guerra fuori, pace dentro. Di E. Zola.
“La guerra all’estero è una politica eccellente. Libera il Paese dai rissosi, permettendo loro di andare a farsi storpiare fuori dai confini. Parlo di quelli che nascono con i pugni chiusi, che per temperamento sentirebbero di tanto in tanto il bisogno di una piccola rivoluzione, se non dovessero pestare qualche popolo vicino. In ogni nazione c’è una certa quantità di colpi da spendere; La prudenza impone che questi colpi siano distribuiti a cinque o seicento leghe dalle capitali. Lascia che ti dica tutto il mio pensiero. La formazione di un esercito è semplicemente un passo lungimirante compiuto per separare gli uomini turbolenti dai ragionevole; una campagna mira a far sparire il maggior numero possibile di questi uomini rumorosi, e a permettere al sovrano di vivere in pace, avendo per sudditi solo uomini ragionevoli. Parliamo, lo so, di gloria, conquiste e altre sciocchezze. Sono paroloni con cui si prendono in giro gli sciocchi.
“Se i re lanciano in testa le loro truppe alla minima parola, è perché si capiscono e si sentono bene per lo spargimento di sangue. Intendo quindi imitarli impoverendo il sangue del mio popolo, che potrebbe, un bel giorno, avere la febbre rovente. Solo, un punto mi ha infastidito. Più si va avanti, più i temi della guerra diventano difficili da inventare; presto saremo ridotti a vivere da fratelli, per mancanza di un motivo per correggerci onestamente. Ho dovuto usare tutta la mia immaginazione. A lottare per riparare un’offesa, non bisognava pensarci: non abbiamo niente da riparare, nessuno ci provoca, i nostri vicini sono persone cortesi e di buon carattere. Occuparsi dei territori confinanti, con il pretesto di arrotondare le nostre terre, era una vecchia idea che non ebbe mai successo nella pratica, e i cui conquistatori si sono sempre trovati nei guai. Ad arrabbiarsi per qualche balla di cotone o per qualche chilogrammo di zucchero, saremmo stati presi per rozzi mercanti, per ladri che non vogliono essere derubati; mentre vogliamo, soprattutto, essere una nazione colta, che ha orrore delle preoccupazioni del commercio, che vive di ideali e di buone parole. Nessun mezzo di uso comune in battaglia potrebbe quindi andar bene per noi. Finalmente, dopo lunghe riflessioni, mi è venuta una sublime ispirazione. Combatteremo sempre per gli altri, mai per noi stessi, il che eviterà qualsiasi spiegazione sulla causa dei nostri pugni. Nota quanto sarà conveniente questo metodo e quale onore ricaveremo da tali spedizioni. Prenderemo il titolo di benefattori del popolo, grideremo il nostro disinteresse, ci atteggeremo modestamente a sostegno di buone cause, come servitori devoti di grandi idee. Non è tutto. Poiché coloro che non serviremo potrebbero essere sorpresi da questa singolare politica, risponderemo coraggiosamente che la nostra rabbia per prestare i nostri eserciti a chi li chiede è un desiderio generoso di pacificare il mondo, di pacificarlo bene e veramente con le picche. I nostri soldati, diremo, vanno in giro da civilizzatori, tagliando il collo a chi non si civilizza abbastanza in fretta, seminando le idee più feconde nelle fosse scavate sui campi di battaglia. Battezzeranno la terra con un battesimo di sangue per affrettare la venuta dell’era della libertà. Ma non aggiungeremo che avranno così un compito eterno, aspettando invano un raccolto che non può sorgere sui sepolcri.
“Ecco, miei cari sudditi, quello che ho immaginato. L’idea ha tutte le dimensioni e l’assurdità necessarie per avere successo. Quindi chi di voi sente il bisogno di proclamare una o due repubbliche per favore non lo faccia con me. Apro loro caritatevolmente gli imperi di altri monarchi. Dispongano liberamente delle province, cambino le forme di governo, consultino il buon piacere del popolo; lascia che si uccidano nelle case dei miei vicini, in nome della libertà, e lasciami governare a casa con il dispotismo che ritengo opportuno. Il mio regno sarà un regno bellicoso.
