GIUSTO, MA…. di G. La Grassa

Approvo pienamente il finale (solo questo) dell’editoriale di Feltri su Libero (31 ottobre): “Non servono gli economisti di fama che si intorcinano sulle cifre senza capirci una virgola [direi meglio, una mazza!; ndr]. D’altronde non hanno mai azzeccato, loro, una mezza previsione, e se fossero quegli scienziati che dicono di essere sarebbero ricchi. Invece non hanno un euro [su questo francamente non giurerei: servi di questo tipo sono ben pagati dai “padroni”; ndr] e sono appiccicati alla greppia statale per tirare a campare [no, no, molto più che questo, qui proprio non ci siamo; ndr]”. Di nuovo bene il passo finale: “Ma arriverà il castigamatti. E allora questi politici miserelli, cui ballano i cerchioni, saranno costretti a fuggire inseguiti dalla folla. Peccato non si usino più i forconi”.

Tutto (o quasi) giusto, ma allora perché, secondo quanto afferma il titolone di prima pagina di Libero dello stesso giorno, il Governo “Cade, cade, cade un corno”? Perché Prodi ha carattere ed è meno smollacchioso di quanto sembri? Smettiamola di “fare la storia” soltanto in base alla personalità dei vari individui che ricoprono certe cariche. Il vero fatto è che il “gruppo Fiat” – tipica industria che vive a sbafo delle risorse del paese, ponendo ricatti vari con la questione dell’occupazione (anche quella dell’indotto) – non vuole la caduta di Prodi, a meno che non sia pronto un ricambio diverso da un centrodestra a guida Berlusconi; perché un Governo di quest’ultimo tipo non sarebbe in grado, malgrado la buona volontà di alcuni “tipetti” di tale schieramento, di “derubare” le piccolo-medie imprese e il “lavoro autonomo” per la gloria del suddetto “gruppo industriale”, in quanto però soltanto una delle “punte di attacco” (al benessere della popolazione italiana) della GFeID o “piccolo establishment” (quello che in buona parte si raggruppa nel patto di sindacato della Rcs).

A me sembra evidente che Libero (e dunque Feltri) sia piuttosto legato a questo “gruppo Fiat” e dintorni; però poi protesta perché non cade mai Prodi, malgrado la devastazione che sta compiendo e la puzza di cadavere in putrefazione che ammorba l’aria di questo paese. E’ la Fiat il virus principale di questo morbo; e la seguono Intesa e Unicredit (e la finanza in genere, subordinata a quella americana dominante su tutta la linea). Affinché mi siano risparmiate battute sceme sui soliti “comunisti” anticapitalisti, dirò senza perifrasi che occorrono nuove punte d’attacco, del tipo di Finmeccanica, Eni, Enel, Ansaldo, Fincantieri e possibilmente altre dei settori della nuova “rivoluzione industriale” (della nuova ondata innovativa, fra cui mi sembra siano da noi tutto sommato carenti quelli della robotica, delle biotecnologie, e altri). Non c’entra, lo ripeto per l’ennesima volta, il fatto che certe aziende siano “pubbliche” (d’altronde sempre meno, anche formalmente, giuridicamente). La questione centrale è se il loro management strategico, e l’apparato produttivo e innovativo, funzionano bene, e se si tratta di imprese con produzioni d’avanguardia; altro che la “coglionata” della “nuova 500”! E altro che manager alla “Marpionne” o proprietari alla “Monty, facci sognare con la Ferrari”!!

Se guardassimo all’occupazione (ma anche alla quota percentuale del Pil), dovremmo allora dare la precedenza agli investimenti nel settore edilizio, che anche quanto ad indotto credo batta l’automobile. Solo un “povero di spirito”, tuttavia, potrebbe privilegiare simili direzioni di investimento. Se da noi l’auto è in testa ai pensieri dei governanti, ciò è dovuto al fatto che il gruppo finanziario-industriale, guidato dai maggiori parassiti d’Italia, ha ancora una fortissima influenza sugli apparati del potere politico e mediatico, e si serve soprattutto della sinistra date le maggiori “entrature” di quest’ultima, tramite le burocrazie sindacali (lautamente mantenute e corrotte), nel “mondo del lavoro” che, giustamente preoccupato per bassi salari e non buone prospettive occupazionali, si lascia trascinare facilmente contro il lavoro detto “autonomo” onde venga strizzato e i suoi “soldini” convogliati verso le mignatte appena nominate. Malgrado le lamentele di Feltri, giornali come Libero si prestano oggettivamente (perché sempre conniventi con la GFeID), “da destra”, alla medesima operazione.

