I SISTEMI COMPLEMENTARI PER LA DIFESA DELLA NATO ED UNIONE EUROPEA di Giovanni Caprara

1

A seguito delle elezioni europee, la neo eletta governance dovrà stabilire il ruolo che l’UE dovrà perseguire nei confronti della NATO. Nel vertice della difesa europea nel dicembre 2013, i Paesi Membri, hanno deliberato la centralità della Difesa e della Sicurezza nelle politiche comuni. I primi provvedimenti per il 2014 sono i controlli dello spazio virtuale e marittimi, con una strategia che agevoli una elaborazione precisa dei piani di azione. La condivisione delle capacità militari, detta pooling and sharing, è il secondo punto nodale che dovrà essere sciolto entro la fine del 2014. La cooperazione fra gli Stati sarà possibile solo erodendo le sovranità nazionali, superando dunque quel concetto di perdita della centralità nazionale, aspetto che ha ritardato il processo di integrazione in materia di Difesa, a favore di uno Stato Europeo proiettato verso la statualità di superpotenza. Di fatto, il viatico di aggregazione comunitaria dovrebbe sovrastare l’impostazione intergovernativa propria delle sovranità nazionali. Altri impedimenti ad una condivisione della Sicurezza e della Difesa, sono nella coabitazione di strutture stabili preesistenti al progetto di unificazione europea, gestiti dall’Alleanza Atlantica, ed al principio di difesa collettiva sancito nell’articolo 5 del trattato della NATO, siglato dall’intera coalizione nel 1949. Si configura pertanto, una inutile e dispendiosa sovrapposizione di manufatti,  finalità e membri fra la NATO e l’UE. I modelli di difesa delle due organizzazioni per l’intervento in aree di crisi sono strutturati in tre settori: la forza di reazione, creata per contrastare un avversario con una componente militare rilevante, pertanto è abilitata ad operare in scenari di combattimento ad alta intensità; la forza di stabilizzazione, è incaricata per operazioni di bassa o media conflittualità e per la stabilizzazione dell’area di crisi nel lungo periodo; la forza di supporto che ha compiti di sostenere, assistere e coadiuvare le attività di comando e controllo delle due precedenti. In particolare, le capacità di proiezione della forza di stabilizzazione sono tese alla sopravvivenza in ambienti ostili o divenuti tali per improvvise recrudescenze della violenza a causa di attività di guerriglia ed alle competenze socio-culturali relative alla zona dell’operazione. Non ultima, è la componente dell’intelligence per la prevenzione di attacchi terroristici. Inoltre, la forza di supporto, è fondamentale sia durante la conduzione delle operazioni quanto al mantenimento e controllo del teatro. La centralità delle forze armate nei confini nazionali è assunta a basilare da quando i Governi ne agevolano la prontezza operativa in situazioni di crisi quali il supporto alle autorità civili in caso di calamità naturali ed alla funzione strategica di conoscenza ed anticipazione delle minacce, una sorta di allerta rapida in grado di monitorare lo sviluppo dei dissesti interni. La capacità di proiezione esterna è tradizionalmente una prerogativa delle forze armate Statunitensi, ma anche l’Inghilterra l’ha posta come una priorità nel proprio modello di difesa. Infatti, la Strategic Defence Review britannica ha posto una crescente politica di adattabilità e flessione ai propri militari, concentrando l’attività nella Joint Rapid Reaction Force, una forza integrata in grado di intervenire con un breve preavviso in azioni estere anti terrorismo, la cui finalità è la negazione e la prevenzione di attacchi sul proprio territorio. La Germania, con la Bundeswehr, ha un modello di corpo di spedizione impiegabile in teatri di crisi di interesse per la Nazione ed in aree geografiche lontane, le cui peculiarità sono: la rapidità di dispiegamento; l’interconnessione integrata per velocizzare l’intelligence al fine di favorire la conoscenza dell’ambiente in cui opererà; una più rapida catena di comando. A livello internazionale l’ONU è il principale attore per la gestione delle crisi, la NATO è l’organizzazione preminente a garantire la sicurezza globale, ma la Politica europea di sicurezza e difesa, la PESD, sta affermando la capacità militare dell’Unione Europea con Frontex ed EUROSUR. La prima venne formata con l’intento di coordinare il pattugliamento delle frontiere aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE e per agevolare, in accordo con i Paesi coinvolti nel fenomeno dell’espatrio, la riammissione degli esuli respinti. Dunque