Gli USA, ovvero il trionfo della religione dell’inganno e della soperchieria” Di Oronzo Mario Schena

Gli USA, ovvero il trionfo della religione dell’inganno e della soperchieria” Di Oronzo Mario Schena

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gli USA, ovvero il trionfo della religione dell’inganno e della soperchieria

Correva voce, in quel tempo, diciamo all’incirca una dozzina d’anni addietro, ovvero si era nell’anno 2012, che il monumentale albero La Regina avesse avuto un grave malore alla notizia d’essere stata assegnata nel mese di maggio, con tanto di firma ufficiale-istituzionale, a, nientepopodimenoche, Michelle Obama. Insomma al marito il Nobel per la pace, e lei, un olio pregiatissimo, eccola sbattuta in bottiglia con appiccicata la foto della First Lady degli Stati Uniti!

Michelle, ma Michelle chi? – pare avesse chiesto “La Regina”. Ma sì, la First Lady degli Stati Uniti, quella signora impegnata allo spasimo nella campagna salutista “Let’s move!”, affinché i giovani e giovanissimi americani crescessero in maniera più sana: “verdure, frutta, cibi naturali e attività fisica” – , le venne risposto.

Non si può escludere che sia stato il violento choc procurato dalla notizia dell’assegnazione onoraria a Michelle O. ad aver causato il dimezzamento della produzione  di olive, di cui era di solito capace “La Regina” (quell’anno solo poco più di tre quintali raccolti). La foto di Michelle, poi finita appiccicata sulle bottiglie con dentro la spremitura delle sue pregiate olive, finì col dare il colpo di grazia all’ultramillenario ulivo: com’erastato possibile, proprio lei, “La Regina”, un ulivomeraviglioso, iconizzata e scorbacchiata con tre parole “Nettare della Regina” e una foto (di Michelle), e tutto per salire un altro gradino verso l’equiparazione totale della finzione alla verità, attraverso un mirabile lavoro di confondimento di massa tra pace e guerra, tra olio extravergine e bombe! 

Un confondimento di massa tra campagna salutista per i giovani americani (quelli della fascia “protetta”) a base di cibi naturali e attività fisica, e “campagne salutiste, invece, si fa per dire, per i giovani libici, afghani, ecc. ecc.,ovvero per la carne da cannone, a base di droni, missili e bombardamenti, tutti quanti rigorosamente “naturali”, a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita, e … e non potrete mai sapere-capire quanto possano esserebenefiche le bombe e le coventrizzazioni delle città per una corretta attività fisica!

Correva poi voce che “La Regina” avesseaccarezzato a lungo il sogno d’essere un bel giorno “assegnata” a Giuseppe Di Vittorio; in fondo, per secoli, Lei aveva amorevolmente raccolto sulle Sue radici le lacrime e il sudore di braccianti e contadini, e quale assegnazionesarebbe mai stata simbolicamente più giusta di quella al bracciante-sindacalista di Cerignola?

Una volta accantonato il “sogno Di Vittorio”, negli ultimi anni, visti i tempi politicamente bui, pare che “La Regina” abbia sperato d’essere assegnata, almeno almeno, a un tal Sigismondo Castromediano. Questo Sigismondo non era certo figlio di braccianti, né mai aveva lavorato la terra, si trattava, infatti, d’una delle figure più illustri del patriziato di Terra d’Otranto, duca di Cavallino, solo a una manciata di chilometri da Vernole.

Però, però, però, questo Sigismondo, cioè questo duca Sigismondo C., aveva partecipato alla Settima Adunanza degli Scienziati italiani, tenutasi a Napoli nel 1845, con un lavoro sull’agricoltura e sulla pastorizia di Cavallino. Non solo, questo tal Sigismondo C., cioè duca Sigismondo C., era stato segretario del circolo patriottico salentino nel 1848-49, ed ebbe a pagare molto caro questo tradimento di classe. Fu infatti arrestato con un gruppo di patrioti leccesi,e condannato a trent’anni di carcere. Fu infinerinchiuso, con i ferri saldati alle caviglie, nelle segrete di Procida, di Montefusco e di Montesarchio.

