GLI INTELLETTUALI DEL TRADIMENTO
Fratture sociali, dipinto di P. Audia
Gli intellettuali sono una brutta razza. Davvero insostenibili quando fingono di dubitare. Letteralmente insopportabili quando avanzano certezze inossidabili. Tanto più che queste fantomatiche sicurezze – esposte ex cathedra dal depensatore mediaticamente onnipresente, il quale generalmente schifa il mercato ma non il prezzo della sua lezioncina – sono esclusivamente frutto di una fervida immaginazione ed espressione di una sconfinata vanità che non hanno nulla a che vedere con la rappresentazione del mondo circostante.
Questo pattume avulso dalla razionalità e dalla logica, a cortissimo circuito interpretativo e a stretto contatto con le misere contingenze quotidiane, è il massimo che gli intellettuali riescono ormai a produrre, tra un esercizio di stile e l’altro. I venerati maestri sono dunque dei grandissimi stronzi che estraggono dal loro ego litri di cicuta per dare le allucinazioni a chi li ascolta.
L’astrazione è per costoro mera distrazione, non c’è più nessuno sforzo nel loro riflettere addobbato di vane parole che, per l’appunto, rappresentano l’affettazione ben dialettizzata del nulla e di nient’altro, con pretestuoso richiamo a tutti i grandi del passato di cui sfruttano l’operato. Il rigore della ricerca non li tange perché se le giornate scorrono nello studio si sottrae tempo all’esposizione nello studio televisivo dove la loro superficialità trova maggiore soddisfazione.
C’è del metodo soltanto nella loro maniera di esserci a sostegno della propria autopromozione ben remunerata. E pazienza se tutto ciò intorbida le acque della scienza e avvelena i pozzi della conoscenza. Ecco dove sta vero il tradimento del Chierico che ha trasformato la sua missione intellettuale in una mission di propaganda personale, a ingannamento del prossimo e a puntellamento dei vari poteri che sostiene di avversare.
Tale sfregio alla ragione è indipendente dai gusti ideologici di ciascuno di essi e dagli orientamenti politico-economico-filosofici. Idealisti o materialisti, sistemici o antisistemici, moralisti o anticonformisti, reazionari o progressisti sono fatti della stessa pasta e spargono la medesima melma nella teste altrui. Intellettuali del piffero che affatturano ma soprattutto fatturano a scopo di fama e arricchimento.
I peggiori tra questi sicofanti sono però i cosiddetti contestatori del sistema (che civettano con Marx fraintendendolo di sana pianta) rivolgentisi a versioni antistoriche di comunismo, condito con sciocchezze comunitarie e umanistiche prive di connessioni con l’elaborazione marxiana. Poi ci sono quelli che si allacciano persino ad un generico pensiero di sinistra eticamente superiore, mescolato con molteplici tradizioni, rivalutabili a seconda delle occasioni.
Innanzitutto, occorre dire che richiamarsi a Marx, anche con l’aggiunta di qualche aggettivo di comodo (qualcuno si definisce, per esempio, suo allievo indipendente) ignorando il nucleo della sua teoria scientifica costituisce una truffa intellettuale. In secondo luogo, rifarsi al pensatore tedesco facendo leva su presunte sue previsioni che si sarebbero concretamente avverate, laddove la sua ipotesi principale, quella della generazione di un nuovo tipo di rapporto sociale comunistico, dalle stesse contraddizioni capitalistiche, è stata ampiamente smentita dai fatti, rappresenta un fraintendimento grave e non casuale, molto simile ad un tradimento. Ed oggettivamente lo è, a prescindere dalle intenzioni di chi lo mette in atto. Per Marx il comunismo doveva essere il risultato di un parto ormai maturo nelle viscere del capitale, allorché, all’interno del processo di produzione capitalistico, e in virtù della dinamica seguita dagli stessi rapporti produttivi, si sarebbe venuto a formare, nella medesima produzione, un soggetto alternativo a quello dei proprietari privati del capitale, il lavoratore collettivo cooperativo (dal dirigente all’ultimo giornaliero) che avrebbe preso il controllo della fabbrica espropriando definitivamente gli espropriatori, ormai esclusi dall’economia reale e preponderantemente dediti allo staccamento di cedole. Questo il nucleo fondamentale dell’ipotesi scientifica marxiana e non la cosiddetta espansione del mercato capitalistico a tutto il mondo, già intuita dagli economisti classici.