Sarebbe necessario spazzare via – e certamente, per ottenere simile risultato, occorrerebbero i forconi (non sarebbe tuttavia migliore qualche “strumento di pulizia” più moderno?) – i gruppi dirigenti del tipo di quelli finanziari e industrial-decotti, affidando intanto il traino dell’economia italiana alle imprese di “eccellenza”, con tutte le opportune riqualificazioni della forza lavoro, mandando a casa la solita arretrata “classe” dirigente (in quanto però espressione, diciamocelo, di vasti settori della popolazione) ancorata alla “cultura in generale” (del resto ormai scarsa), “umanistica”, refrattaria all’idea del progresso scientifico, salvo imbarbarirsi poi con gli esiti più stupidi (e con l’inglese maccheronico che li supporta) di una informatica ridotta a qualche tecnicismo a spizzico per analfabeti (com’è anche il sottoscritto, sia chiaro, che però almeno se ne rende conto e non se ne gloria). Ripeto: che le imprese dei settori più avanzati siano formalmente “pubbliche” o “private” non ha rilevanza; l’“eroica” lotta tra destra neoliberista e sinistra neostatalista – perniciose entrambe – fa parte del teatrino inscenato da schieramenti politici e da ceti “intellettuali” di “era preistorica”. Bisogna incrementare le risorse indirizzate alle suddette imprese “d’eccellenza” e a quegli ambiti della ricerca scientifico-tecnica che sono loro di supporto. Tenendo soprattutto conto che l’avanzamento di un sistema-paese dipende ancor di più dalla strategia politica, e non invece soltanto dall’efficienza “strumentale”; ma di questo si parlerà un’altra volta.

E’ però decisivo prendere atto che, anche semplicemente per ottenere simili risultati, sarebbe necessaria una “rivoluzione”, il cambio radicale, netto e rapido degli agenti politici (e culturali). E bisognerebbe accettare realisticamente la prospettiva, sempre se si volessero centrare certi obiettivi, di un duro confronto (scontro) con le forze (non tanto l’imbelle ceto politico-parlamentare attuale), che le sanguisughe della finanza parassita e delle imprese industriali decotte metterebbero in campo per disperazione (anche con certi “aiutini” internazionali, in specie forniti dalle “manine d’oltreoceano” di “geronimiana” memoria). Altrimenti, se non si ha questo coraggio, ci si tenga Prodi o chi per esso: sempre comunque qualcuno al servizio di quei parassiti che sono i preferiti e i “padroni” anche della destra oltre che della sinistra, pur da essi preferita per motivi di cui abbiamo già scritto più volte. Questi “padroni” non si schioderanno mai dalla loro subordinazione agli USA, perché possono vivere esclusivamente negli “spazi” (non tanto geografici quanto economico-sociali) che l’“Impero” americano concede loro “graziosamente”; basta però che nessuno si sogni di incrementare i settori di punta (privati o pubblici che siano nella forma giuridica della proprietà azionaria), perché allora arriverebbero legnate, di fronte alle quali l’uccisione e il rapimento di qualche connazionale, ecc. sono dei semplici “confettini”, avvisi quasi “affettuosi”. Ora, la destra non è ancora più stupidamente serva degli USA (e del loro peggiore sicario: Israele) di quanto non lo sia già la sinistra? E allora, per concludere: caro Libero (e il suo direttore), tenetevi stretto Prodi e cambiatelo solo quando lo vorranno Montezemolo, Bazoli, Profumo e il resto della “ghenga”.      

 

Aggiungo che gli economisti meritano tutto ciò che di loro dice Feltri nel passo citato all’inizio. In quanto derivo dal marxismo – e non lo rinnego, pur suggerendo ai giovani di volerlo radicalmente rivoltare da cima a fondo onde adeguarlo ai tempi – mi piace ricordare che gli “economisti marxisti” sono quasi sicuramente i peggiori di tutti. Per fortuna sono ormai pochi e in genere si limitano ad impestare le Università, nei settori più arretrati delle stesse. Tuttavia, questo è stato un evento storico assai negativo, perché il marxismo, opportunamente utilizzato (non da individui affetti da sclerosi mentale), è un grande strumento di analisi de-personalizzate, strutturali, lontane dalle “accese diatribe” su chi sia “er mejo” tra Prodi,  Berlusconi,  Veltroni e ogni altro “quaquaraqua” del genere.

Il marxismo è nato, ed è cresciuto nella sua migliore tradizione, come teoria della società, con particolare riferimento a quella moderna, capitalistica. Pian piano se ne sono impadroniti personaggi che hanno voluto tirarne fuori “leggi economiche” o simili. Un vero disastro. Il povero marxismo ha subito una “mutazione” ed è divenuto una pseudoteoria, falsamente scientifica, che ha ideologicamente coperto “costruzioni socialistiche pianificate” destinate ad un fallimento clamoroso e inverecondo (un collasso senza dignitosa resistenza); in occidente, i rimasugli del “marxismo scolastico” sono divenuti “religione” per piccole sette di fedeli, oppure un esercizio accademico con sfoggio di saperi astrusi senza contatto con la realtà e la politica. Nessuna discussione più con simili circoletti di disperati o invece di esaltati.