GEOPOLITICA DEI GASDOTTI, LA FINE MISEREVOLE DEL NABUCCO

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Oggi parliamo di come l’Europa butti politicamente se stessa dalla finestra ed i denari dei contribuenti nel water per sottostare al volere di Stati terzi, impropriamente chiamati alleati, in realtà sovrani delle nostre decisioni strategiche.

Uno dei principali nodi della fase storica presente è quello energetico e passa dalla geografia dei pozzi e dal  groviglio di dotti che attraversano le traiettorie della politica mondiale, determinando intese o diatribe tra i Paesi e le varie aree territoriali. Il tema energetico non attiene unicamente all’industria ma è un’arma geopolitica per penetrare in mercati avanzati, incidere sui rapporti di forza internazionali, creare delle zone d’influenza, veicolare la politica estera.

L’Italia, grazie all’Eni, era riuscita a cavalcare la tigre degli approvvigionamenti e delle prospezioni, estendendo i propri affari in ogni parte del pianeta, anche nelle zone più difficili ed instabili, con accordi paritari o win-win (come si dice in linguaggio tecnico) che altre compagnie, troppo abituate ad imporre la potenza dello Stato di provenienza, si rifiutavano di offrire.

Tra questi progetti importanti c’era, ma tutto sommato c’è ancora sebbene ridimensionato per l’Eni, il South Stream, gasdotto fortemente voluto da russi che ci convocarono all’impresa in ragione di legami privilegiati che attualmente però sono logorati. Il South Stream è un’autostrada del gas che aggira alcune nazioni, come l’Ucraina, che avevano creato interruzioni dei servizi negli anni precedenti, in virtù di alcune dispute politiche ed economiche con Mosca. Inizialmente, il partenariato era a due, Eni e Gazprom, poi le pressioni europee e quelle statunitensi hanno costretto il Cane a sei zampe ad annacquare la propria quota, scendendo al 20% per fare spazio alla tedesca Wintershall ed alla francese EdF, con un 15 % ciascuna. Nel frattempo, l’UE ha fatto di tutto per depotenziare la portata di tale programma poichè, a detta dei burocrati reggicoda di Bruxelles, la dipendenza dalla Russia sarebbe stata eccessiva. In verità, erano soprattutto gli americani a non apprezzare la crescente contiguità tra le imprese di stato russe e le altre aziende europee, in primis italiane. L’obiettivo americano, dopo la presidenza Bush, fu quello di recidere di netto i colloqui russo-italiani sulla politica estera in generale e su quella energetica in particolare, visti come fumo negli occhi negli ambienti atlantici.

Cosicché, Washington e Bruxelles s’inventarono di sana pianta, in barba alla disponibilità di risorse e alla fattibilità del progetto, un altro gasdotto chiamato Nabucco, alternativo al South Stream e molto più vicino alle aspirazioni degli yankees, orientati a limitare l’influenza del Cremlino in Europa. Il Nabucco, doveva attraversare la Turchia riempiendosi di materia prima dal mar Caspio, sia dalla riva occidentale azerbaigiana che da quella orientale turkmena. Pazienza se lo stesso si rivelava impossibile sin dall’inizio, era un modo come un altro per prendere tempo e ricondurre a più miti consigli noialtri.

E’ notizia di questi giorni che il Nabucco è definitivamente fallito, migliaia di km di irrealizzabilità e di fervida immaginazione euroamericana, sono bastati se non a sbarrare almeno a rallentare e ridimensionare le nostre velleità sul South Stream che certo erano più concrete ma molto meno accettabili Oltreoceano. Adesso che contiamo di meno, ora che ad avvantaggiarsene saranno russi, francesi e tedeschi i tubi potranno essere sistemati con meno rischi per i nostri falsi alleati.

Ma torniamo al Nabucco e vediamo come ce lo presentava l’Ue pur di persuaderci a tornare sui nostri passi e rinunciare al  South Stream.  L’intento apparentemente innocente ma totalmente  falso era di differenziare le fonti di approvvigionamento per non creare situazioni  di dipendenza da un solo fornitore che, nel nostro caso, era il terribile orso russo il quale avrebbe potuto ricattarci per ottenere maggiore spazio nelle questioni interne. La commissione europea, per il Nabucco Gas Pipeline International GmbH, arrivò a stanziare 200 000 000 di euro e a strappare impegni dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e dalla Banca europea per gli investimenti al fine di ottenere ulteriori fondi. Nel 2007 la Commissione europea nominò quattro Coordinatori per progetti nel settore dell’energia, con la missione di monitorare ed agevolare la realizzazione di quelli prioritari. Tra questi era compreso il Nabucco e tra gli esperti c’era il nostro professore bocconiano Mario Monti, uno che dovunque è andato ha reso prioritaria l’inefficienza e l’inutilità.

Nella relazione generale sull’attività dell’Unione Europea del 2009 così veniva enfatizzato il Nabucco: “A luglio quattro Stati membri dell’UE (Bulgaria, Ungheria, Austria e Romania) e la Turchia hanno firmato ad Ankara l’accordo intergovernativo Nabucco, che definisce un quadro per l’esportazione di gas dai ricchi giacimenti del Mar Caspio e del Medio Oriente in Turchia e nell’UE, attraverso un oleodotto che attraversa la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria fino al centro di smistamento austriaco di Baumgarten. Grazie a Nabucco, i paesi europei che per ora dipendono interamente da un fornitore esterno vedranno aumentare drasticamente la sicurezza degli approvvigionamenti. Imprese situate in Azerbaigian e in Iraq hanno già manifestato interesse ad utilizzare l’oleodotto. Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha dichiarato in proposito: «Il progetto Nabucco è di cruciale importanza per la sicurezza energetica dell’Europa e per la sua politica di diversificazione degli approvvigionamenti di gas e delle vie di trasporto. La firma dell’accordo dimostrerà che siamo determinati a trasformare questo oleodotto in realtà il più presto possibile».

La realtà, al contrario di quello che sosteneva Barroso, un altro che se ne intende di defaillances,  è quella venuta alla luce nelle nelle ultime settimane. Il Nabucco è miseramente finito in disgrazia come molte delle iniziative di questa Ue senza anima e senza idee.

Il colpo al cuore, tuttavia, non è venuto dal South stream, ma dal Tap (Trans Adriatic Pipeline). Il consorzio Shah Deniz del quale fanno parte la BP britannica, la Total francese, la Statoil norvegese e la Socar azerbaigiana ha scelto un altro tracciato di soli 500 km, attraverso la Turchia e la Grecia, per il trasporto del gas azerbaigiano,  molto più corto dei 1330 km del Nabucco Ovest. I vertici di Gazprom hanno accolto la notizia con un sorriso sarcastico, del resto avevano previsto tutto,  ma non si dispiacciono affatto di vedere frantumati i piani americani e la sempiterna stupidità nostrana che insegue acriticamente le provocazioni dei primi. I più arrabbiati con l’Ue sono i rumeni e bulgari che si erano spesi (o stesi, forse il verbo è più cogente) per il Nabucco sempre per i soliti timori verso Mosca ed il passato di paesi satelliti della Russia che potrebbe ritornare. Tutta questa vicenda ci insegna, come ha scritto Le Figaro nel numero di ieri, che i gasdotti restano armi geopolitiche i mano ai governi e ai produttori. L’Italia imparerà mai la lezione e quello che costa abbassare sempre la testa per compiacere tutti e tutto fuorché i suoi interessi strategici?