I MUTAMENTI IN ATTO

mondo

 

Oggi, si dice, viviamo in un’epoca di profonde trasformazioni. E’ così, ma siamo soltanto all’imbocco di eventi traumatici e drammatici che sconvolgeranno il panorama globale, molto più di quanto possiamo immaginare adesso.
Non finirà il mondo, né la storia (nel cui petto batte un cuore infinito), come qualcuno scioccamente paventa (e non perirà nemmeno il capitalismo, essendo divenuto già qualcosa d’altro da un bel pezzo, ovvero da quando il modello inglese è stato soppiantato da quello americano), “semplicemente”, si fa per dire, ci sarà l’ennesima evoluzione dei rapporti di forza che trasfigurerà le relazioni tra i paesi e, al loro interno, quelle tra i gruppi sociali. Squilibri e conflitti (a varia intensità e manifestazione fenomenica) caratterizzano le creazioni sociali (e, dunque, anche la Storia) dall’alba dei tempi ma i cattivi maestri e gli imbonitori di professione cercano di celare questo dato incontrovertibile all’occhio umano. In mancanza, come farebbero a sostenere i loro falsi progetti di affratellamento universale dei popoli che favoriscono sempre chi domina nella contingenza?
La crisi economica è appena un segnale di quanto ci attende. Dove condurrà la dinamica delle frizioni tra attori geopolitici e corpi collettivi ancora non è dato sapere. Un giorno ci sarà forse un altro conflitto bellico per la preminenza ma è presto per dirlo, in ogni caso nulla sarà come prima, nelle forme, e tutto si rassomiglierà, mutatis mutandis, negli esiti evenemenziali. Se ci rivolgiamo al passato, una fase simile alla nostra è stata quella della grande stagnazione, principiata negli anni ’70 del 1800 e protrattasi quasi fino alla fine del secolo. Dietro la depressione di cui parliamo si svolgevano avvenimenti geopolitici, economici, tecnologici, culturali ecc. di grande rilevanza. Erano questi a scatenare le crisi finanziarie. In tale periodo il monocentrismo inglese aveva iniziato a dare lievi segni di cedimento ma la sua morte sarà ufficialmente proclamata solo dopo la II Guerra mondiale, allorché Londra verrà spodestata da Washington e da Mosca nella preponderanza egemonica sul pianeta. Durante questo lungo arco di tempo accadrà di tutto, un conflitto mondiale, una nuova grande depressione (il ’29) ed ancora una guerra di tutti contro tutti dalla quale emergeranno, da ultimo, due poli (Usa e Urss) predominanti (ma non paritari) che riplasmeranno le relazioni internazionali a loro immagine e somiglianza attraverso la creazione di proprie sfere egemoniche. Volendo fare un paragone, potremmo dire che l’attuale situazione di crisi finanziaria ed economica coincide con la relativa perdita di centralità dell’impero americano sull’orbe terraqueo. Proprio come il monopolarismo inglese, anche il monocentrismo statunitense ha iniziato la sua lenta discesa che durerà decenni. I concorrenti della Casa Bianca, iniziano a raccogliere le energie per sfidarla, approfittano dei vuoti di potere per estendere la loro influenza, modificano i loro piani di sviluppo, le loro strutture istituzionali, i loro modelli culturali, sfruttano i progressi delle scienze per irrobustirsi militarmente ed economicamente. E’ questa competizione che genera la crisi dei mercati la cui regolazione non è più dettata da un solo pugno sbattuto sul tavolo, il quale poco prima giocava a fare la mano invisibile perché non c’era nessuno capace di opporsi. Come scrive La Grassa, a cui si deve questa ipotesi: “Credo si possa mantenere fermo che ancora a lungo (almeno per un decennio, ma penso in realtà ancor di più) gli Stati Uniti resteranno la potenza predominante. Tuttavia, sono certo in sviluppo nuove potenze che si porranno pian piano come poli in contrasto con essi. A fine ‘800, furono Usa, Germania e, appena più tardi, il Giappone a contrastare, infine con successo, la predominanza inglese. Oggi, a fronte degli Stati Uniti si vanno ergendo soprattutto Russia e Cina. Altri paesi si vanno rafforzando, ma si porranno a mio avviso solo come subpotenze regionali, non come competitori globali o comunque in più vaste aree mondiali. Tali ultimi paesi avranno senza dubbio rilevanza nell’evolvere della fase verso un più acuto policentrismo, ma non saranno, sempre secondo le mie previsioni, i veri antagonisti in lotta reciproca per la supremazia”.
Il multipolarismo si contraddistingue per queste evoluzioni (da sostenere strenuamente perché toglieranno strapotere e tracotanza agli Usa) nient’affatto pacifiche che quando sfoceranno nel pieno policentrismo genereranno addirittura antagonismi di natura bellica. Chi pensa o narra superficialmente, come si sente spesso affermare, che il multilateralismo sia il meraviglioso clima in cui le potenze siederanno ad un tavolo per decidere, collegialmente e dialetticamente, dell’avvenire dei loro popoli si sbaglia di grosso o ha capito veramente poco di quanto si profila all’orizzonte. Questo, certamente, sarà ancora per un po’ il discorso di facciata che i leader mondiali terranno per mantenere segrete le loro strategie, per dissimulare le loro intenzioni, coprire i loro obiettivi ma arriverà il momento in cui lo scontro per la predominanza non ammetterà tentennamenti o manifestazioni di debolezza (quelle più diffuse nella nostra triste Ue). Finchè i differenziali di potere sono ampi occorre operare nell’ombra, tocca allora all’Intelligence andare in prima linea per presidiare l’interesse nazionale e impedire ai nemici di fare altrettanto. In seguito, con i gap ridotti, ci penseranno gli eserciti a proteggere lo Stato o ad offendere quello altrui. Quando le acque si saranno placate il davanti della scena ritornerà nelle mani della diplomazia, non meno falsa ma più cortese.
Chi non giungerà preparato all’appuntamento soccomberà e sarà sottomesso. Europa, de te fabula narratur.
Lo spiega bene ancora La Grassa: “Quando subentrerà l’aperto policentrismo, conterà in modo decisivo l’energia esplicata in senso bellico; ma oggi contano di più i Servizi. La finanza fornisce lauti mezzi (e i finanzieri ne approfittano certamente), ma non è qui che si combatte per la supremazia. Se è per quello, conta anche la battaglia ideologico-culturale, ma non si crederà, spero, che si vincano le “guerre” in tale sfera”.
Lasciate ogni speranza di fratellanza voi che vivete.