Gas di scisto, evento epocale?

gas

Sicuramente tutti ricordano l’enfasi che una decina d’anni si diede alla prospettiva dell’avvento dell’idrogeno come nuova risorsa energetica che avrebbe in breve tempo spiazzato le fonti fossili e contemporaneamente reso totalmente democratiche tutte le società umane grazie alla sua abbondanza (negli oceani) e sostanziale gratuità dell’ottenerlo e sfruttarlo (con l’energia solare). Oggi non si parla più della civiltà dell’idrogeno.

Però è la volta del gas di scisto (shale gas) statunitense: così abbondante e così a buon mercato da rivoluzionare il mercato del gas naturale mondiale, posizionare gli USA tra i maggiori produttori di gas naturale, tra i paesi più virtuosi in termini di emissioni di CO2, rilanciare occupazione ed economia locale. La stampa mainstream non perde tempo ed addita gli USA come esempio da perseguire ovunque, ma soprattutto in Europa, assetata di gas per inseguire la direttiva 20-20-20.

Per cui, via con i finanziamenti all’esplorazione, alla ricerca e sviluppo tecnologico. Che significa acquisizione di tecnologia statunitense da parte dei protagonisti europei e rilascio esteso di licenze di esplorazione, discussioni con gli ambientalisti. E’ il caso di UK, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Ucraina.

La giustificazione è presto trovata e sta in un argomento quanto mai sensibile per la geopolitica europea: stante l’esaurimento progressivo della produzione propria nel Mare del Nord e l’attuale dipendenza dal gas naturale russo e nordafricano, destinata ad aumentare in prospettiva, il gas di scisto potrebbe regalare l’indipendenza energetica a tutto l’Europa come sta succedendo negli USA, nel contempo realizzando la conversione da carbone a gas.

C’è da crederci? Cerchiamo di approfondire.

Il gas di scisto non è una scoperta recente. Il gas naturale presente nella crosta terrestre si trova o concentrato in enormi sacche, circondate da rocce impermeabili, o diffuso ed impregnato in sedimenti di antichissima origine fangosa. In questo secondo caso, per estrarlo non basta perforare e sfruttare la pressione naturale. La novità relativa sta nella tecnologia messa a punto e sviluppata da alcune aziende statunitensi per estrarre in modo relativamente facile il gas naturale “liberandolo” dalle rocce in cui si trova impregnato. Combinando tecniche già collaudate in altri campi e quindi mature, si tratta di indurre microfratture negli strati di sedimento (scisti) ricchi di gas, allargare queste fratture e canalizzarle fino alla superficie per permettere al gas di essere raccolto e trattato poi come di consueto. Poiché gli scisti si sviluppano in strati molto più estesi che non profondi, le micro-fratturazioni dovranno essere eseguite dopo aver perforato in orizzontale e ripetute più volte nel “campo” da coltivare. Le micro-fratture vengono prodotte tramite micro-esplosioni a mezzo di tubi forati posti in orizzontale a qualche km di profondità e poi allargate iniettando in pressione acqua e additivi chimici. Dallo stesso tubo forato si estrae quindi il gas. La tecnologia complessiva unisce quindi la tecnica di perforazione in orizzontale con quelle della fratturazione idraulica (nel gergo inglese: hydraulic fracturing o solo fracking).

L’impatto ambientale è dovuto principalmente alle possibili conseguenze delle onde d’urto sulla struttura geologica locale, al consumo di acqua ed al trattamento delle acque stesse. L’impronta in superficie di un pozzo di gas di scisto non differisce molto da quelli tradizionali, a parte il trattamento delle acque.

Sui costi di produzione le cose sono molto meno chiare. Di fatto negli USA, ricchi di giacimenti di scisti, sono stati fatti enormi investimenti nel recente passato. La produzione di gas di scisto ha raggiunto quantità tali da spiazzare gli altri combustibili: le centrali elettriche USA non usano più carbone ma gas ed i produttori di carbone sono “costretti” ad esportarlo. Allo stesso modo è un fatto che il prezzo del gas naturale ha raggiunto in questi ultimi mesi alla borsa di NY, il valore storicamente più basso (ca. 5 €/MWh). Alcuni analisti americani obiettano che a questo prezzo gli stessi pozzi di gas di scisto non potranno andare avanti per molti anni (il numero di pozzi operativi sta già diminuendo). La loro efficienza è infatti massima nei primi tre-cinque anni di esercizio, poi decade rapidamente. Il prezzo di pareggio sarebbe secondo costoro intorno a 17 €/MWh per nuovi campi e 8 €/MWh per nuovi pozzi in campi esistenti. Le aziende del settore sarebbero quindi a rischio di sopravvivenza. Tanto che negli USA ci si sta orientando alla possibilità di esportare tale gas una volta liquefatto e spedito via nave, scontando un aumento del prezzo interno. Sul mercato internazionale il prezzo di vendita oscilla infatti fra 10 e 30 €/MWh, rendendo di nuovo remunerativo ed attraente l’investimento fatto nel gas di scisto. Purtroppo gli USA non hanno infrastrutture di liquefazione del gas (solo di ri-gassificazione, perché pensavano di importarlo) ed i mercati di sbocco sono tutti piuttosto lontani dai pozzi.