Il carcere, però, non riuscì a piegare i suoi ideali liberali; anzi, convocato a Napoli per ordine di re Ferdinando, davanti al prefetto di polizia  che lo lusingava dicendogli: “Signor duca, quanto cuore ha il re! Generoso e clemente, soffre per chi non gli chiede la grazia. Abbiate fiducia e chiedetegliela pur voi”.

Sigismondo Castromediano, impallidito per l’oltraggio, preferì rispondere: “Signori, io non supplico; se ho da supplicare, è di mandarmi al più presto a Montefusco, tra i compagni che vi lasciai” (Sigismondo Castromediano, Carceri e galere politiche. Memorie, Lecce R. Tipografia Editrice Salentina 1895, vol. II, p. 56).

E, una volta libero, quel tal Sigismondo C.,malgrado il dissesto “da carcere” del suo patrimonio ducale, ebbe a rifiutare sia l’indennizzo previsto dal potere garibaldino per i danneggiati politici meridionali, sia i sussidi e le liberalità del potere reale. Nel 1861-1865 fu pure deputato, ma per un secondo mandato non lo volle nessuno, e Sigismondo C. non recriminò, ma si dedicò all’organizzazione d’un museo archeologico tra i più importanti d’Italia.

Corse altresì voce che, dopo l’assegnazione onoraria a Michelle Obama, “La Regina” abbia cercato il conforto, nello stesso appezzamento di terreno, di altri due monumentali ulivi, “Il Re” e “Il Faraone”, ambedue gravemente preoccupati per future assegnazioni onorarie. Pare inoltre che, al calar delle tenebre, si sia levato nelle campagne di  Vernole come una geremiade a mille e più voci tutte trascinate dai tre ultrasecolari ulivi. È così che un accorato, straziante lamento, a metà strada tra un bisbigliar di rami e foglie e un quasi canto, prese a viaggiare tutte le notti nelle campagne di Vernole fino a far esplodere il cielo, quasi fossero fuochi artificiali. Qualche passante credetteaddirittura di riconoscere in quegli strani rumori-mormorii di rami e foglie il ripetersi ossessivo, cadenzato e puntuale d’un ritornello d’un paio di versi d’una nota canzone di Paolo Rossi: “… era meglio morire da piccoli, che vedere ‘sto schifo dagrandi …” (1).

Povera sventurata “La Regina”, aveva fatto sogni di dignità troppo grandi! Va pur detto, inoltre, che in quel tempo in Italia, dalla destra, al centro, alla sinistra, erano tutti pazzi per amore … per gli Obama (una pazzia di vecchia data, dunque). Quelli di sinistra, sia la base elettorale, sia la cremaistituzionale e di partito, nel loro Pantheon ci tenevano, infatti, per lo più papi e cardinali (che, in verità, con Cesare non dovrebbero averci molto a che fare), e un “Di Vittorio credono sia uno strano complemento di specificazione o, se pensano proprio a Lui, al Giuseppe di Cerignola, pensano a quel Lui che spaventerebbe tutti (per dirla in stile Bersani (2).  Per “La Regina”, dunque, anche un’assegnazione onoraria a Sigismondo Castromediano si rivelò un sogno irrealizzabile, perché Sigismondo C. sarà stato un patrizio, ma dalla schiena diritta, infine pure patriota e con dignità da vendere.

Povera sventurata “La Regina”, non solo Di Vittorio, ma anche i valori del Risorgimento e i patrioti di quel tempo erano finiti all’indice e spaventavano (per ridirla in stile Bersani); e se pure quei richiami dovessero comparire ancora in qualche sortita liturgica (tipo 25 aprile) del Massimo Garante dei pochi resti dell’insepolto cadavere della nostra Costituzione, è forte il sospetto che possa trattarsi di formulazioni semantiche vuote, o di svolazzi aulici. Nient’altro, insomma, di un uso puramente retorico e ornamentale del passato, oppure, molto, molto più semplicemente, si trattava di pigliate a gabbo. In fondo in fondo in fondo, anche i Presidenti possono avere un debole per il giuoco e per le burle, e che diamine!

