoratori né gli imprenditori mentre favorisce largamente le organizzazioni maggiormente rappresentative degli uni e degli altri, come i Sindacati e la Confindustria che nel lasciare tutto così com’è sperano di preservare il grosso dei loro appannaggi istituzionali, clientele e prebende di Stato incluse. Tante volte abbiamo detto che queste associazioni rappresentano la parte più retriva della nazione, quella che vorrebbe fermare le lancette della storia al solo fine di garantirsi la propria sopravvivenza da saprofita danneggiando il resto del Paese.
Giustamente, qualche giorno fa, Nicola Porro sul suo blog ha scritto esplicitamente che il colpevole silenzio di Confindustria su questa faccenda lascia intendere che nel feudo burocratizzato gestito dalla Marcegaglia i calcoli politici prevalgono sulle esigenze imprenditoriali. Lo stesso si può dire del Sindacato che in tal maniera blinda i suoi iscritti, il nocciolo duro ma striminzito della sua forza contrattuale in azienda (insieme a quella esterna dei pensionati), mentre lascia andare alla deriva i nuovi soggetti del lavoro atipico, la maggioranza composta dalle false partite iva, dai consulenti solo sulla carta, dai contrattisti a progetto e da altre migliaia di professionalità che dietro il velo di un’autonomia prestazionale svolgono mansioni di piena e verificabile (se solo lo si volesse) subordinazione. Queste figure lavorative restano ancora prive di reale protezione ma il sindacato non vede e si gira volentieri dall’altra parte.
Il male più grande che affligge l’Italia è, contrariamente a quanto sostengono destra e sinistra, liberali e socialdemocratici, neohayekiani e neokeynesiani,
Si dovrebbe cominciare da questi aspetti sostanziali per cambiare la rotta, dopodiché anche gli elementi normativi seguirebbero la nuova situazione. Ma si sa, in Italia i problemi si approcciano con le belle parole, si lastricano con le buone intenzioni e si affidano alla casualità degli eventi. Che puntualmente ci conducono all'inferno di una crescente arretratezza.
il lillipuzianesimo industriale, la scarsa capacità di innovazione, la carenza di ricerca, un sistema creditizio che non rischia e non assiste le iniziative imprenditoriali e la considerazione che si ha dello Stato quale mammella da mungere per sopperire all’incapacità di ottenere profitti nella competizione. Di esempi in tal senso potremmo citarne a iosa ma basti ricordare l’acronimo che ingloba tutti questi casi emblematici: la GF e ID (Grande Finanza e Industria Decotta), di cui abbiamo spesso parlato. Tutto ciò si stringe pericolosamente alla completa inabilità degli organi politici di disegnare traiettorie di sviluppo e di crescita della potenza nazionale con le quali preparare il terreno dei mercati esteri ai pionieri e agli spiriti aggressivi delle industrie di punta che pure da noi esistono e prosperano nonostante le mille difficoltà.