Chi si richiama al comunismo, ormai impossibile, stando almeno alla lettera fedele di Marx, lo fa aggirando o rovesciando la sua prospettiva teorica e storica in qualcosa di profondamente diverso, persino opposto ai suoi intendimenti. Per tali ragioni, i sedicenti neocomunisti odierni si rincamminino su strade premarxistiche, di utopismo e caritatismo, coinvolgendo il Moro a sproposito nei loro deliri, per colmare il vuoto di una “previsione” non inverata con narrazioni miserabili da quattro soldi e trenta denari.
Tutti i propugnatori anticapitalistici di questo socialismo dei pezzenti rappresentano per noi degli acerrimi nemici da spazzare via al più presto perché dividono le forze potenzialmente antisistemiche e ci impediscono di riprendere a ragionare su basi realistiche e teoricamente proficue.
Ribadiamo che le intuizioni di Marx non erano né moralistiche né idealistiche ma si fondavano su una analisi oggettiva degli sviluppi sociali che avrebbero condotto (non in secoli ma in decenni) alla polarizzazione della società in due blocchi contrapposti, capitalisti rentier da un lato e lavoratore collettivo cooperativo riunificato nelle competenze mentali e manuali dall’altro.
I primi sarebbero stati in minoranza rispetto alla nuova classe venutasi a saldare nella base materiale dell’organizzazione umana. Essendo divenuta quest’ultima il fulcro di rapporti sociali di fatto predominanti avrebbe preso il controllo della struttura economica e poi anche quello delle sovrastrutture politiche, con un’azione rivoluzionaria che avrebbe fatto sloggiare dallo Stato e da tutti gli altri apparati coercitivi e amministrativi, i vecchi dominanti ridotti a nugolo di finanzieri dediti alle speculazioni borsistiche. Ovviamente, per le numerose teste di cazzo che fioriscono nell’accademia e nei tolcsciò, tale supremazia dell’economia di carta, chiamata nei modi più creativi (finanzcapitalismo, turbocapitalismo, capitalismo assoluto ecc. ecc.), con formazione di una superclasse internazionale finanziaria, è un avvenimento indiscutibile. In verità, è una deduzione fasulla, alla luce dell’incipiente multipolarismo geopolitico che rimette al centro della scena mondiale gli Stati e la loro lotta per le sfere d’influenza. Non esiste un’internazionale degli speculatori che quotidianamente complotta contro le classi subalterne al fine di privarle dei loro ultimi averi e riportarle a forme di dipendenza neofeudali. Non è il Bilderberg che governa davvero il mondo. I potenti di tutto il mondo non si uniscono contro le classi lavoratrici della terra per il gusto di soggiogarle ed impedire ad esse di realizzare il migliore dei mondi possibile. E’ in atto uno scontro tra potenze in seguito all’indebolimento dell’unipolarismo statunitense. Il venire meno della supremazia assoluta dell’unico centro regolatore, uscito vincitore dalla guerra fredda contro l’Urss, ha rimesso in moto la lotta tra paesi e aree di paesi per l’egemonia. I terremoti in campo finanziario sono il risultato di questa situazione di disequilibrio o equilibrio sempre più precario nei rapporti di forza tra entità statali nello spazio globale. Sono processi, peraltro ricorsivi, già verificatisi in altre fasi capitalistiche poi sfociati in conflitti bellici di varia portata. Eppure dietro ciò il filosofo, allievo indipendente di Marx, ci vede la mano di una spectre globale: “…il Bilderberg [i cui interessi] sono ampiamente noti, perché coincidono con quelli del finanz-capitalismo della fase assoluta del capitalismo. Tali interessi orbitano intorno al fuoco prospettico dell’eliminazione degli Stati nazionali e dei diritti sociali, della creazione di un’immensa pauper class precarizzata, nomade e disposta a tutto pur di sopravvivere, della distruzione delle costituzioni e dei confini nazionali, della creazione di nuovi trattati internazionali vincolanti mediante il primato economico e bancario, dell’offensiva integrale al mondo del lavoro e delle garanzie sociali”. Insomma, non ha capito niente il figosofo ma il Manifesto, quotidiano comunista e di sinistra soi–disant, ha inserito il nome di costui, insieme a quello di tanti altri tromboni di sinistra, in una lista di intellettuali per fare egemonia culturale (come si diceva un tempo) contro il neoliberismo. L’unica cosa che questi riusciranno a fare è gonfiarci le palle e farci cadere le braccia.