“Raggiungere la pace interiore è un problema più difficile da risolvere. Non importa quanto ci liberiamo dei ragazzacci, rimane ancora nelle masse uno spirito di rivolta contro il padrone di loro scelta. Ho riflettuto spesso su quell’odio nascosto che le nazioni hanno sempre avuto per i loro principi; ma confesso che non sono mai riuscito a trovare una causa ragionevole e logica. Metteremo questa domanda al concorso nelle nostre accademie, in modo che i nostri studiosi si affrettino a dirci da dove viene il male e quale dovrebbe essere il rimedio. Ma, aspettando l’aiuto della scienza, impiegheremo, per curare il nostro popolo dal suo malessere morboso, i deboli mezzi la cui ricetta ci ha lasciato in eredità i nostri predecessori. Certo, non sono infallibili; se le usiamo, è perché non sono state ancora inventate buone corde abbastanza lunghe e abbastanza forti da legare una nazione. Il progresso va così lentamente! Quindi sceglieremo attentamente i nostri ministri. Non chiederemo loro grandi qualità morali o intellettuali; basterà che siano mediocri in tutto. Ma cosa esigeremo assolutamente che abbiano una voce forte e che si siano esercitati a lungo a gridare: viva il re! nel tono più alto e nobile possibile. Un bel: viva il re! spinto nelle regole, gonfio d’arte, spento in un mormorio d’amore e di ammirazione, è un merito raro che non può essere sovracompensato. In verità, però, ci affidiamo poco ai nostri ministri; spesso ostacolano più di quanto aiutino. Se prevalesse la nostra opinione, sbatteremmo fuori di casa questi signori, vi serviremmo come re e ministri, tutti insieme. Basiamo maggiori speranze su certe leggi che ci proponiamo di far rispettare; afferreranno un uomo per il bavero, te lo getteranno nel fiume, senza ulteriori spiegazioni, secondo l’ottimo metodo del muto del serraglio. Vedete da qui come sarà conveniente una giustizia così spedita; ci sono tante persone che si aggrappano alla forma, credendo candidamente che sia necessario un delitto per essere colpevoli! Avremo anche al nostro servizio giornalini buoni, pagati profumatamente, che canteranno le nostre lodi, nascondendo le nostre colpe, attribuendo a noi più virtù che a tutti i santi del paradiso. Avremo altri, e quelli per cui pagheremo di più, che attaccheranno le nostre azioni, discuteranno la nostra politica, ma in modo così piatto e goffo, che ci riporteranno persone di spirito e buon senso. Quanto ai giornali che non pagheremo, non possono biasimare né approvare; in ogni caso, provvederemo a rimuoverli il prima possibile. Dovremo anche tutelare le arti, perché non c’è grande regno senza grandi artisti. Per crearne il maggior numero possibile, aboliremo la libertà di pensiero. Sarebbe forse bene anche dare una piccola pensione agli scrittori in pensione, voglio dire a tutti quelli che hanno fatto fortuna, che sono autorizzati a gestire un negozio di prosa o di versi. Quanto ai giovani, quelli che hanno solo talento, avranno posti riservati nei nostri ospedali. A cinquanta o sessant’anni, se non saranno del tutto morti, parteciperanno ai benefici di cui inonderemo il mondo delle lettere. Ma i veri sostegni del nostro trono, le glorie del nostro regno, saranno gli scalpellini ei muratori. Noi spopoleremo le campagne, chiameremo a noi tutti gli uomini di buona volontà, e faremo prendere loro la cazzuola. Sarà uno spettacolo toccante, sublime! Strade larghe, strade diritte che trafiggono una città da un capo all’altro! belle pareti bianche, belle pareti gialle, che si alzano come per magia! splendidi edifici, che ornano immense piazze alberate e lampioni! Costruire non è ancora niente, ma demolire ha il suo fascino! Demoliremo più di quanto costruiremo. La città sarà rasa al suolo, spianata, ripulita, imbiancata. Trasformeremo una città di vecchio intonaco in una città di nuovo intonaco. Tali miracoli, lo so, costeranno molto denaro; siccome non sono io che pagherò, la spesa mi preoccupa poco. Volendo soprattutto lasciare tracce gloriose del mio regno, trovo che nulla sia più adatto a stupire le generazioni future di un consumo spaventoso di calce e mattoni. Inoltre ho notato questo: più un re costruisce, più il suo popolo è soddisfatto; sembra non sapere quanto pagano gli sciocchi per queste costruzioni, crede ingenuamente che il suo amabile sovrano si rovini per dargli la gioia di contemplare una selva di impalcature. Tutto andrà bene. Venderemo gli abbellimenti ai contribuenti a caro prezzo, e distribuiremo gran denaro agli operai, perché se ne stiano zitti sulle loro scale. Così, pane per la gente comune e ammirazione per i posteri. Non è molto geniale? Se qualche malcontento osasse gridare, sarebbe certamente un cuore cattivo e pura gelosia.
Il mio regno sarà un regno di massoni…
“Vedete, miei amati sudditi, mi sto preparando a essere un re molto divertente. Vi caricherò di bellissime guerre nei quattro angoli del mondo, che vi porteranno colpi e onore. Vi rallegrerò dentro con grandi cumuli di macerie e polvere eterna di intonaco. Non vi risparmierò neanche i discorsi, li pronuncerò i più vuoti possibile, affinando così le menti curiose che avranno la buona volontà di cercare lì ciò che non ci sarà. Oggi basta; muoio assetato. Ma, in chiusura, vi prometto che mi occuperò presto della grave difficoltà del bilancio; è una questione da preparare con largo anticipo, da confondere al sodo e da oscurare a seconda delle convenienze. Forse ti piacerebbe anche sentirmi parlare di religione. Non volendo ingannarvi nella vostra attesa, devo dichiararvi fin d’ora che non intendo spiegarmi mai su questo argomento. Risparmiami dunque richieste indiscrete, non farmi mai fretta di avere un’opinione su questa faccenda, che mi è particolarmente sgradevole. Quindi, miei amati sudditi, possa Dio rendervi felici.” E Zola, Sidoine e Médéric.