È un peccato, però, che la riscossa della dignità dell’asservita Italia non sia potuta ripartire dalle piante!

(dove si paragona la visione profetica alla presbiopia).

DANTE  Inferno canto X:


«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.                  102

Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.                             105

Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta».                               

Primo maggio di festa oggi nel Viet-Nam e forse in tutto il mondo, primo maggio di morte oggi a casa mia ma forse mi confondo (Claudio Lolli)

NOTE

1)Paolo Rossi – Era Meglio Morire Da Piccoli (La Lista) (1994)

https://www.youtube.com/watch?v=l1GWuIDEJBM;

2) https://www.youtube.com/watch?v=XoGRZB6Cfns– Claudio Lolli -primo maggio di festa in  VIETNAM;

2) Luigi Bersani (uno degli eredi di E. Berlinguer) ha indicato nel suo Pantheon Papa Giovanni XXIII, come un uomo che seppe operare “cambiamentiprofondi, ma sempre rassicurando“, mai seminando spavento!;

(http://www.repubblica.it/speciali/politica/primarie-pd/edizione2012/2012/11/14/news/pantheon_senza_bussola-46595769/)

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C’era una volta, “l’impero del bene”, ovvero l’impero degli USA, ma la cosa non sarebbe poi così certa, anzi potrebbe benissimo trattarsi d’una favola. Comunque proveremo a raccontarla grazie ad alcuni piccoli  stralci estratti da un libro di Nico Perrone:

-Tratto da “Obama –“il peso delle promesse” Edizioni Settecolori -2010 di Nico Perrone:

Una scelta da condannare

p.37 Proprio a proposito di simboli, resta Cuba a pesare. Simbolo negativo dell’America prima di Obama. Nei confronti di Cuba non è cambiato niente. L’embargo rimane. Pareva che ci fossero  delle buone intenzioni, ma il presidente Obama ha prolungato ancora, di un altro anno, la misura punitiva nei confronti del popolo cubano. Purtroppo questi atti gli stanno dando ragione. Era sembrato che Obama avesse una volontà diversa, ma la sua amministrazione – il segretario di stato Hillary Clinton, altri notabili – evidentemente non consentono questo passo. Al quale lo stesso Obama non sembra personalmente talmente determinato da sfidare le resistenze che ci sono all’interno dell’amministrazione americana. Seguendo la logica degli equilibri politici Obama lo si può capire. Ma per passare alla storia occorre ben altro. La riforma sanitaria è molto importante, ma il profilo internazionale dell’America, nelle situazioni più difficili e controverse, è il punto essenziale. Occorre coraggio, occorre la capacità di sviluppare e allargare il consenso su argomenti di grande respiro. Se non lo si fa, si può essere un buon presidente, migliore di altri. ma per passare alla storia, la politica estera è un punto irrinunciabile. Con questo non si vuole dire certamente che Cuba sia il problema chiave. Ma è un problema che ha caratterizzato gli Stati Uniti.

Questa scelta di Obama è da condannare. Egli che ha perso la prima possibilità di dare una svolta vera nei confronti di Cuba.

p.38 Palestina:

Un  nodo da sciogliere è Israele. Lì il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Hussein Obama II non può sbagliare. In America, il potere è condizionato per tradizione antica, da lobbies molto influenti. Quella finanziaria, quella militare; e quella ebraica che agisce come tale ma pesa anche attraverso le prime due. Si spiega perciò come un fattore di forte peso nelle decisioni dell’amministrazione americana sia esercitato, a livello diplomatico e politico, dallo stato d’Israele. Quest’ultimo, agendo anche dall’esterno degli Stati Uniti, è l’unico ad avere una influenza sostanziale sulla politica americana. Rispetto a Israele, si sono dimostrati sempre condiscendenti e talvolta parziali fino a consentire che la potenza regionale dello stato d’Israele si trasformasse in un punto di forza dell’intera politica internazionale.