l’Agenzia non ha solo compiti militari, ma, in materia di gestione e controllo delle frontiere, anche politici, quest’ultimi tesi a definire modelli di valutazione per assistenza ed aiuti in operazioni di rimpatrio, i quali verranno definiti a giugno del 2014. EUROSUR è il sistema di sorveglianza pan-europeo delle frontiere terrestri e marittime e sarà uno strumento attraverso il quale gli Stati Membri potranno scambiarsi in tempo reale informazioni e raccolte dati, in modo da poter meglio analizzare le strategie di intervento. In base alle dichiarazioni del precedente Commissario Europeo per gli Affari Interni, tutte le operazioni europee, Frontex compreso, si svolgeranno in ambito EUROSUR ed ogni Stato coinvolto dovrà rendere operativo un centro nazionale di controllo per questo nuovo sistema di sorveglianza, che dovrebbe diventare pienamente operativo in tempi brevi. Ad EUROSUR sarà affiancato un servizio di segnalazioni agevolato dai satelliti e droni. Tale apparato di sicurezza costerà 35 milioni di euro all’anno, ma parte di questi saranno assorbiti da quelli erogati per Frontex. Un insieme di cooperazioni si sono sviluppate nei Paesi Membri dell’UE, trainate dalle politiche delle Nazioni militarmente predominanti, e sono tese a perseguire interessi comuni come la sicurezza e stabilità del Nord Africa; dunque una condivisione di obiettivi e di sviluppo delle capacità militari legati nella Common Security and Defence Policy e nella Defence Technological and Industrial Base. Le missioni dell’Unione Europea sono competenti in operazioni umanitarie e ristabilimento della pace, ma anche in azioni congiunte per consulenza ed assistenza militare, disarmo, prevenzione dei conflitti e lotta al terrorismo. La NATO si sovrappone con l’Unione Europea nei 23 Paesi Membri comuni e nel corso degli ultimi anni si è tentato di aumentare il flusso di informazioni fra le due organizzazioni, al fine di sviluppare le capacità militari in materia di sicurezza e difesa, ma permangono alcuni attriti in particolare su Turchia e Cipro, in quanto la prima è nella NATO e non nell’UE, la seconda esattamente il contrario. Questo ingenera una difficoltà nella cooperazione benchè la Turchia sembri avvicinarsi all’European Defence Agency, la struttura deputata ad incrementare le competenze militari europee. Gli Stati Uniti auspicano l’assunzione di una maggiore consapevolezza e responsabilità europea per la garanzia della stabilità basata sulla sicurezza e sullo sviluppo dell’apparato militare, finalizzato ad un maggiore coinvolgimento nelle operazioni in ambito NATO ed ONU, ma senza fornire indicazioni precise e mantenendo interessi economici nella vendita dei sistemi d’arma, non ultimo il fallimentare progetto dell’F-35. La sfida che gli Stati Membri dell’UE si sono posti, è quella di arginare la crisi identificando nuove aree di sviluppo come i segmenti di mercato dell’elettronica e della sicurezza, finalizzando le risorse ed ottimizzando le iniziative verso accordi bilaterali fra gruppi anche di diversa nazionalità, ma sempre in ambito dell’EDTIB, escludendo perciò le aziende statunitensi.  Il quadro strategico europeo è imperniato nell’agevolare la sicurezza del confinante, sia con azioni autonome che in cooperazione con altri, creando una organizzazione bilaterale e regionale, un concetto definibile come multilateralismo delle forze armate, estendibile anche nello spazio virtuale con azioni mirate di cibernetica, un dominio in espansione fondamentale per la sicurezza e l’economia europea. Un aspetto discusso nel consiglio dell’UE del dicembre 2013, dove si è manifestata la necessità di sviluppare un Cyber Defence Policy Framework a sostegno delle missioni europee. Questa è, più ampiamente, la definizione di obiettivi strategici per porre in relazione i valori base dell’Unione nei suoi interessi vitali, implementando gli strumenti atti a garantirne le capacità in materia di sicurezza e difesa. Risorse come i Battle Groups, benchè formalmente istituite da tempo, non sono mai state utilizzate e ciò limita la rapidità di intervento dell’UE in teatri dove l’interesse europeo è primario, in particolare nel Mediterraneo. Il motivo di tale condizione è nell’evidente duplicazione del comando integrato NATO. Definibili come unità in stand by, i Battle Groups si avvicendano su base semestrale e sono dei reggimenti formati da 1.500 a 2.500 effettivi. Una struttura flessibile in grado di controllare e prevenire un aumento delle conflittualità regionali ed anche di