GIU’ LE MANI DA FINMECCANICA

finmeccanicaSul Corriere della Sera di ieri (20.07.11), quotidiano antinazionale dei poteri forti, in mano alla GF&ID (Grande Finanza e Industria Decotta) è apparso un trafiletto, a firma di Michele Nones (clicca qui), prodigo di suggerimenti su come dovremmo gestire i nostri gruppi industriali all’avanguardia. Vedi Finmeccanica o Eni. L’autore dell’articolo, come si può notare dal suo curriculum pubblicato online è “Dal 1995 direttore dell’Area Sicurezza e Difesa. Dal 2000 consulente del Ministero della Difesa – Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti per gli accordi internazionali riguardanti il mercato della difesa. Dal 1992 consulente della Presidenza del Consiglio presso l’UCPMA – Ufficio di Coordinamento della Produzione di Materiali di Armamento. Dal 1991 collaboratore de Il Sole 24 Ore per l’industria della difesa”. Costui è anche membro dell’IAI (Istituto Affari Internazionali), organizzazione eterodiretta dallo statunitense Council on Foreign Relations. Come apprendo da alcuni siti lo IAI vanta nel suo organico “ex ufficiali della sicurezza nazionale, banchieri, avvocati, professori, ex membri della CIA, esponenti di vari servizi segreti americani e di alti personaggi dei media” e si occupa di geopolitica, rapporti internazionali, Nato, WTO ecc. ecc. Inoltre, pare che il suddetto ricercatore sia già stato segnalato dai nostri servizi di sicurezza come uomo vicino all’intelligence francese. Bene, dopo questa breve ma esplicativa presentazione, passiamo ad analizzare quanto da egli espresso in questo pezzo di rara mistificazione ideologica. Secondo Nones, poiché siamo in epoca di globalizzazione dovremmo smettere di preoccuparci della proprietà delle imprese strategiche per rendere più profittevoli e razionali i nostri investimenti tecnologici e industriali. Nel fare ciò, ammette furbescamente lo studioso, è giusto assumere dei correttivi per tutelare le proprie strette prerogative statali, ma senza mai chiudersi preventivamente ai capitali e agli investitori stranieri in quanto solo coinvolgendo il mercato, indipendentemente dalla nazionalità dei proprietari, è possibile mantenere un certo livello di capacità produttiva. A supporto di questa sua tesi Nones riporta l’esempio di Finmeccanica che acquistando società inglesi e americane si è aperta nuovi spazi e ulteriori opportunità di business, in concordanza coi governi dei Paesi nei quali si è affacciata. Da tanto lo studioso deduce che anche noi dovremmo essere meno rigidi e spalancare le porte, nei settori strategici e della sicurezza, ai compratori stranieri. A suo parere occorre internazionalizzare agendo sugli assetti proprietari, trasformando, per esempio, il nostro gioiello dell’aerospaziale in una public company. Ma guarda un po’ che ideona! Non è che il signor Nones fa tutto questo bel ragionamento perché gli piacerebbe molto indebolire qualche nostra impresa di punta per agevolarne il passaggio in mani diverse da quelle italiane? Finmeccanica ed Eni hanno fatto benissimo finora, sono cresciute su scala globale ed hanno imposto la propria supremazia tecnologica in tutto il mondo. Perché allora dovrebbero cambiare? Solo per accettare “la sfida della globalizzazione” e dimostrare reciprocità nei confronti di competitors e governi esteri? Me ne frego, avrebbe detto l’italianissimo Totò. Cca’ niuscin è fess‘ ed anche se non siamo esperti e titolati come voialtri spin doctors, conosciamo perfettamente la differenza tra un affare ed una fregatura infiocchettata di chiacchiere. Questo ci farà apparire troppo italiani e provinciali agli occhi del mondo? Pazienza, ci accolleremo il fardello del luogo comune ma almeno eviteremo di farci derubare. In questa fase di profonda crisi economica avremo pure esigenza di fare cassa come afferma Nones, ma non è dando via le chiavi dei nostri forzieri a gente poco raccomandabile che risolveremo i problemi.