Nella Palestina, questo ha avuto qualche conseguenza molto significativa, con ripercussioni molto al di là delle relazioni fra i due stati. Per esempio gli insediamenti ebraici inPalestina si sono potuti estendere sempre più e trasformarsi da tattici e temporanei, in annessioni territoriali di fatto, alterando completamente l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente. La conseguenza è stata che gli antichi nativi della Palestina e i loro discendenti venissero trasformati in people, senza patria, senza terra, senza avvenire; con diritti assai limitati rispetto al potere degli occupanti israeliani. Fra i diritti perduti da buona parte della popolazione nativa, c’è quello della proprietà el suolo, che viene confiscato qualora i legittimi proprietari non siano in grado di farlo valere con la presenza: dalla quale essi sono spesso impediti dall’occupazione. Per non dire delle rappresaglie subite dai nativi congiunti di terroristi arabi o sospettati sostenere la resistenza. Questa evoluzione avvenuta nella occupazione de factoal di fuori di qualsiasi fondamento giuridico – non era scritto i nessun accordo internazionale, in nessuna decisione delle Nazioni Unite. È stato imposto con la forza delle armi e sostenuta dalla diplomazia americana. Per contenerla le nazioni Unite hanno deliberato decisioni e raccomandazioni, ma queste sono state disattese, perché Israele ha potuto contare sul sostegno formale e sostanziale degli Stati Uniti. I Palestinesi non avevano alcuna forza per farle valere, se non quella della resistenza disperata, suicida e sanguinosa: ma priva di risultati. La loro resistenza è stata assunta anzi dagli occupanti israeliani come motivo per rappresaglie e per estendere – in nome della securety- le zone sottoposte alle occupazioni.

Giustificazioni formali per questa lunga escalationdi violenza e di terrore non ce ne sono. Il supporto sostanziale, più volte affermato nei fatti era contenuto in una logica di unilaterale securetydi Israele, invocata come supporto per il consolidamento degli interessi economici e strategici dell’occupante.

Ora non basta più affermare che Israele deve fermarsi nel costruire nuovi insediamenti, perché ne ha già costruiti numerosi in modo illegale. Basterebbe invece imporre a Israele l’obbligo di rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, che si sono inutilmente susseguite per decenni e sono rimaste inosservate perché a sostenere lo stato ebraico c’erano principalmente gli Stati Uniti.

Un periodico influente, The New Yorker (29 marzo 2010), che sostiene Obama senza fargli mancare le critiche necessarie, in un articolo di Elizabeth Kolbert ha scritto che “molti americani giustificano la politica di Israele in termini di reminiscenze ataviche”. Perciò, persino quando gli americani “giustamente deplorano l’ingiustizia dell’occupazione e la guerra dello scorso anno a Gaza, mancano di riconoscere la complessità e la difficoltà di cercare di raggiungere una risoluzione del “problema“considerato che i palestinesi sono divisi in modo talmente rovinoso” che “tanti sostenitori israeliani della soluzione dei due stati, dopo Oslo, Camp David e Taba hanno disperato di trovare un accordo praticabile”.

Obama anche in queste divisioni trova utili ragioni per moderare le sue pressioni nei confronti di Israele, per limitare le sue condanne – peraltro moderate- ai casi di più odiosa prevaricazione israeliana nei confronti degli abitanti dei territori occupati. In tal modo, anche il riequilibrio della situazione nella Palestina – che era fra le promesse di Obama– non viene considerato un problema prioritario.

Moderate pressioni nei confronti di Israele

p.41- le ragioni del potere e della forza hanno fatto mettere da parte i diritti dei colonizzati palestinesi, con la stessa logica che per secoli aveva attraversato la cultura, la pratica militare e l’attività diplomatica dei paesi occidentali. In nome di un valore, quello della freedom, che veniva esportato a vantaggio dei colonizzatori conculcando i diritti degli altri. Il nodo è proprio lì. È un fatto di civiltà, che richiama gli stessi valori sui quali la civiltà moderna si è costruita, che sono unicamente valori di libertà dei commerci dei colonizzatori.