assolvere a missioni di soccorso, umanitarie e mantenimento della pace. Nonostante le elevate capacità operative, questi reparti non hanno ben definite le condizioni di teatro dove potrebbero essere dispiegati, perché la flessibilità, che ne rappresenta il maggior punto di forza, pare abbia ingenerato una formazione dalle connotazioni talmente ampie da non renderla identificabile ed adattabile a nessuna missione. In un contesto di grave disagio economico, anche i costi incidono sulle decisioni: Infatti il 90% delle spese di mantenimento degli EUBG, gravano sui bilanci di ogni singolo Paese compartecipante a questo progetto. Sostanzialmente rappresentano un investimento per asservire alla stessa struttura dell’Alleanza Atlantica. Per agevolare la crescita, diventa indispensabile un impegno politico che sia vincolante per i Paesi membri dell’UE. In Europa, i modelli di difesa e sicurezza sono tra loro sovrapponibili, ma due Nazioni ne differiscono in parte in quanto dotate di un arsenale atomico. La Gran Bretagna ha una strategia nucleare in stretta collaborazione e dotazione con gli Stati Uniti, dalla quale dipende sia per l’approvvigionamento che per la tecnologia. La forza di dissuasione britannica è imperniata sui sommergibili strategici lanciamissili, uno di questi è sempre in navigazione. La seconda linea è affidata agli aeromobili, anche per la questione politicamente delicata dei luoghi dove posizionare le basi aeree che li ospitano. Infine ai missili trasportabili, la cui gittata è inferiore ai precedenti. Il libro bianco della Gran Bretagna li indica come un elemento necessario per la sicurezza nazionale. La Francia ha una strategia di piena autosufficienza, una condizione a garanzia dell’indipendenza atomica, dunque una prerogativa sulla produzione di tutti i componenti per la deterrenza nucleare nazionale. L’obiettivo francese è quello di una limitata ristrutturazione della capacità atomica, in particolare il decremento dei missili da crociera trasportati da velivoli e l’aumento del numero dei sommergibili strategici. La sfida francese è nel creare entro il 2020, in concerto con l’Industria Europea della Difesa, un sistema di allerta rapido in grado di rilevare un attacco nucleare con i missili balistici. Gli Stati Membri sembrano aver concentrato la collaborazione in particolare sul controllo delle frontiere, più esattamente su quelle marittime, dove i flussi migratori rappresentano l’emergenza da gestire nel breve periodo. Il concetto di sicurezza e controllo dei mari è sensibile nel garantire il libero scambio delle merci sulle rotte oceaniche. Questo è un interesse strategico per l’Unione Europea, infatti quasi il 90% delle esportazioni ed importazioni europee si sviluppa via mare. La tutela del transito dei beni di largo consumo, inficiata dagli episodi di pirateria, ha ingenerato il progetto di identificare rotte alternative che potrebbero diventare una implicazione geostrategica globale, in ragione degli interessi marittimi dell’UE in tutto il mondo. Per assumere il ruolo di attore credibile, l’Unione Europea dovrà necessariamente sviluppare un approccio strategico che bilanci il rapporto tra i costi per garantire la sicurezza ed i benefici ottenuti negli scambi commerciali via mare. Perciò sembra necessario varare una strategia di sicurezza del mare tale da accrescere la credibilità dell’apparato difensivo europeo a livello globale. Gli impegni presi in ambito NATO, costringono il governo a continuare in scelte che, a questo punto andrebbero corrette se non riviste completamente, anche a costo di porre in discussione la permanenza dell’Italia in ambito dell’Alleanza Atlantica. Senza una adeguata preparazione ed un armamento consono alle missioni, queste sono a rischio, come la vita dei soldati impegnati nei teatri di guerra e la credibilità del sistema Italia. La fuoriuscita dalla NATO, porrebbe l’Italia in condizioni di poter riprendere consapevolezza delle proprie potenzialità, soprattutto nel campo della tecnologia, dove le aziende del settore primeggiano; inoltre tornerebbe proprietaria dei manufatti ceduti all’Alleanza Atlantica e potrebbe decidere in autonomia sul ruolo da svolgere in materia di missioni umanitarie e delle collaborazioni estere in genere. Questo definirebbe una nuova mappa geopolitica e strategica, dove la NATO perderebbe in gran parte l’egemonia sul Mediterraneo e costringerebbe l’Alleanza Atlantica a rivedere il controllo dei cieli, il cui impatto principale si ripercuoterebbe sugli interessi