I nostri Goebbels

Uno degli errori più frequenti sia tra i sostenitori del progressismo sia tra quelli del conservatorismo, due posizioni che oggi tendono a convergere in una forma di comune reazionarismo, è l’idea che la modernità rappresenti sempre un passo avanti rispetto al passato. I primi estremizzano concetti che i secondi conservano in modo acritico, dopotutto ogni conservatorismo non è altro che la conservazione di un precedente progressismo che successivamente qualcuno vorrà marmorizzare come un busto di Cesare. Entrambe le visioni, però, evitano di mettere in discussione i concetti ormai dominanti nel dibattito pubblico, per quanto spesso esasperati, deformati o persino paradossali. Ma non è così che si giudica la storia. Ogni epoca ha il proprio ritmo, le proprie ragioni e i propri errori, e andrebbe compresa in modo relativo, mai assoluto. Il fatto che oggi si goda, ad esempio, di una maggiore libertà nei costumi non implica che la nostra società sia automaticamente migliore di quelle precedenti, dove le abitudini erano forse più rigide, ma anche più stabili. Ogni tempo attraversa trasformazioni, tensioni, conflitti e ambiguità, senza che ciò giustifichi gerarchie morali tra epoche diverse.
Anzi, l’attuale ossessione per i diritti, spesso i più improbabili e autoreferenziali non rappresenta affatto un traguardo di acquisita giustizia. Al contrario, la proliferazione incontrollata di diritti tende a produrre effetti perversi, questi si sovrappongono, si neutralizzano, si contraddicono, finendo per limitare le libertà reali. Se, per esempio, il mio diritto alla parola viene negato perché qualcuno si sente offeso da ciò che dico, forse era preferibile un tempo in cui non si temeva di offendersi a vicenda, inconsapevolmente, con ogni parola che poteva diventare un caso giudiziario o un pretesto per repressioni in nome del rispetto di qualche minoranza immaginaria sostenuta però da tutto il sistema. Il sistema che tutela le minoranze è qualcosa che fa letteralmente sorridere e qualquadra non cosa. In questo nuovo scenario, forse, prosperano gli avvocati e censori in nome della democrazia, ma ci perdono tutti gli altri, inclusi coloro che oggi si dichiarano turbati persino da un respiro fuori posto. Lo stesso vale per la politica. Siamo stati educati a condannare le ideologie totalitarie che hanno segnato il Novecento europeo. Ci è stato più volte detto che i nostri nonni fecero scelte sbagliate, aderendo al fascismo, al nazismo o al bolscevismo. E su queste ideologie ha infine prevalso, almeno formalmente, la libertà, la democrazia, il rispetto reciproco. Ma questa è solo la verità dei vincitori che proclama di aver imparato dalla storia e di essere ormai immune dal rischio di ripetere gli stessi errori. E invece la storia ci insegna che nessuno ripete mai esattamente gli stessi sbagli, semplicemente, se ne commettono di nuovi, spesso anche più gravi. Sta accadendo proprio ora sotto i nostri occhi. L’Occidente, convinto della propria immunità morale, ha intrapreso una nuova crociata ideologica, demonizzando i propri nemici con un fervore che richiama alla mente certe forme di razzismo del passato. La generazione attuale legittima le proprie ossessioni con ogni sorta di giustificazione e l’esito appare scontato, una nuova linea del fronte si profila all’orizzonte, e ancora una volta i popoli torneranno a massacrarsi con ferocia brutale. Siamo indotti a credere che certi orrori non possano più accadere perché pensiamo di aver appreso da quelli già accaduti. Ma non è così. Come ammoniva il filosofo Rensi, dalla storia non si impara nulla ed è proprio questa la forza del processo storico. Più parliamo di memoria, più dimentichiamo. Innalziamo monumenti al ricordo, ma li pieghiamo alle esigenze del presente, trasformandoli in strumenti di potere e giustificazione per odi radicali.
Il giudizio su di noi lo daranno i vincitori di domani. E se un giorno si libereranno del nostro “politicamente corretto”, giudicandolo il relitto di un’epoca decadente e ipocrita, ci vedranno esattamente come noi oggi vediamo gli italiani che marciavano su Roma, i tedeschi che seguivano Hitler, o i sovietici che applaudivano Stalin. È persino probabile che, se democrazia e liberalismo dovessero sfaldarsi, saranno proprio i loro antichi oppositori, disprezzati e stigmatizzati come esseri immondi, a essere rivalutati. Per la verità, qualche nostalgico già lo fa. Ma vorrei vedere chi tra i nostri politici che blaterano di barbarico espansionismo russo, non gonfia il petto quando parla di Impero Romano. Quei Cesari andavano bene, eventualmente questi no. CVD.
Del resto, la democrazia non coincide con il potere del popolo, né il diritto di voto garantisce maggiore libertà rispetto a un’acclamazione collettiva o a una rivoluzione che rovescia un ordine consolidato. Ogni epoca tende a giudicarsi con indulgenza, almeno da parte di chi la domina. Si scaricano le colpe sui vinti, si selezionano ricordi funzionali, si romanticizza un passato che non è mai passato perché non è nemmeno mai venuto se non come ricostruzione più o meno arbitraria degli eventi. Eppure, esistono pensatori capaci di giudicare oltre il proprio tempo, fondando le loro riflessioni su presupposti universali, validi in ogni epoca. A loro dobbiamo affidarci, se vogliamo davvero comprendere il nostro tempo. Solo così potremo sottrarci al dominio delle valutazioni estemporanee imposte dalla cronaca, dagli accademici antistorici e dai loro obiettivi immediati. Le società cambiano forma, ma non natura mutano simboli, linguaggi e scusanti, ma l’uomo resta maestro nell’arte di autoassolversi anche quando commette atrocità peggiori di quelle del passato. Diciamone qualcuna facilmente verificabile anche nei crimini dei nostri giorni. Alcuni Paesi oggi si macchiano di colpe persino più gravi di quelle commesse dal nazismo. Come allora, stampa e storiografia sono spesso al servizio del potere e coprono le proprie malefatte esagerando quelle altrui. Vedi Gaza. Abbiamo i nostri Goebbels che però chiamiamo esperti imparziali. Così i crimini diventano veniali effetti collaterali di interventi umanitari per esportare valori universali. I nostri.