GLI SCOPRITORI DELL'ACQUA CALDA (di G. Gabellini)

Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, leggendo gli ultimi sviluppi relativi alle "bordate" di Wikileaks, che starebbero mettendo in luce la concreta intenzione statunitense di sottrarre all'egemonia russa quello che Aleksandr Solzenicyn definì "Sottopancia" ex sovietico e l'appendice europea della massa continentale eurasiatica.

Sembra che la NATO avesse infatti elaborato una strategia volta da un lato a puntellare le difese militari nelle tre repubbliche baltiche (Lettonia, Lituania ed Estonia) e nella Polonia, facendo leva sulla loro marcata vocazione antirussa, e dall'altro a esercitare pressioni sui propri sodali installati nel Caucaso affinché disponessero azioni dimostrative al fine di provocare una reazione del Cremlino da distorcere e strumentalizzare a dovere (per mano dei tanto decantati media anglosassoni, promotori del falso e ridicolo motto "i fatti separati dalle opinioni") per provocare il solito "sdegno" a orologeria della cosiddetta "comunità internazionale" (leggi: USA e Israele). A Mosca si stanno saggiamente trincerando dietro una spessa cortina di silenzio assai sibillino, che preclude ai loro diretti oppositori di Washington ogni possibilità di farsi un'idea di cosa stia concretamente bollendo in pentola in quel del Cremlino. Del resto, un animale politico dello spessore di Vladimir Putin aveva capito in che direzione tirasse il vento già svariati anni fa, e senza che nessun martire della libera informazione fresco di investitura alla Julian Assange si prodigasse in clamorosi quanto vacui sfondamenti di porte aperte come quelli resi noti negli ultimi tempi. Per comprendere a fondo le dinamiche e gli sviluppi che hanno coinvolto tutti gli stati confinanti con la Russia in tutti questi anni è infatti estremamente opportuno lasciare l'"affaire Wikileaks" ai filibustieri che affollano le redazioni giornalistiche occidentali e focalizzare l'attenzione su ciò che una quindicina di anni fa scrisse quella vecchia volpe di Zbigniew Brzezinski nel suo “The grand chessboard” (“La grande scacchiera”): "L'America è troppo democratica in casa per essere autocratica all'estero. Ciò limita l'uso della potenza, specialmente la sua capacità d'intimidazione militare. Mai prima una democrazia populista ha conseguito la supremazia internazionale. Ma perseguire il potere non è uno scopo che suscita la passione popolare, a meno che non si produca una condizione di improvvisa minaccia al sentimento pubblico di benessere. Il sacrificio economico e il sacrificio umano richiesti da tale sforzo sono contrari agli istinti democratici. La democrazia è nemica della mobilitazione imperiale". E' stupefacente prendere atto della lucidità che un singolo passaggio di Brzezinski, assemblato alla sua ferrea convinzione di disintegrare la potenza russa, sia in grado di spiegare tutto ciò che è accaduto nel rimland, quella fascia territoriale che circonda l'heartland, il "cuore della terra". Brzezinski pone l'accento sul fatto che la democrazia è nemica della mobilitazione imperiale, ma non dell'imperialismo in sé, ed è alla luce di questo assunto che si spiega l'ostilità di Brezinski nei confronti dello sciagurato avventurismo neoconservatore e la sua predilezione per una strategia fatta di alleanze, connivenze, vicinanze e contiguità volte a far si che a tutelare gli interessi americani all'estero non siano direttamente i marines statunitensi, ma interposti sodali stranieri (uomini politici, soldati, preti, banditi, mafiosi, giornalisti e chi più ne ha più ne metta) da reclutare in giro per il mondo per mezzo di una fitta rete di sottogruppi della CIA mascherati da Organizzazioni Non Governative, da sponsorizzare mediante l'uso capillare di tutti i mass media (magari acquistati dai generosi fondi erogati dal "filantropo" popperiano George Soros). Questa tecnica, messa in atto con abilità e tenacia, ha fatto si che in molte delle repubbliche ex sovietiche salissero al potere, in seguito alle cosiddette "rivoluzioni colorate", individui estremamente asserviti agli USA e animati da una forte ostilità nei confronti della Russia. Si trattava di fomentare dissidi di varia natura (con metodologie descritte in un altro articolo) interni agli stati al fine di esaltare il furore popolare, per poi canalizzare l'energia delle masse nelle vie più gradite a Washington, allo scopo di ottenere quei "cambiamenti" funzionali alla tutela degli interessi americani. Così, gli archi di crisi vennero aperti in Kirghizistan e, soprattutto, in Ucraina, con moti di piazza eloquentemente denominati (rispettivamente) "rivoluzione dei tulipani" e "rivoluzione arancione", che portarono agli insediamenti di Kurmanbek Bakiyev sul trono di Biskek e di Viktor Yushenko su quello di Kiev. Con l'ascesa al potere del filoatlantico Jushenko e della sua sodale Julia Tymoshenko, gli USA dimostrarono di aver fatto tesoro delle dritte di Brzezinski, il quale aveva scritto che "La Russia senza l'Ucraina può ancora battersi per la sua situazione imperiale, ma diverrà un impero sostanzialmente asiatico, probabilmente confinato in conflitti usuranti con le nazioni dell'Asia centrale, che sarebbero sostenute dagli Stati islamici loro amici nel sud". Un altro fronte importante ai fini di arginare l'egemonia russa è quello del Caucaso, che Brzezinski definisce significativamente "Balcani eurasiatici", in riferimento alle spiccate analogie che l'area in questione presenta con