statunitensi nel Vicino Oriente. Attualmente il monitoraggio degli spazi aerei  è demandato ai centri radar di Poggio Renatico e Poggio Bustone, strutture comandate a gestire le operazioni aeree e l’Italia riacquisterebbe la propria autonomia nelle missioni scramble, infatti in ambito NATO, la salvaguardia dello spazio aereo italiano è controllato dal centro di Torrejon in Spagna. L’allargamento ad est dell’Alleanza atlantica, segnerebbe in parte il passo, dovendo rimanere senza la necessaria protezione dalla VI flotta e dalle basi di aeree di Aviano e Sigonella. Le eccellenze italiane non dipendenti dalla NATO, proseguono sullo sviluppo dell’Eurofighter e la cantieristica navale è in piena attività con le nuove corvette e le fregate multi missione, FREMM, nate su una collaborazione fra Francia ed Italia. Nel 2014 si concluderà il piano del Soldato Futuro, imperniato sulle tecnologie relative ad armi e munizioni, acquisizione dell’obiettivo, controllo del tiro e gestione delle comunicazioni. La filosofia del progetto è nell’immediatezza del collegamento fra i soldati impegnati in una missione. La Federazione Russa ha espresso la volontà di dotarsi di questo sistema, interessandosi in particolare alla tecnologia italiana. La capacità netcentrica della Gran Bretagna è in ritardo rispetto a quanto pianificato, probabilmente a causa degli impegni prolungati in campo internazionale come in Afghanistan ed Iraq. La centralità del progetto inglese è nel sistema di comunicazione integrato Enhanced Low-Level Situational Awareness e nel Remote Optical Video Receiver. La Francia ha approcciato il NEC con l’apparato di comunicazione SYRACUSE ed il sistema di connettività SICA. I risultati prodotti da queste componenti, hanno avvalorato la funzionalità della forza NEC, ma nel contempo palesato alcune limitazioni nel campo dell’addestramento e della gestione delle informazioni fra i diversi comparti della difesa, pertanto i francesi hanno deciso di concentrare le ricerche per tentare la convergenza in un unico sistema interforze. Le evidenze estrapolate dalle esperienze europee, hanno palesato una migliore adattabilità del NEC rispetto al modello statunitense, in particolare nei conflitti asimmetrici ed in operazioni di lungo periodo come quello afghano, ciò ad evidenziare che l’UE sarebbe pronta a distaccarsi dalla NATO. Però, nella riunione del Parlamento Europeo del gennaio 2014, si è stabilita la necessità di una maggiore ambizione politica e la volontà di esprimere una complementare azione sinergica con gli Stati Uniti e la NATO, fugando qualsiasi diatriba su eventuali competizioni. Di fatto, il rapporto con l’Alleanza Atlantica, vuole rimanere la principale variabile per la crescita della politica europea di sicurezza e difesa, dove una equilibrata collaborazione potrebbe migliorare i modelli dell’UE, sia in materia di soppressione e prevenzione del terrorismo, quanto in quello della proliferazione delle armi di distruzione di massa, benchè l’industria della Difesa europea sia in grado di produrre sistemi più complessi ed avanzati. L’Unione Europea è affermata a livello regionale, ma può assurgere ad attore globale con una politica tesa alla stabilizzazione delle aree limitrofe ed alla risoluzione dei conflitti mondiali. I modelli di difesa continentali dovranno definire i rischi dei processi di globalizzazione e della crisi finanziaria, perseguendo sia gli interessi nazionali che comunitari, avallando strategie sinergiche nell’elaborazione di schemi interpretativi sulle trasformazioni strutturali sociali, economiche e politiche internazionali, aumentando la capacità di definizione degli scenari geopolitici globali, dove i futuri equilibri potrebbero dipendere proprio dalle capacità militari e dalla centralità dell’intelligence. L’analisi e l’interpretazione dei dati sulle dinamiche delle organizzazioni terroristiche o più in generale degli antagonisti, costituiranno il vantaggio sul quale potrebbe reggersi il sistema Europa. Francia, Germania, Gran Bretagna ed Italia, sottolineano la crescente importanza strategica della funzione intelligence, non solo per la prevenzione ma per la condotta stessa delle operazioni. Nella dimensione europea, di fatto i modelli di difesa e sicurezza sono tra loro connessi ed equipollenti anche nel comparto dell’intelligence e potranno rimanere tali solo se saranno supportati dalla consapevolezza e dalla cooperazione politica comunitaria; questa, dunque, è la sfida che la nuova governance dovrà porsi.

Giovanni Caprara