La formula originaria della liberazione era nata invece nell’illuminismo, che ha insegnato a coniugare, tutti insieme in un unico concetto liberté, egalité, fraternité, tre elementi il cui significato si falsa del tutto se non restano connessi tra loro. Ridotti alla sola liberté, non rivestono più un interesse generale e popolare, ma si riducono a uno slogan per lo sviluppo dei mercati. Non è casuale che la formula mutilata sia sostenuta in modo particolare dagli Stati Uniti. Quella formula politica, nella sua complessità di liberté, egalité, fraternité, era stata pronunciata la prima volta da Maximilien de Robespierre il 5 dicembre 1790, all’Assemblée Nationale di Parigi. Freedom, ossia la libertà isolata dal contesto della rivoluzione francese nel quale aveva acquistato ben altro segno, negli Stati Uniti è diventata invece una bandiera ideologico politica per dare predominio ai mercati e un ruolo dominante sulla vita politica. Essa rappresenta  quindi soltanto il diritto politico dei ceti possidenti.

Tutto questo è estraneo alla cultura e alla politica americana che si basano invece sulla freedom, la sola libertà. Col solo riferimento alla libertà, si sono costruiti i grandi stati imperialisti, il domino attraverso il colonialismo, il potere della finanzacome massimo riferimento economico e culturale.

Obama ha annunciato invece qualcosa di diverso, di molto più articolato. Ha indicato la strada per un umanesimo… Quando ha promesso un programma previdenziale che copra tutta la popolazione, e non più soltanto chi aveva potuto permettersela o l’aveva ottenuta in particolari rapporti di lavoro, egli indica la strada per realizzare il terzo elemento di quella formula d origine francese e di realizzazione europea. Indica la strada della fratellanza  e di una compiuta uguaglianza, almeno nelle situazioni difficili della vita.

D’altronde, qualcosa di assolutamente inedito per gli States è nella sua indicazione politica di rispettare.

Se Obama ce la farà a sciogliere veramente questo nodo, vorrà dire che si è reso padrone della strategia. Per vincere le elezioni può bastare una buona tattica. Per segnare un punto nella storia, occorre la strategia. Con la Palestina, Obama ci sta provando. Prima di lui, c’era stata invece propaganda e tattica: con risultati quasi nulli e grandi perdite umane.

(p. 94) Le sconfitte

Obama ha dichiarato che di guerre ne vuole tenere aperta una sola, fino all’inizio del ritiro nel luglio 2011 (il Sole 24 ore 2)/12/2009. È la guerra in Afghanistan. Ma non dice la verità, perché intanto tiene aperta anche a guerra in Iraq.

Non ha voluto riflettere su qualche dato molto significativo della storia americana: dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti di guerre ne hanno fate parecchie. Un elemento semplificato senza tenere conto dei bombardamenti occasionali e scontri locali non assimilabili a guerre vere e proprie, deve tenere conto di queste voci:

Corea (1950-1953), Vietnam (1956-1975) Libia (1981-1986), Libano (1982-1984) Iran (1987-1988), Iraq (in varie riprese dal 1991, dal 1998, dal 2003), Somalia (1992-1994), Afghanistan (dal 2001). Diversa è la storia dei bombardamenti sulla popolazione civile nella guerra, non dichiarata, alla Jugoslavia (1998-99), che ha causato non meno di 2000 civili morti. L’effetto fu lo smembramento dello stato sovrano della Jugoslavia. Allora gli Stati Uniti anno avuto al loro fianco anche l’Italia (governo di Massimo D’Alema).

Di queste guerre gli Stati Uniti mi pare non ne abbiano vinta nessuna. Vinceranno – anzi vinceremo, perché anche l’Italia abbiamo visto che partecipa al conflitto – in Afghanistan? Vinceremo in Iraq, dove la guerra continua, anche con Obama?

