I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA CIMITERIALE
La vecchiaia dovrebbe essere l’età della saggezza ma anche della irriverenza, quella in cui si può dire tutto su chiunque perché non si ha più timore di nulla e di nessuno (in stile Cossiga, magari premunendosi, laddove possibile, con un patrimonio di segreti e di retroscena da utilizzare all’abbisogna), perché in fondo si è vissuto abbastanza per comprendere che l’esistenza è troppo breve per non essere presa di petto, con la giusta dose d’insolenza e decisionismo, poiché i giorni sono contati (come nel film di Elio Petri), i compromessi con la morte durano solo una partita a scacchi (come ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman), le etichette diventano inesorabilmente epitaffi, gli infingimenti sfioriscono nella bara dove non si bara e non ci sono più apparenze da salvare ma apparizioni da raggiungere nell’altro regno (per chi ci crede).
Pensiamo che, venendo meno o attutendosi l’istinto di sopravvivenza, sociale oltre che fisica, si dovrebbe mostrare il proprio disprezzo per la lentezza altrui, per i temporeggiamenti inaccettabili di chi ha ancora molto da vivere ma spreca il suo tempo oppure lo deprezza sul mercato oscillante delle esitazioni o delle scelte vili.
Si dice che siano i giovani a dover aver fretta, in realtà dovrebbero averla gli anziani la foia di lasciare una traccia positiva e propositiva prima di dipartire per sempre, soprattutto quando ricoprono posti di comando. Peraltro, essendo la riconoscenza degli uomini piuttosto corta, il gran gesto sul limitar della fossa esalta il passato e scolpisce meglio nel ricordo fatti e comportamenti da tramandare a futura memoria.
Almeno, io così vorrei vivere l’ultimo scorcio della mia presenza su questa terra prima di andare sottoterra, accompagnando i giovani nelle grandi scelte, assumendomi la maggior parte delle responsabilità senza pretendere eccessivi meriti e facendo da scudo alle nuove generazioni agli imprevisti delle circostanze in cui si agisce e ci si agita essendo agiti. Se si ricoprono alti ruoli politici questo diventa un dovere etico oltre che un piacere personale, perché finalmente si ha la possibilità di rischiare tutto senza rischiare un granché, giacché il calendario non perdona e non fa differenze di rango.
Insomma, non sarei né Giorgio Napolitano (87), né Mario Monti (65), vegliardi al vertice di una gerontocrazia in putrefazione, al pari del corpo sfatto di questa II Repubblica, nata morta ed affollata di cadaveri che si credono immortali ad un passo dalla tomba, antenati di sé stessi venuti al mondo decrepiti scalpitando per il potere e per il loro podere partitocratico.
Eppure, questi uomini attaccati alla vita dal suo lato più bieco e vergognoso vengono considerati dai circuiti mediatici ufficiali i salvatori della Patria, i padri nobili di un Paese in smobilitazione da almeno un ventennio. Napolitano e Monti giocano a fare ognuno il bastone delle vecchiaia dell’altro perché nessuno ha ancora la forza di bastonarli a dovere e nel, frattempo, stangano gli italiani con riforme inutili e soprattasse ingiuste che traslano la ricchezza da chi non ha nulla a chi ha sempre di più.
Il primo è stato tutto fuorché un temerario, sempre dalla parte della ragione, ha ancora il torto di svendere la nazione per la propria ambizione, a quasi novant’anni. Più che un esempio uno scempio. Fascista in gioventù, comunista nella maturità, democratico nella senescenza, è il re della commedia politica all’italiana, uno insomma che per stare a galla ha affondato qualsiasi coerenza in un mare di svolte e giravolte a proprio esclusivo beneficio. Mario Monti è un suo prodotto, confezionato nei salotti internazionali, collaudato ed approvato a Washington e spedito a Roma per mettere gli italiani nel sacco. I due, come il gatto e la volpe, ci stanno derubando dei nostri denari promettendoci che ci sarà una futura crescita nel lungo periodo, quando cioè saremo tutti morti di fame.
Il re ed il professore, la strana coppia di questa fase di decomposizione, molto meno divertente di quella Matthau-Lemmon, non si accontenta di tutti i danni che ha già causato ed annuncia l’ulteriore cessione di sovranità perché governare gli italiani è ancora un fatto inutile, quindi meglio che se ne occupino in più alto loculo.
Questo succede a mettersi nelle mani dei becchini che di sicuro avranno le loro solenni esequie di Stato ma soltanto dopo aver fatto il funerale allo Stato.
Ps. Avrete appreso dai giornali che la Rosneft, con l’appoggio del governo russo e di quello britannico, si è comprata la Tnk-Bp, divenendo la più grande compagnia petrolifera mondiale privata, superando persino la statunitense Exxon. Quando l’Italia faceva affari col Cremlino e le imprese russe il mondo ci accusava di metterci dalla parte dei divoratori di diritti civili e di distruggere il progetto europeo di indipendenza energetica che passava dalla differenziazione delle fonti e dei fornitori. Ora che sono gli inglesi ad essersi venduti la pelle all’Orso nessuno ha nulla in contrario. L’Europa fa la voce grossa esclusivamente quando si tratta di dare un calcio allo Stivale mentre abbassa le orecchie di fronte alla perfida Albione che sta con un piede in Europa e con la stella altrove, sulla bandiera di un’altra Unione. Giorgio Napolitano quando chiede di accelerare la devoluzione dei poteri nazionali all’Europa non ci chiede un sacrificio per il bene del continente ma un suicidio per il male della nazione. Monti ovviamente è il suo concorde vicino di salma. Diventeranno i primi Presidenti di una Repubblica cimiteriale.