I liberali, anime belle e cervelli brutti
I liberali hanno nel dna l’ipocrisia delle anime belle. Sempre pronti a stigmatizzare i delitti altrui non classificano mai tali le stragi della libertà, o meglio di quella che loro chiamano così perché si sentono l’incarnazione delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. Eppure, sugli ammazzamenti prosperano le democrazie al pari delle dittature, anche quest’ultime da definire siffattamente perché spesso evitano agli individui quelle penose licenze che i liberali confondono con la massima espressione dell’arbitrio individuale svincolato dall’esigenza sociale. Personalmente non conosco nessun paese, partito, movimento o persona che abbia lanciato il suo cuore nella battaglia contro la libertà. Tutti lottano per la libertà ma solo i liberali custodirebbero nel loro spirito il vero spirito della libertà. Spesso, a causa di questa loro “furia dileguativa” finiscono per abbracciare sciocchezze sesquipedali disonorando la loro intelligenza.
Leggo su Il Giornale un trafiletto di Nicola Porro il quale scrive che i comunisti d’aujourd’hui (chi sarebbero di grazia? Io vedo solo idioti politicamente corretti dimentichi di una gloriosa idea che ha cambiato la storia) hanno gli stessi difetti illiberali di quelli di ieri. Lenin per esempio, il quale “bastonò” il povero Kautsky, definendolo rinnegato, perché non accettava (è Porro a parlare) l’ortodossia marxista ed una via meno dolorosa e violenta per prendere il potere. A dir il vero, Lenin era molto meno ortodosso di Kautsky, quanto a marxismo, nonostante i toni.
Scrive in proposito Gianfranco La Grassa che:
Il “Papa rosso” fondava certe sue ben note tesi sulla teoria della concorrenza intercapitalistica formulata da Marx, dalla quale, tramite prevalenza dei più forti, si sviluppa il processo di centralizzazione monopolistica dei capitali. Tale impostazione analitica veniva portata alle sue estreme conseguenze da Kautsky, rendendo unilineare la tendenza al monopolio, con grave sottovalutazione sia della necessità della competizione intercapitalistica, in specie ai fini della realizzazione del plusvalore, sia delle innovazioni, soprattutto di prodotto ma comunque anche di processo, che segmentano ulteriormente la divisione sociale del lavoro e portano alla creazione di nuove branche produttrici di merci – nuovi prodotti e nuovi metodi produttivi che richiedono la produzione e uso di nuovi strumenti e mezzi produttivi, sempre in forma di merce – impedendo così la formazione di un unico grande capitale unificato. Grazie all’unilateralità della sua concezione, Kautsky formula allora la teoria dell’ultraimperialismo, che si fonda appunto sull’idea che, alla fine, si formerà un unico trust proprietario, ovviamente di carattere eminentemente finanziario e con possesso di azioni completamente accentrato in un solo gruppo di capitalisti (nemmeno più, quindi, una vera classe sociale). Si tratta comunque di un processo, che si attua tramite concorrenza tra gruppi capitalistici di dimensioni (monopolistiche) crescenti, una concorrenza dunque aspra e di forte impatto per un buon periodo di tempo, prima del suo presunto acquietamento finale nella formazione di un grande trust capitalistico mondiale. Non a caso Lenin, incapace di contrastare adeguatamente sul piano teorico tale tesi kautskiana (e hilferdinghiana) cui fece invece troppo ampie concessioni, poté sostenere che, prima di arrivare alla centralizzazione definitiva, gli acuti contrasti intercapitalistici, diventando interimperialistici e coinvolgendo gli Stati in violente guerre mondiali, avrebbero innescato la rivoluzione proletaria; a partire dai famosi “anelli deboli”, ma con tendenziale estensione, durante quell’epoca cui la Rivoluzione d’ottobre dava inizio, a tutto il resto del mondo capitalistico.
Detto ciò, non è affatto vero che Kautsky fosse un timido sostenitore delle vie meno dolorose e violente. Anzi, tra i due il “pacifista” fu il russo e non il tedesco. Lenin diede infatti del rinnegato a Kautsky innanzitutto perché costui violò la posizione socialdemocratica contro la guerra (I GM) invogliando gli operai ad andare a morire per i loro stati. Lui in particolare per quello tedesco. Kautsky sostenne le ragioni del suo paese e aggirò l’internazionalismo operaio e la solidarietà tra masse sfruttate. Lenin invece appena al potere siglò una pace costosissima con la Germania (Brest-Litowsk )beccandosi del traditore da alcuni suoi compagni per aver ceduto pezzi di territorio importantissimi. Insomma, Lenin portò il suo paese stremato fuori dalla guerra, mentre Kautsky giustificava il fatto che gli operai si facessero ammazzare per le proprie borghesie nazionali In quella tremenda carneficina che fu il primo conflitto mondiale. Lenin, inoltre, non si preoccupò delle accuse di tradimento che gli furono formulate da più parti perché riuscì a convincere i russi a sostenerlo contro Kerensky proprio per la promessa di mettere fine alle stragi imperialistiche. La stampa borghese non perdeva occasione per sputtanarlo chiamandolo spia tedesca (ancora adesso si alimentano simili menzogne): “per quattro anni il Kaiser foraggiò il movimento rivoluzionario fornendo soldi, munizioni, armi ed esplosivi per compiere attentati. Solo il ministero degli Esteri versò 26 milioni di marchi dell’epoca, un valore attuale di 75 milioni di euro” […]il ministero degli Esteri tedesco pagò 50 mila marchi oro già nel settembre 1914, con la promessa di versare altri due milioni di marchi al momento dello scoppio dell’insurrezione”. ( La Stampa); “Due milioni di marchi l´11 marzo 1915, quindi poco dopo il piano di 23 pagine. Poi cinque milioni di marchi il 9 luglio 1915, e di nuovo cinque milioni il 3 aprile 1917, pochi giorni prima della partenza di Lenin dall´esilio elvetico alla volta di Pietrogrado. Su un vagone extraterritoriale, nota Der Spiegel, «ma non è vero che fosse un vagone tutto piombato come si è detto finora: aveva tre porte piombate, ma una libera»” ( La Repubblica). L’intenzione esplicita della stampa di ieri e di oggi è quella di descrivere i bolscevichi come traditori al soldo di un paese straniero, tanto più se a ciò va ad aggiungersi che “I bolscevichi «hanno fornito utili informazioni sulla situazione nella Russia zarista», scrisse allora Walter Nicolai, capo del servizio segreto del Kaiser”.
Qualche tempo fa lo Spiegel ha adombrato che la stessa pace di Brest-Litowsk, firmata da Lenin dopo la rivoluzione d’ottobre, servisse a ripagare il Kaiser dell’aiuto concesso: “Le potenze dell´Intesa sostenevano la «controrivoluzione» anticomunista. Ma l´Impero di Guglielmo II continuò ad aiutarli. «I bolscevichi sono bravi ragazzi, finora si sono comportati benissimo», scrisse Kurt Riezler, responsabile della politica verso la Russia allo Auswaertiges Amt, chiedendo nuovi soldi per loro” ( La Repubblica). In verità, Lenin si convinse a stipulare quell’accordo, senza porre troppe condizioni, perchè voleva tenere fede alla sua promessa di salvare le vite di operai, soldati e contadini per concentrarsi sulla difesa e sulla costruzione del socialismo in Russia.
I liberali, dunque, non perdono il vizio di fare la Storia contando i morti, disseppellendo quelli altrui e nascondendo i propri, ma soprattutto di distribuire patenti di bontà o di cattiveria immancabilmente contraffatte.