Governo Renzi: rappresenta la definitiva stabilizzazione politica italiana?, di Piergiorgio Rosso
Governo Renzi: rappresenta la definitiva stabilizzazione politica italiana?
La seguente analisi rappresenta una estrema sintesi della discussione interna alla Redazione del blog Conflitti e Strategie, subito dopo le elezioni regionali italiane del 2015. Riteniamo di pubblicarla anche se con qualche giorno di ritardo
Il governo di Renzi è stato originato dalla necessità di accelerare le cosiddette “riforme strutturali”, come richiesto dalla UE e BCE (che a nostro avviso agiscono storicamente come longa manus degli Stati Uniti, al fine di dominare la penisola Europea). Si deve notare che Renzi è stata la terza scelta dopo Monti e Letta, quindi, è egli stesso un segno di urgenza su questo obiettivo più generale.
Da questo specifico punto di vista i risultati pratici, ad oggi, sono la riforma del lavoro (“Jobs Act”) e la riforma elettorale (“Italicum”). Essi sono sicuramente un successo per Renzi, ma sono stati ottenuti ad un prezzo: la marginalizzazione dei sindacati e della sinistra all’interno del Partito Democratico (PD), il cui segretario è Renzi, che rappresentano la base sociale tradizionale del PD. Molto probabilmente il calcolo politico fatto da Renzi era che una parte consistente della base elettorale del centro-destra si sarebbe spostata verso il PD, al fine di mantenere l’alto livello di consenso per Renzi come esemplificato al momento delle elezioni del Parlamento europeo nel 2014 (in effetti questa è stata anche la nostra considerazione).
I risultati delle elezioni regionali italiane, ottenuti dal PD nel maggio scorso, mostrano che questo è stato un errore di calcolo: Forza Italia ha perso molto, ma ha mantenuto un inaspettato 10-12% con la restante parte del tradizionale elettorato di centro-destra che si è distribuito fra Lega Nord (LN) e non-voto, alla fine riuscendo a governare due regioni.
Il Governo Renzi in questo momento sembra essere senza una base sociale solida e dipendente dal volatile voto d’opinione: la discussione in Parlamento per la riforma della scuola – dove Renzi ha concesso ulteriore tempo e disponibilità per la modifica del suo primo testo proposto – è stata una chiara indicazione che lo slancio iniziale, è stato perso. La “rottamazione” viene interrotta e un dibattito parlamentare molto più tradizionale si è avviato e detta l’agenda politica di breve tempo.
D’altra parte il centro-destra ha dimostrato di essere incapace di rappresentare un’alternativa: il grande successo di LN è relativo, non uniforme e ancora non spendibile per un governo alternativo. Inoltre una parte significativa di parlamentari di Forza Italia è pronta a fornire aiuto a Renzi per le rimanenti riforme (riforma costituzionale per il Senato e divisione di competenze Stato/Regioni – TITOLO V).
Tutto ciò considerato, manteniamo il parere che il governo di Renzi sia destinato a durare fino al 2018, il prossimo anno di elezioni politiche generali, ma con un’agenda meno ambiziosa di quanto si immaginasse all’inizio della sua investitura. Il punto principale è ora l’indebolimento della base sociale del PD in cui gli insegnanti, i lavoratori pubblici e i magistrati – pilastri di lunga data del successo elettorale del PD – sono sempre più sospettosi senza essere sostituiti da nuovi gruppi stabili come professionisti, imprenditori e lavoratori autonomi.
Mentre lo scenario di cui sopra può confermare l’aspettativa di una continuità di governo italiana rappresentata dalla capacità di Renzi di giocare tutti gli avversari uno contro l’altro in seno al Parlamento, non ha invece il potenziale – a nostro avviso – per confermare l’aspettativa di un “governo solido” di lungo termine di stile anglo-sassone.
Principalmente per due ragioni:
- La debolezza del centro-destra – e il suo ruotare attorno alla LN antisistema – non facilita la creazione di due forze politiche equivalenti che si alternino a governare. Di conseguenza, la lotta continuerà all’interno del partito egemone (PD) debilitando l’azione del governo;
- Lo scarso controllo interno del PD da parte di Renzi – vedi anche alcuni dei vincitori del governo regionale non strettamente allineati con lui – comporta la possibilità di un potere interdittivo resiliente da parte del livello dirigente locale in contraddizione con quello centrale. Quindi potenzialmente indebolendo la regolare trasmissione delle direttive centrali a livello locale e aumentando la probabilità della nascita di potentati locali.