quella dominata dalla catena montuosa centroeuropea. La cruciale importanza strategica dell'area, che comprende Georgia, Cecenia e tutte le repubbliche che si estendono lungo la striscia territoriale che divide il Mar Nero dal Mar Caspio, è dovuta essenzialmente al suo ricchissimo sottosuolo e alla galassia di etnie multiconfessionali in aperto conflitto tra loro che ospita; fattore, quest'ultimo, particolarmente importante, poiché conferisce un elevatissimo coefficiente d'ingovernabilità all'area ed evita così che essa finisca sotto il controllo di una qualsiasi delle grandi potenze eurasiatiche. In Cecenia, è in atto un sanguinosissimo contenzioso tra Mosca e Grozny, che rivendica un'indipendenza sempre categoricamente negata dagli organi centrali russi. In questo contesto, si distinguono alcune frange terroristiche (cosa che si riscontra ovunque vi siano interessi americani da tutelare) macchiatesi per attentati particolarmente efferati, come la strage di bambini di Beslan o il sequestro, sviluppatosi in tragedia, degli spettatori del teatro di Mosca, ed altrettanto privi di logica, del tutto controproducenti per la causa che i rivoltosi affermano di condurre. Una logica che però si fa di colpo lineare se si inseriscono gli apparentemente illogici eventi nel più ampio disegno destabilizzante architettato da Brzezinski, che mira a rendere eterna la balcanizzazione e mettere a repentaglio la capacità d'influenza russa nell'area. Eloquenti, in questo senso, sono alcune "contiguità" di alcuni capi della guerriglia cecena con gli USA, come nel caso di Rizvan Chitigov, sul cui corpo freddato dalle forze armate russe fu trovato un permesso di residenza permanente negli USA, o quello dell'esule Ilias Akhmadov, a cui gli stessi USA hanno prontamente concesso l'asilo politico malgrado si trattasse di uno dei maggiori ricercati in Russia. Sul fronte georgiano, la "rivoluzione delle rose" portò alla destituzione del presid
ente Eduard Shevardnadze e al conseguente insediamento di Mikhail Saakashvili, l'individuo che sfidò apertamente l'Armata Rossa nella calda estate 2008, intervenendo militarmente nelle regioni autonome di Abkhazia e Ossezia del Sud provocando la violenta reazione del Cremlino. Putin e Medvedev si mossero con una fermezza imprevista, tale da sbigottire persino i numerosi guerrafondai neoconservatori presenti nell'allora amministrazione Bush. Tutte queste manovre finalizzate a isolare Mosca e a frenarne l'impeto mediante l'istituzione di una miriade di stati cuscinetto ostili a Mosca potevano effettivamente assestare un duro e definitivo colpo alle sue prospettive di ripresa, ma Putin seppe leggere in tempo reale la situazione e si prodigò attivamente per trovare efficaci contromisure alla pericolosa offensiva statunitense condotta seguendo i saggi "consigli" del geostratega Brezinski. Riaffermando il ruolo dello stato sul delirio di onnipotenza dei mafio – oligarchi, alcuni dei quali direttamente al soldo della grande finanza anglosassone (Mikhail Khodorkhovskij su tutti), e avvalendosi delle ingenti risorse russe più in chiave marcatamente offensiva che commerciale, Putin è riuscito a ristabilire il ruolo egemonico della Russia sul rimland e sulle repubbliche centroasiatiche. Tessendo trame diplomatiche con tutti i paesi euroasiatici, egli è riuscito a riacquistarne il favore di alcuni, e di migliorarne i rapporti con gli altri. L'Ucraina ha velocemente dimenticato gli anni bui vissuti sotto Yushenko, protagonista dello sconsiderato braccio di ferro con Putin legato alle royalties, e si è ora affidata al filorusso Viktor Yanukovich, che ha immediatamente normalizzato i rapporti con Mosca, mentre la nemica giurata Polonia sembra stia dando luogo ad una sorta di appeasement, iniziato a ridosso della sciagura aerea in cui è deceduto gran parte dello "stato maggiore" legato a Kacynsky. Il gigante cinese è oramai uno stretto partner commerciale (armi e idrocarburi soprattutto) con cui la Russia non disdegna di effettuare colossali manovre militari congiunte mentre diversi paesi europei, tra cui spiccano Italia e Germania, stanno facendo passi da gigante verso Mosca, facendo venire l'orticaria ai facinorosi strateghi del pentagono. Non era certo necessario che la canea mediatica si scatenasse sulle "bombe" di Wikileaks perchè Putin (e chiunque si sia soffermato a riflettere con un briciolo di obiettività sulla realtà) si accorgesse delle brame statunitensi, ed è quantomeno curioso e sospetto che nessuno dei documenti "scottanti" contenga lo straccio di una critica o di una "rivelazione" su Israele, mentre alcuni di essi, contenenti indicazioni relative alla presunta, sbalorditiva posizione cinese nei riguardi del contenzioso tra le due Coree (la Cina propenderebbe per un'unico stato sotto l'egida della Corea del Sud, stando a Wikileaks), e alle pesantissime ripercussioni che l'attuale linea politica tenuta da Erdogan potrebbe sortire sui rapporti di storica amicizia con gli USA, siano stati pubblicati con una tempistica che ha veramente del premeditato. In sostanza, l'intero "affaire Wikileaks" pare l'ennesimo tentativo statunitense di riaffermare le proprie direttive. Gli stati europei sono caldamente invitati a guardarsi molto bene dall'assecondare le smanie eurasiatiche di Putin, la Turchia a rivedere le proprie recenti scelte politiche, la Cina a non uscire assolutamente dal seminato. E tutti si ricordino bene che la Russia è "il male". Che mondo sarebbe, senza Wikileaks?