I PICCOLI INQUISITORI (di G. Gabellini)



Se il giudice fosse giusto, forse il criminale non sarebbe colpevole.

Fedor Dostoevskij

Il cinema ha sempre avuto una risorsa in più rispetto alle altre forme di arte, che consiste nell'iperbolizzare la realtà e di mostrarla all'osservatore più cruda di quanto non sembri. In sintesi, non è azzardato affermare che la realtà è gelosa della finzione.
Tutto ciò è indubbiamente riscontrabile in un vecchio film di Marco Bellocchio, opportunamente intitolato "Sbatti il mostro in prima pagina". Protagonista del lungometraggio è un influentissimo capo redattore di giornale, estremamente cinico e arrivista, che strumentalizza un fatto di sangue particolarmente efferato per gettare discredito su una precisa fazione politica. Dalla posizione in cui si trova, questo signore (un grandissimo Gian Maria Volonté) esercita tutta la propria influenza per indirizzare la storia e le indagini nella specifica direzione a lui gradita, in modo da dare in pasto all'opinione pubblica un mostro così ben confezionato. Pare decisamente opportuno ricordare la non certo inedita né originale trama di questo bel film in un triste momento come quello che stiamo vivendo, dominato in lungo e in largo dall'arroganza di questi "giornalisti con portafoglio", che per portare avanti i propri indegni interessi precisi e particolarissimi se ne sbattono letteralmente di rovinare le altrui carriere e vite. E' da qualche anno infatti che quel bel giornaletto che risponde al nome di "Repubblica" ricalca con estrema precisione i comportamenti del protagonista del film, per mano di una certo Marco Pasqua, che nel giro di un anno ha per ben due volte sbattuto in prima pagina il "mostro" del momento. La prima volta accadde che la classica etichetta di "negazionismo" (quale orrore!), questo Marco Pasqua la affibbiò al ricercatore presso l'università "La Sapienza" di Roma Antonio Caracciolo e, come accade sempre in questi casi, all'accusa fecero seguito forti pressioni mediatiche e politiche ("Repubblica" è un giornale che tira circa mezzo milione di copie e il proprietario è uno degli uomini più potenti d'Italia) sull’università, che spinsero il rettore Luigi Frati a "inquisire" accademicamente Caracciolo, la cui figura era stata nel frattempo abbondantemente sputtanata in pubblico. Peccato che il medesimo risalto mediatico che questo "quotidiano" (sic!) riservò alla solita "indignazione" di Riccardo Pacifici e delle tante strapagate anime belle inserite nel clero universitario e giornalistico, non fu assolutamente concesso alla notizia relativa all’assoluzione "accademica" del ricercatore, né alla sua sacrosanta richiesta di risarcimento per i danni subiti. Come era ovvio, né il direttore di "Repubblica" Ezio Mauro né il signor Marco Pasqua si sono degnati di scrivere due righe per porgere le scuse a Caracciolo. Tuttavia, se si fossero fermati a questo, sarebbe già stato qualcosa. Malgrado la botta nei denti subita, lorsignori hanno invece scelto di battere la stessa strada, e questa volta hanno orientato il mirino su Claudio Moffa, professore di scienze politiche presso l'università di Teramo. Le accuse sono grosso modo le solite: Moffa è accusato di negare l'olocausto e di mettere in discussione l'esistenza delle camere a gas. Tuttavia, se per Caracciolo gli inquisitori di "Repubblica" si erano limitati a tirare in ballo la sua passione per Carl Schmitt (viene da chiedersi se sappiano almeno chi era) per tentare di screditarlo (!), nel caso di Moffa hanno invece estratto dal cilindro gli "infamanti" nomi di Serge Thion e di Robert Faurisson. Il lato esilarante di tutta questa faccenda sta nel fatto che Marco Pasqua e i tanti Marco Pasqua sparsi per l'Italia si guardano bene, da bravi "inquisitori", dall'entrare nel merito della questione, e si limitano a sottolineare la "vicinanza" dei nomi clamorosi sopra citati con l'imputato in questione, formulando conciò un sillogismo di pessima fattura atto a screditare personalmente Moffa. Strano, quando il “dossieraggio” proviene da un individuo ripugnante come Vittorio Feltri ed è rivolto contro Boffo o contro Fini, si tratta di "Ignobili attacchi personali", quando lo fa "Repubblica", scrivendo idiozie e farneticazioni sul conto di comuni esseri umani che non dispongono del potere né (presumibilmente) del denaro per difendersi adeguatamente, i cultori del politicamente corretto si trincerano dietro un silenzio assordante. Poco importa il fatto che nel frattempo sia emerso che Caracciolo aveva ragione (e, senza la minima ombra di dubbio, ce l'avrà anche Moffa). Costoro non chiedono mai scusa, perché sanno bene quello che fanno. Ricordano molto da vicino gli "inviati" di Striscia la Notizia; forti con i deboli e servili con i forti. In ogni caso, entrando più direttamente nella questione, è bene ricordare una cosa. Ammesso e non concesso che i revisionisti (anche se fa molto comodo chiamarli tutti "negazionisti") abbiano torto o che qualcuno di loro si sia inventato tutto per dare una patina di legittimità alle proprie convinzioni personali, non è certo portando avanti questa "inquisizione preventiva" che essi verranno sbugiardati. Le menzogne non si abbattono né con la censura né con le scomuniche né con gli anatemi. Le menzogne si abbattono con la verità, e il fatto che molti di questi "inquisitori" si rifiutino categoricamente di scendere (o forse salire?) su questo terreno, che è quello della Storia, la dice lunga sulla loro buona fede. John Stuart Mill scrisse che "Le verità se non sottoposte a continue revisioni, cessano di essere verità. E, attraverso le esagerazioni, diventano falsità". Né Moffa né Caracciolo hanno "negato" l'Olocausto, ma si sono semplicemente limitati a rivendicare il sacrosanto diritto di studiare ed eventualmente correggere certe versioni date per vere alla luce dei documenti che stanno emergendo di volta in volta (dagli archivi di Mosca, ad esempio) su questa vicenda storica così scottante e tirata per la giacca da tutte le parti. Il problema è che quella che Norman Finkelstein (che Pasqua cita nella sua articolessa ma che si guarda bene dallo spiegare chi è al "colto" lettore del suo giornale) definisce "Industria dell'Olocausto" si oppone con estrema durezza a tutto ciò, e il "lavoro sporco" compiuto da "Repubblica" ne è uno degli esempi più lampanti. L'obiettivo dei suoi potenti e facinorosi protagonisti è quello di elevare l'Olocausto al rango di dogma, così da poter immunizzare per millenni il popolo ebraico, ed Israele in particolare, da qualsiasi tipo di critica. Finkelstein scrive che: "Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m'indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia &egrav
e; che è stato usato per giustificare la politica criminale dello stato di Israele e il sostegno americano a tale politica. L'attuale campagna dell'industria dell'Olocausto per estorcere denaro all'Europa in nome delle "Vittime bisognose dell'Olocausto" ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo. Ma anche tralasciando queste preoccupazioni, resto convinto che sia importante preservare l'integrità della ricostruzione storica e lottare per difenderla. Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo non alla sofferenza degli ebrei, ma all’accrescimento del loro prestigio”. A quando un articolo di Marco Pasqua al riguardo?