GLI STRATEGHI AMERICANI SCARICANO OBAMA SULL’UCRAINA?
Il fronte americano è tutt’altro che compatto dietro alla non strategia mondiale del Presidente Obama. L’Affaire ucraino lo prova una volta di più. Gli esperti statunitensi iniziano a mugugnare sulle scelte del Capo che lasciano insolute ataviche e incancrenite questioni, per aprire nuove ferite. Fomentare ed inseguire il caos simultaneamente su scenari multipli e differenziati presenta dei rischi che possono diventare incontrollabili per chiunque, anche per la prima potenza globale. La favola dell’esportazione della democrazia e delle primavere del popolo contro i satrapi e gli autocrati regge finché la piazza, o almeno la parte sincera di questa, non capisce l’imbroglio. Ciò avviene quasi subito, sin dall’ autoproclamazione dei governi di sedicente liberazione nazionale che si trasformano in macchine di riciclaggio politico di impresentabili gerarchi, miliziani, oligarchi e, persino, criminali. Al Cairo come a Kiev. Chi credeva nel cambiamento pacifico si ritira e sul campo, a contendersi le membra dello Stato, resta la peggiore marmaglia aizzata dai soldi e dall’appoggio militare di Washington che si disputa il comando con un’ulteriore guerra per bande. La successiva stabilizzazione dei contesti infiammati ad arte è resa impossibile da tali inevitabili risvolti ma, soprattutto, dai nuovi rapporti di forza mondiali che non sono più informati sull’unipolarismo a predominanza Occidentale. Non c’è più un solo Paese a decidere i destini di tutti. Prima la Siria e poi l’Ucraina hanno dimostrato che l’iniziativa unidirezionale sfocia nel bagno di sangue non risolutivo, aggravante il disordine e logorante le relazioni tra attori geopolitici. Nonostante queste evidenze le rappresentanze atlantiche hanno giocato un altro brutto tiro nel cuore dell’Europa, ai confini e nella sfera egemonica di un gigante regionale qual è la Russia. Quest’ultima ha reagito, non aggredito, per preservare il proprio spazio vitale. Ed eccoci davanti al pericolo di un’altra balcanizzazione nel Vecchio Continente, per avventurismo e scarsa comprensione della fase. Come scrive John J. Mearsheimer, professore di scienze politiche dell’Università di Chicago, Obama ha commesso un grande errore. Anzi due. Il primo è stato quello di sostenere con mezzi leciti ed illeciti i settari di Maidan, il secondo è stato quello di essere passato a minacciare il Cremlino di sanzioni economiche e frapposizioni militari. Tutto questo esaspererà la controversia in corso laddove è tempo di correggersi e di mediare. Afferma Mearsheimer: “Washington played a key role in precipitating this dangerous situation, and Mr. Putin’s behavior is motivated by the same geopolitical considerations that influence all great powers, including the United States”. Questa non è propaganda russa, né disiformatia del FSB. Washington vuole inglobare Kiev nella Nato per spegnere le aspirazioni russe, ricacciandole indietro anche geograficamente. Se questo non è un buon motivo per comprendere le ragioni di Putin…Il Cremlino, continua il professore, ha già subito in passato pesanti umiliazioni dall’Alleanza Atlantica che ha fagocitato molti paesi della sua orbita, con il solo scopo di arginarne le aspettative di rinascita ed imporgli l’isolamento. Dal 2008, anno della crisi georgiana, la situazione è cambiata. Mosca ha tracciato una linea che divide il resto dal mondo dal proprio raggio d’azione. Nessuno deve metterlo in discussione. Sostenendo il golpe Ucraino gli Usa hanno oltrepassato il limite. Sia in senso fisico che morale. Spiegato questo, chi può biasimare Putin? Se lo chiede anche Mearsheimer. Che rincara la dose: “After all, the United States, which has been unable to leave the Cold War behind, has treated Russia as a potential threat since the early 1990s and ignored its protests about NATO’s expansion and its objections to America’s plan to build missile defense systems in Eastern Europe. One might expect American policymakers to understand Russia’s concerns about Ukraine joining a hostile alliance. After all, the United States is deeply committed to the Monroe Doctrine, which warns other great powers to stay out of the Western Hemisphere”. Parole che si devono sottoscrivere una per una se si vuole evitare di portare ogni difficoltà alle sue estreme conseguenze, con i drammi umanitari che sappiamo. Mearsheimer si aspetta che Obama inizi finalmente a pensare strategicamente per non finire ancora in altri cul de sac, ma non c’è da sperarci troppo. Intanto, le armi a disposizione dell’Occidente per fare pressioni sulla Russia sono alquanto spuntate, mentre appaiono più efficaci quelle di Mosca contro l’Ovest: “The West has few options for inflicting pain on Russia, while Moscowhas many cards to play against Ukraine and the West. It could invade eastern Ukraine or annex Crimea, because Ukraine regrettably relinquished the nuclear arsenal it inherited when the Soviet Union broke up and thus has no counter to Russia’s conventional superiority. Furthermore, Russia could stop cooperating with America over Iran and Syria; it could badly damage Ukraine’s struggling economy and even cause serious economic problems in the European Union due to its role as a major gas supplier”. In ogni caso, a prescindere dalle sanzioni o interventi diretti che i partners occidentali intenderanno attuare, Putin non indietreggerà di un millimetro dalla sua posizione perché sono in ballo il futuro della sua leadership e quello dell’intera nazione, la quale si demoralizzerebbe fino a perire senza una proiezione destinale (qualcuno la definirebbe imperiale) oltrepassante i suoi immediati confini empirici.
Gli americani, almeno quelli più intelligenti, stanno arrivando ad una conclusione: o Obama cambia strada o presto cambieranno Obama (e la sua fallimentare strategia), anche nel senso che prossimamente si guarderanno bene dall’investire nuovamente della carica un personaggio simile a lui, espressione di interessi deleteri, data l’epoca storica, per gli Usa ed i loro obiettivi.