(P. 108) Tuttavia  non si può trascurare che esiste un problema militare capace di pesare sulle scelte politiche. Le basi militari degli Stati Uniti all’estero sono oggi (al 2010) 737 e impiegano 456 mila militari americani dati della rivista Limes). Nessuno può nascondersi che una rapida conversione della politica americana che conducesse un vasto disimpegno militare, avrebbe conseguenze molto gravi sull’occupazione. Chi lavora nel maneggio delle armi, potrebbe trovarsi senza lavoro, a meno di un programma di riconversione di vaste dimensioni. Per il quale occorrerebbero mezzi finanziari ingenti: che oggi non sembrano disponibili. Potrebbe essere questo motivo a diluire nel tempo, speriamo non a fermare, il programma del presidente Obama.

Gli italiani si battono bene

Il generale S.McChrystal, comandante della coalizione della NATO in Afghanistan ha avuto parole lusinghiere per i nostri soldati: “Gli italiani si battono bene (Corriere della Sera 6 marzo 2010 pp. 1,5). Si battono è un’espressione che sinteticamente, ma con grande efficacia, indica il contenuto della missione italiana. Un apprezzamento dunque molto importante, venuto da un militare americano che di guerra se ne intende. Il Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio  Napolitano, al quale la Costituzione assegna “il comando delle Forze armate” (art. 87) avrà potuto apprezzare quelle parole gridate nel titolo di prima pagina del Corriere della sera.Tuttavia chi sa se il Presidente Napolitano ha fatto caso all’art. 11 della medesima Costituzione, dove è scritto: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.(Probabilmente il Presidente non se n’è accorto,tutto preso com’era dall’invio dell’abbraccio commemorativo  a Giorgio Almirante nel centenario della nascita di costui!)

In relazione alle operazioni militari in corso (nel 2010) in Afghanistan, alle quali partecipa l’Italia, senza infingimenti parlano continuamente di “War in Afghanistan” condotta dalla Coalition NATO-ISAF, cui l’Italia sta partecipando con 3.160 militari (aprile 2010). E con un numero considerevole di caduti (24 dall’inizio al 19 maggio 2010) e un numero imprecisato di feriti. (…)

Il premio Nobel

Il 9 ottobre 2009 il comitato Oslo conferisce a Barack Obama il premio Nobel per la Pace. La motivazione contiene queste incredibili espressioni: “per il suo straordinario impegno per rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i popoli”.

Queste parole facevano riferimento al tentativo di Obama di ridurre gli arsenali nucleari e di intavolare un dialogo distensivo e costruttivo col Medio Oriente. Il riconoscimento, consistente in una medaglia, un diploma e un assegno di dieci milioni di corone (circa un milione di euro) è stato consegnato a Oslo il 10 dicembre 2009. “Solo assai raramente qualcuno è riuscito come Obama a catturare l’attenzione del mondo ea dare una speranza per un futuro migliore”.

Le parole di ringraziamento di Obama alla consegna del premio Nobel, non si capisce se fossero imbarazzate o volutamente irreali. “Dire che la forza è a volte necessaria” , egli ha affermato, “non è un appello al cinismo, ma la presa d’atto della storia, delle imperfezioni dell’uomo, dei limiti della ragione”. Obama sembrava quasi voler porre rimedio a qualche inconveniente. Per chiarirsi meglio, egli ha fatto riferimento a “una giusta guerra come preparazione per “una giusta pace” ( senza mostrare neppure originalità  perché parole simili si erano già sentite). Egli ha aggiunto infine, ai frettolosi si giurati del premio Nobel, che “il tema più profondo legato a questo premio è che io sia il comandante in capo di un paese impegnato in due guerre” (Corriere della sera 11 dicembre 2009).

Nonostante le motivazioni del comitato di Oslo, l’attribuzione del premio ad un presidente eletto da così poco tempo ha suscitato alcune polemiche. Secondo un sondaggio informale pubblicato dalla MSNBC il 62 per cento degli intervistati pensava che il premio fosse immeritato, mentre negli Stati Uniti numerose critiche sono state sollevate dai repubblicani e dalla stampa. Ma la reazione peggiore è stata l’ironia  che ha generalmente accompagnato quell’annuncio.

Senza dubbio questi episodi sanzionano il trionfo della religione dell’inganno e della soperchieria!

21 aprile 2025

Oronzo Mario Schena