HARDWARE E SOFTWARE (di G. Gabellini)

Se la storia moderna è trascorsa sotto il segno di un'Europa capace di raggiungere il suo massimo splendore in termini economici, culturali e politici, il millennio a cui ci siamo da poco affacciati non potrà che suggellare il pieno riscatto delle potenze asiatiche, risvegliatesi piuttosto rapidamente dal loro atavico torpore.

Cina e India sono infatti destinate ad indossare la vesti, per loro inedite, di principali imperi del secolo a venire, a prescindere dei rapporti di forza che riusciranno a stabilire tra loro, prima che con gli imperi declinanti (USA) e riemergenti (Russia) in compagnia dei quali andranno a ridisegnare l'assetto geopolitico mondiale, irreversibilmente destinato al multipolarismo. La superficiale e pragmatica tendenza di tipico stampo anglosassone, regolarmente importata anche da questa parte dell'Atlantico, di gettare entrambi i paesi in un unico calderone equiparante, da cui scaturirebbe un unico conglomerato geopolitico noto come "Cindia", tradisce palesemente un maldestro e ideologico occidentalismo che non ha niente a che spartire con la rigorosa analisi concreta della situazione reale. A dispetto infatti della stretta vicinanza geografica e delle molte analogie che emergono dalla comparazione delle loro rispettive, antichissime Storie, Cina ed India sono due paesi profondamente diversi, i cui interessi a lungo termine seguono direttrici momentaneamente parallele ma destinate prima o poi a convergere, ovvero a raggiungere un punto o di incontro, che potrebbe innescare una sinergia positiva per entrambi, o di scontro, che porterebbe a un apocalittico scontro frontale dagli esiti imprevedibili. Proiettando sul futuro prossimo i dati registrati, in termini di trend, in questi ultimi anni è possibile prevedere che entro un ventennio i mercati mondiali dovranno far fronte a una domanda sino – indiana di energia elettrica, di petrolio e di gas più che raddoppiata, segno evidente di una comunanza di esigenze che rimanda a una speculare identità di obiettivi, obiettivi che però l'India si prefigge di raggiungere con modalità molto differenti da quelle su cui punta invece la Cina. Non a torto, la Cina è stata infatti associata ad un hardware, in virtù della sua spiccata tendenza a pianificare lo sviluppo mediante un approccio pragmatico e silenzioso, scevro da qualsiasi impianto ideologico e fedele alla direttiva impartita a suo tempo da Deng Xiao Ping, secondo cui "Occorre nascondere gli artigli mentre si diventa una grande potenza". Pechino si è mossa con scaltrezza in questi anni, guardando in ogni direzione e tessendo miriadi di trame diplomatiche senza badare agli scheletri nell'armadio, reali o fantomatici, dei suoi interlocutori strategici. Così facendo, è riuscita ad acquisire fonti di approvvigionamento all'estero e ad intavolare trattative finalizzate alla costruzione di gasdotti ed oleodotti per il loro trasporto. Si tratta di un impero fortemente strutturato e centralizzato che procede a marce forzate verso una crescita economica direttamente legata allo sfruttamento intensivo dell'infinita manodopera di cui può disporre. In opposizione a questo modello centralizzato e strutturato di sviluppo, si colloca l'India, accostata invece al software, in forza della sua concezione di crescita strettamente legata alle peculiarità che caratterizzano una società costituita da una galassia di religioni, etnie, gruppi sociali profondamente diversi gli uni dagli altri, ma che vivono in una strana, armonica simbiosi. L'India è un paese del terzo mondo dotato della bomba atomica, che ha ereditato lingua e metodo (e strutture) di insegnamento delle materie scientifiche dal vecchio impero britannico, che con una popolazione che eccede abbondantemente il miliardo di persone sforna ingegneri e ricercatori informatici (e non solo) di qualità in quantità industriali (Bangalore è da tempo diventata il principale polo informatico del pianeta). Il successo dell'India è dovuto proprio a questo inedito amalgama di ingredienti come conoscenza scientifica, ricerca, lingua inglese, bassi costi di produzione, demografia. Tuttavia, le competenze che l'India ha scelto di valorizzare sono impiegabili quasi interamente nel settore terziario, ovvero nei servizi, che da soli non sono sufficienti ad assorbire gli oceani di manodopera povera che proverranno inevitabilmente dalle campagne, cosa che accade regolarmente laddove si verifichino fenomeni di crescita tanto repentini. Sotto questo aspetto, il gigante cinese, con la sua industrializzazione, è riuscito a integrare nei processi produttivi una fetta (proporzionalmente) maggiore di forza lavoro. L'India è però dotata di un assetto sociale e politico più complesso ed equilibrato di quello cinese, dispone di migliori servizi assistenziali e previdenziali, ha una popolazione in crescita (a differenza di quella cinese, satura, che sta invecchiando) e prospettive assai luminose dinnanzi a sé. Al tempo stesso, l'India è estremamente decentralizzata, conta 28 stati al proprio interno dotati di ampia autonomia e una vera e propria galassia di minoranze etniche e religiose. L'analista francese di origini indiane Come Carpentier De Gourdon giunge infatti a suddividere l'India in quattro regioni geopolitiche, ognuna delle quali orientata, per ragioni