Insomma pare di capire che ci sono tutte le premesse concrete e materiali, perché i proclami di questi anni sulle virtù taumaturgiche del gas di scisto possano ridimensionarsi abbastanza presto, meno negli USA, dove è previsto un aumento di prezzo del gas naturale fino a 10-20 €/MWh, di più nel resto del mondo per ragioni legate ai costi di produzione ed ambientali.

E in Europa? Chi ha investito molto nel gas di scisto sono UK e Polonia. La prima perché interessata a non perdere la posizione di autonomia energetica oggi legata al gas estratto nel Mare del Nord (in esaurimento) ed al nucleare (dal futuro incerto), la seconda perché interessata a svincolarsi dalla dipendenza dal carbone e dal gas russo. In UK dopo le prime licenze di esplorazione, la questione ha assunto la prevedibile veste di “dilemma ecologico”: il possibile aumento di attività sismiche in superficie e il possibile inquinamento delle falde acquifere hanno bloccato l’estensione delle attività. Pare però che la Commissione Nazionale delegata ad approfondire il dilemma, abbia recentemente dato il via libera alla prosecuzione delle attività di esplorazione.

In Polonia invece, dove la stima delle riserve “possibili” di gas di scisto balla di un fattore 10, ha destato un certo scalpore il recente ritiro della EXXONMOBIL dalle attività, con l’esplicita ammissione che i risultati ottenuti nei primi due pozzi non si sono rivelati interessanti per sostenere economicamente lo sfruttamento industriale del lotto esplorato. Altre aziende hanno confermato il loro impegno, tra queste l’ENI che ha acquisito licenze di esplorazione in Polonia e Ucraina.

Finora l’interesse dell’ENI per i gas di scisto sembra tenere un profilo basso, ancorché attento. Da una parte l’ad Scaroni ha recentemente negato sviluppi di produzione in Italia, “troppo densamente antropizzata”, utilizzando quindi in modo strumentale, ma efficace, l’argomento “ecologico” per prevenire le critiche alla tradizionale politica di partnership strategica con la russa GAZPROM. Dall’altra non si nega di fare accordi tecnologici con i texani di QuickSilver Resources Inc. (investimento finanziariamente critico se sono vere le osservazioni svolte in questo articolo) ed essere in questo modo presente nelle nazioni interessate ad esplorare le loro capacità produttive di gas di scisto come partner tecnologico e di sviluppo.

A dimostrazione che la “vitalità” dei combustibili fossili è più legata all’intreccio, largamente imprevedibile, tra fattori tecnologici, economici e geopolitici, che non a limiti fisici.

Purtroppo questi non sono tempi in cui si possa pensare di sopravvivere “bordeggiando sotto costa”: la sopravvivenza del ruolo internazionale di ENI (a garanzia dello sviluppo sovrano italiano) richiede di concentrare le risorse disponibili con chiara visione strategica. Sarebbe a nostro parere un grande errore pensare, ad esempio, di poter conciliare gli accordi con Rosneft per lo sviluppo congiunto delle risorse energetiche siberiane ed artiche, con lo sfruttamento intensivo del gas di scisto polacco, dai costi incerti e connotato da una valenza esplicitamente ideologica ed anti-russa (senza contare le solite incertezze regolatorie ambientali che già fanno parlare di “moratoria” in Europa).

Sospettiamo, del tutto immodestamente, che gli strateghi di EXXONMOBIL siano d’accordo con noi.

Roma, 1.7.2012

Riferimenti:

http://seekingalpha.com/article/656651-can-shale-gas-ever-be-profitable

http://oilandglory.foreignpolicy.com/posts/2012/02/12/is_there_really_so_much_shale_gas_in_the_ground

http://www.finanzamilano.it/materie-prime/0137-prezzo-gas-naturale-in-america-costa-5-6-volte-meno-rispetto-alleuropa.html

http://www.presseurop.eu/it/content/article/1958611-l-europa-rinuncia-al-gas-di-scisto

http://business.financialpost.com/2012/06/18/europes-shale-push-shaken-by-exxons-poland-pullout/