I giornali sono canili

I giornali sono canili

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Ormai è evidente che la vita di un cane conti più di quella di un bambino palestinese. Al punto che uno dei principali quotidiani italiani, il Corriere della Sera, trova degno di notizia il ritorno a casa della cagnolina Billy, “rapita da Hamas” e riportata da un soldato israeliano. Mentre a Gaza muoiono civili sotto le bombe, il giornale ci racconta la commovente storia di un cane che torna in patria tra le braccia di un soldato che, magari, pochi minuti prima ha ucciso cento bambini palestinesi.
Questo è lo stesso giornale dove scrivono editorialisti come Mieli, Galli della Loggia, Grasso, quelli che da anni pretendono di dare lezioni agli italiani su cultura, storia, politica e morale. Eppure, leggendo certi articoli, si ha l’impressione che appartengano più a un canile che a una redazione giornalistica.
Dietro questo tipo di informazione ci sono i grandi gruppi industriali e finanziari italiani, fedeli servitori dell’Occidente. Il Corriere è di proprietà di RCS MediaGroup, controllata da Cairo Communication, Exor (cioè la famiglia Agnelli), Unicredit e, in parte, anche da giganti della finanza globale come BlackRock e Vanguard. Non si tratta quindi di un’informazione libera, ma di un prodotto di sistema, realizzato da dipendenti che rispondono a padroni ben precisi.
La cosiddetta “linea editoriale” è, in realtà, una vera e propria “ragione sociale”. Queste aziende sono “fattifici”, ovvero catene di montaggio dove si assemblano e distribuiscono prodotti sotto forma di fatti, ben confezionati per il mercato, proprio come qualsiasi altro bene. Dietro queste notizie ci sono quasi sempre multinazionali, che poi le diffondono tramite testate gemellate nei vari paesi dell’area di riferimento. Per esempio, queste scemenze non arrivano in Cina, dove i cani, ironia della sorte, li mangiano ancora con gusto.
Il punto è che i giornali non li compra più nessuno. Ma questi prodotti continuano a circolare, grazie a mille canali, TV, social, newsletter, pubblicità, influencer, talk show tutti, ovviamente, di proprietà privata o legati ai partiti di Stato. È un’informazione che si impone, non che si sceglie. Non parla di libertà o democrazia; o meglio, libertà e democrazia sono solo la confezione di questi prodotti, sempre più scadenti, che cercano soltanto di spingere una versione dei fatti: quella utile a chi ha i mezzi per investirci.
E così, nel bel mezzo di un massacro, il “giornale dei cani” ci commuove con la storia di un quadrupede, imballata ad arte, ignorando la tragedia umana che si consuma. Poi sono sempre gli stessi giornalisti, impancati sulle colonne di questa sedicente stampa “autorevole”, a decidere cosa è vero e cosa no. Aveva ragione Debord, nella nostra società, anche il vero è solo un momento del falso.

“Il giornalismo, invece di essere un sacerdozio, è divenuto uno strumento per i partiti; da strumento si è fatto commercio; e, come tutti i commerci, è senza fede né legge. Ogni giornale è una bottega ove si vendono al pubblico parole del colore ch’egli richiede. Se esistesse un giornale dei gobbi, esso proverebbe dal mattino alla sera la bellezza, la bontà, la necessità dei gobbi. Un giornale non è più fatto per illuminare, bensì per blandire le opinioni. Così, tutti i giornali saranno, in un dato spazio di tempo, vili, ipocriti, infami, bugiardi, assassini; uccideranno le idee, i sistemi, gli uomini, e perciò stesso saranno fiorenti. Essi avranno i vantaggi di tutti gli esseri ragionevoli: il male sarà fatto senza che alcuno ne sia colpevole… Napoleone ha dato la ragione di questo fenomeno morale o immorale, come più vi piaccia, con una frase sublime che gli hanno dettato i suoi studi sulla Convenzione: i delitti collettivi non impegnano nessuno.”
(Honoré de Balzac)