politiche ed etniche, verso una specifica area geopolitica esterna. Se da un lato questa "apertura" mette le regioni in questione, e quindi l'India, nelle condizioni di intensificare i rapporti con il vicinato dall'altro ne alimenta le spinte separatiste, come accade in Kashmir e Jammu. In compenso, l'India si regge su una democrazia in grado di smussare con maggior efficacia i pur grossi squilibri che accompagnano inesorabilmente la sua poderosa crescita economica, e la sua scelta di sottrarre fondi agli investimenti per destinarli a misure atte a tutelare lo stato sociale va letta sotto quest'ottica. In Cina la crescita economica iniziata con le riforme adottate da Deng Xiao Ping nel 1978 ha sollevato il tenore di vita di svariati milioni di cinesi ma ha anche provocato profondi squilibri di reddito tra le diverse zone del paese. Proprio per evitare future polarizzazioni sociali, il partito comunista sta guardando con crescente interesse il modello indiano, al fine di agganciare la prorompente crescita economica al progresso tecnologico (ricerca) e di renderla così meno dipendente dal puro sfruttamento della manodopera. La Cina rimane comunque la seconda economia al mondo, che detiene le principali riserve auree e direttamente, tra le altre compagnie, un colosso degli idrocarburi come la China National Petroleum Corporation (CNPC). Il fatto di trovarsi in mani pubbliche consente a compagnie come la CNPC di essere assai competitive sui mercati (specie sulle concorrenti anglosassoni) in virtù del fatto che intavolare trattative ponendo come obiettivo prioritario l'interesse supremo del paese, consente a queste ultime di porsi nelle condizioni di poter mettere in secondo piano l'interesse immediato per offrire condizioni migliori ai paesi produttori (Enrico Mattei rivisitato e corretto). E non sono solo i rapporti petroliferi ad essere trattati e gestiti in questa maniera; la Cina ha ampiamente dimostrato di interpretare il commercio con questo spirito di "do ut des" in Sudan, dove hanno contribuito ad ammodernare strade, ferrovie e infrastrutture petrolifere, o in Angola, dove la collaborazione commerciale ha portato alla costruzione di alcuni ospedali. La Cina detiene anche una grossa fetta del debito pubblico americano, che al moment
o non pare intenzionata a riscuotere, in parte perché non ne ha l'interesse (pretendere il saldo equivarrebbe a condannare gli USA alla bancarotta, cosa che provocherebbe l'ulteriore incrinatura dei rapporti e la chiusura per le merci cinesi di un succulento mercato come quello statunitense), in parte perché non ha ancora la forza sufficiente per sfidare apertamente Washington. Dal canto loro gli USA si trovano a dover contenere lo slancio cinese, e per farlo hanno iniziato, come al solito, a far leva sulle vecchie ruggini sino – indiane risalenti al lontano 1962 (quando una controversia degenerò in guerra aperta) per fomentare dissidi tra i due (divide et impera) e stimolare l'India a concludere una serie di accordi militari difensivi con Singapore, Vietnam e Giappone, così da formare una sorta di accerchiamento attorno alla Cina, che ha a sua volta replicato intensificando i rapporti con il Pakistan e installando una gigantesca base navale in Myanmar. Il vero problema per gli USA è che la loro storica capacità di persuasione e dissuasione sta dissolvendosi parallelamente al declino dell'unipolarismo che li ha visti al comando per un ventennio. Ogni genere di pressione di natura non spiccatamente militare appare affievolirsi giorno dopo giorno. Di qui, la decisione di Bush di riammodernare e potenziare l'arsenale strategico americano. Servirà a qualcosa? Al momento, è possibile solo prendere atto che le manovre tattiche di studio tra India e Cina rivelano una non sopita diffidenza reciproca ma che difficilmente andranno ad inficiare la progressiva distensione dei rapporti palesatasi già da qualche anno, specialmente con l'ingresso dell'India, in qualità di osservatore, all'interno dell'Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, un organismo finalizzato a promuovere l'intensificazione dei rapporti politici, culturali, economici e militari tra i paesi che vi aderiscono. In effetti Cina e India hanno tutto l'interesse a seppellire definitivamente l'ascia di guerra e di lavorare fianco a fianco per favorire l'integrazione effettiva dei paesi asiatici. Qui è l'India ad avere da imparare dalla Cina, che in questi anni si è fatta portatrice di un acuto disegno strategico basato sull'integrazione economica – dalla quale, come è noto, possono scaturire ben altre forme di collaborazione – dell'intero continente asiatico. In questo contesto, la Russia, per ragioni legate alla sua posizione geografica e alle sue risorse, sarà chiamata a ricoprire il ruolo di mediatrice. I primi passi in questa direzione sono già stati fatti (accordi commerciali e di pipelines con la Cina, accordi militari con l'India, e sponsorizzazione di esercitazioni congiunte) ma, per il momento, tutto tace. Quel che è chiaro, è che l'unicentrismo sta scomparendo all'orizzonte, e il multipolarismo verso cui il mondo si sta avviando vedrà le singole potenze perseguire ognuna i propri interessi, non necessariamente speculari e convergenti. Con l'auspicio che ciascun attore sappia valutare con lungimiranza e ragionevolezza la realtà.