Qualche giorno fa, Abd Al-Bari Atwan, direttore del quotidiano nazionalistico panarabo Al-Quds Al-Arabi, enumerava nelle colonne del suo giornale nove segnali che tendono a provare che una guerra contro l’Iran avrebbe luogo nel corso dei prossimi sei mesi. "Dopo l’estate, scrive, i negoziati seri ripartiranno." La diplomazia occidentale si rimette in moto, e tutto indica che si essa si focalizzerà nuovamente sul Medio Oriente. Nei mesi a venire, il punto di concentrazione sarà l’Iran, prossimo bersaglio degli americani. Dobbiamo aspettarci un’escalation politica, diplomatica, mediatica e militare senza precedenti contro questo paese e il suo programma nucleare. Poiché il tempo che resta al presidente George Bush sarà ormai impiegato per affrontare questo dossier. Un certo numero di evoluzioni recenti fanno pensare che la guerra avrà luogo nei prossimi sei mesi, a meno di un miracolo sotto forma di capitolazione, simile a quello della Libia o, più recentemente della Corea del Nord. " e di passare in rassegna i nove segnali tra i quali il secondo era:" "Il nuovo presidente francese, Nicolas Sarkozy, inizia ad occupare il posto lasciato libero da Tony Blair, cioè quello del migliore alleato di Washington." Ha dunque abbandonato la linea chiracchiana a profitto di un’americanizzazione delle sue posizioni sul Medio Oriente. Al suo ritorno delle vacanze americane, ha dichiarato ai 188 ambasciatori che rappresentano la Francia nel mondo che l’acquisizione dell’arma nucleare era la linea rossa da non superare e che l’Iran si sarebbe esposta inevitabilmente a bombardamenti se non avesse rinunciato alle sue ambizioni. Abd Al-Bari Atwan non credeva di dirlo meglio, appena pubblicato il testo, che Bernard Kouchner dichiarava, domenica scorsa, che il mondo doveva "prepararsi al peggio", cioè alla possibilità di una "guerra" con l’Iran, qualora questo ultimo avesse continuato nel suo rifiuto di sospendere il suo programma nucleare. Il giorno dopo era stato appoggiato anche dal primo ministro François Fillon che, senza riprendere il termine di "guerra", riteneva che Kouchner avesse "ragione", giudicando la tensione con l’Iran "al limite"… in particolare con Israele. Nei giorni che seguivano l’indignazione della classe politica e dell’opinione pubblica, tanto in Francia che all’estero, comportava un arretramento di Bernard Kouchner il quale precisava che le sue opinioni erano state estrapolate dal loro contesto e deformate dai giornalisti. Mentre il ministro della difesa Hervé Morin dichiarava: "Nessuno può pensare, per un solo momento, che stiamo immaginando e preparando piani contro l’Iran (…) occorre fare di tutto per evitare una catastrofe che sarebbe tale sia nel caso l’Iran ottenesse la bomba sia nel caso alcuni paesi fossero portati a bombardare l’Iran". È vero che nello stesso tempo, il rappresentante degli Stati Uniti all’assemblea dell’AIEA, il ministro dell’energia Samuel Bodman, si era ben guardato dal gettare benzina sul fuoco, affermando che gli Stati Uniti desideravano continuare a privilegiare la diplomazia per il dossier nucleare iraniano. La stampa araba che ha commentato queste peripezie è atterrita, in al-Watan, Faycal Metaoui osserva con tristezza che Kouchner "ha rivelato il nuovo stile della politica estera della Francia segnata da un’aggressività ispirata dal modello (…) che non mette a proprio agio gli amici della Francia nel mondo arabo e musulmano." Parigi, che ha avuto un atteggiamento rispettabile rifiutando di appoggiare l’invasione dell’ Iraq da parte delle truppe americano-britanniche, cerca ora di imporsi come attore sulla scena mondiale. Ma ciò giustifica il desiderio di volere bruciare le tappe velocemente rimettendo in discussione acquisizioni guadagnate difficilmente in tanti anni? (…) Kouchner non ha avuto alcuna vergogna a chiedere le dimissioni del primo ministro iracheno, Nouri Al Maliki – in nome di quale autorità? – prima di ravvedersi e di chiedere scusa, non ha fatto altro che mimare l’atteggiamento di George W. Bush che ha fatto la stessa proposta, e adesso fa lo stesso anche con l’Iran". Imitazione degli USA, sostegno all’entità sionista (1), ecco a cosa sembra limitarsi improvvisamente la nostra politica estera, così domani potremo fare la guerra in Iran per la difesa degli interessi di Washington e di Tel-Aviv… ma non siamo, fortunatamente, ancora arrivati a tanto. Ma les ballons d’essai sono stati slegati, le manovre governative per abituare la popolazione a tale possibilità cominciano e si integrano a quelle della propaganda “staffel” americano-sionista per mettere gli "spiriti in ordine". Se la politica estera di Chirac ci aveva abituati, nella politica estera, alla fierezza di essere francesi, rischiamo, col passar dei mesi, di averne vergogna.
(1). Invitato dal Comitato direttivo del CRIF, il 17 settembre, Claude Goasguen ha comunicato il suo ottimismo sull’evoluzione delle relazioni tra Parigi e Gerusalemme. "Siamo entrati in una fase di ricostituzione dell’amicizia tra la Francia ed Israele", ha dichiarato il deputato di Parigi, che potrebbe succedere a Rudy Salles alla presidenza del gruppo d’amicizia Francia-Israele all’assemblea nazionale. Claude Goasguen ha ricordato che Nicolas Sarkozy, il quale aveva effettuato il suo primo viaggio, quand’era presidente del UMP, in Israele nel 2005, non ha mai transatto sulla sicurezza di Israele. Ha anche notato con soddisfazione "l’atteggiamento di fermezza" della Francia sulla questione iraniana.