Infine, vorrei riportare un paragrafo di un vecchio pezzo di Gianfranco La Grassa sulla sinistra fucina di tutti i tradimenti. Qualcuno, compresi i cosiddetti comunisti del III millennio o gli antagonisti dei centri sociali (in conflitto soprattutto col loro cervello) continuano a richiamarsi alla sinistra rinnegando la vera tradizione comunista che di sinistra non è mai stata. Almeno a questo dovrebbero arrivarci ma non ci arrivano perchè sono stupidi o in combutta col nemico. In nome di questa appartenenza, costoro si scagliano contro obiettivi retrò come i fascisti di Casa Pound (dei quali dovrebbero essere alleati perché condividono il medesimo passatismo, anche se i casapoundisti mi sembrano meno antichi e meno fottuti di testa) o una versione di fascio territoriale, il leghismo (che però avversa gli Stati Uniti e appoggia la Russia di Putin, mentre i collettivi di sinistra tifano pe le rivoluzioni colorate, infidamente sostenute dagli Usa, e per i diritti civili più stupidi ed inutili, dietro ai quali si stagliano le ONG di Soros e di altri figli di puttana yankee, distraenti dagli autentici problemi del momento storico).
LA SINISTRA E’ QUELLA COSA (di Gianfranco La Grassa)
La sinistra è quella “cosa” che ha sempre tradito. Nel 1914 ha appoggiato l’entrata in guerra, malgrado un congresso internazionale di qualche mese prima in cui aveva preso il solenne impegno di opporsi alla guerra; è stata corresponsabile della putrefazione e parassitismo della Repubblica di Weimar (di cui fu Ministro, mi sembra nel 1929, il fu marxista Hilferding) che aprì la strada ad una delle più grandi tragedie storiche; fu – purtroppo – maggioritaria nel Fronte Popolare francese, sommamente vigliacco e infame nel suo non appoggio ai repubblicani (antifranchisti) spagnoli; fu molto più debole dello stesso De Gaulle contro la Repubblica di Vichy; tralascio di dire la pusillanimità dimostrata in fondo anche nella Resistenza italiana. Tutte le volte che i comunisti si sono dimostrati persone serie, hanno proposto per la sinistra i plotoni di esecuzione! La sinistra è l’assoluta corruzione, la perversione della verità, il massimo di relativismo morale e di camaleontismo politico; è insomma il cancro che corrode la società e tradisce in continuazione il popolo, e per il cancro è necessaria la chemioterapia o l’asportazione chirurgica.
I falsi “comunisti” italiani di oggi la appoggiano perché sarebbe il “meno peggio”; e sol perché dall’altra parte c’è Berlusconi, l’anomalo, la sentina di tutti i vizi e i mali della società italiana, anzi mondiale. Per me c’è semplicemente, da una parte, un ladro, e dall’altra dei rinnegati, dei bugiardi, dei complici di coloro che hanno sputtanato la stessa idea di comunismo con l’esperienza del “socialismo reale”, e via dicendo (la lista degli improperi dovrebbe essere stampata su un libro di almeno un migliaio di pagine). …