I TRADITORI E I TRADITI
Ieri in Parlamento è andata in scena una tragicommedia di tradimenti e intrighi quale nemmeno Shakespeare poteva elaborare. Anche perchè costui non concepiva finali così banali e sciocchi. Gli uomini del PDL si sono pugnalati tra loro rinfacciandosi il ripudio del capo, fino al coup de théâtre del leader medesimo che ha fatto harakiri suicidando tutto il partito.
Questa mattanza di tonni (che resterà nell’albo dei misteri buffi per i secoli a venire), precede (lo vedrete presto) la risalita della corrente moderata dei salmoni centristi del Pd, i quali, tutti insieme “appasitamente”, tenteranno di dar vita ad una riedizione della Democrazia Cristiana.
C’è da scommetterci che i programmi di Letta ed Alfano stiano andando in questo senso, perché entrambi rimpiangono i tempi della loro formazione, quando il compromesso e la mediazione erano le qualità più richieste per stare al governo e creare convergenze più o meno parallele.
Ma, appunto, erano altri tempi e questi non torneranno mai più. La DC fu spazzata via da una magistratura arrembante, eterodiretta da una intelligenza oltre oceanica la quale, all’indomani della fine della Guerra Fredda, credette di dare avvio ad un new century di supremazia americana che prevedeva l’estensione dello spazio vitale di pertinenza ben oltre i precedenti confini, con la sottomissione dei più deboli tra i vecchi alleati occidentali e l’assimilazione dei nuovi arrivati orientali.
Ritentare questo percorso a ritroso, dopo più di quattro lustri, senza tener conto del mutato contesto internazionale, porterà allo stritolamento del nostro Stato nelle spire dell’estrema conflittualità tra potenze mondiali che accelererà nei prossimi anni. In sostanza, l’anacronismo dei moderati ci condurrà, in nome di ubbie ideologiche liberali, mercatistiche, europeistiche ed atlantiste, ad abbassare le difese della Repubblica che così diventerà facile preda e, al contempo, territorio di disfida, dei competitors politico-militari della incombente fase policentrica. Per tali ragioni, cancellerie straniere e ambienti finanziari fanno il tifo per il duo Letta-Alfano che consegnerà loro il Belpaese su un piatto d’argento.
Nell’epoca bipolare la Dc aveva saputo e potuto approfittare della situazione muovendosi abbastanza agilmente nelle zone d’ombra della geopolitica dei blocchi contrapposti, dove le grandi potenze (Usa e Urss) lasciavano margini agli alleati minori perché ritenevano quelle incursioni (per lo più commerciali ed industriali) non pericolose per gli equilibri generali. Inoltre, Gli Stati Uniti, in cambio della fiducia imperitura al quadrante occidentale, da essi dominato, garantivano la sostenibilità della spesa pubblica e dei sistemi di welfare dei membri subordinati. Non si voleva rischiare che qualcuno scivolasse nel campo avverso sovietico e, pertanto, gli si assicuravano livelli di benessere che sull’altro fronte erano irraggiungibili. Era questo, almeno in apparenza, il deterrente più convincente, anche se dietro di esso si stagliava, ancor più efficacemente, la forza di fuoco dell’apparato militare yankees, con le sue testate nucleari e le basi disseminate in tutto l’Ovest.
Dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica (che non cadde perché Reagan, ex attore di film western di serie B, riuscì a spingere Mosca verso una folle corsa agli armamenti, come spara qualche analista più pistola che pistolero), gli Stati Uniti voltarono pagina, ridisegnando la loro strategia complessiva che da “settoriale” divenne globale. Il secolo americano però, quello della fine della storia e dell’esaurimento degli “attriti” interstatali, si rivelò quasi subito una chimera. Nel giro di dieci anni gli Usa scoprirono che gli eventi non si erano affatto arrestati. La presunta secolare pax statunitense si stava già scontrando con l’ emersione e riemersione di altri attori geopolitici, i quali, riorganizzatisi, iniziavano a sfidare, a livello regionale, ma con aspirazioni più vaste, il primato della superpotenza americana.
Oggi il pianeta è in ebollizione per lo spostamento di queste placche (aree o stati) che si stanno ricollocando, con le loro istanze e specificità (militari, politiche, economiche, ideologiche, ecc.), sulla scacchiera globale. Dinanzi a noi, dunque, si spiegano, finalmente orizzonti imprevedibili, di sicuro tormento ma anche di grandi opportunità. E noi che facciamo? Torniamo sugli scudi (crociati) e rifacciamo la Democrazia Cristiana, il partito fantasma di un’altra era, invocato dall’altro mondo impossibile a governare una nazione spettrale. Eccovi spiegata la famosa espressione: “moriremo tutti democristiani”. Se questo è il nostro destino, più che altro, era meglio perire da piccoli.
Prima di chiudere questo pezzo vorrei fare un’ultima osservazione sul tradimento. Come afferma il mio maestro, Gianfranco La Grassa, il tradimento è il risultato di un processo oggettivo, per cui occorrono determinate condizioni affinché questo si concreti, secondo una data direzione, “in base allo scontro tra più individui o fazioni, nel cui ambito sono precipitate specifiche configurazioni dei reciproci rapporti di forza”. Spesso, dunque, i singoli individui (i portatori soggettivi del voltafaccia) non si rendono nemmeno conto della funzione storica e sociale di ingannamento da cui “sono agiti”, ed, anzi, pensano le proprie decisioni come inevitabili e, persino, “responsabili” (tutto ciò vi richiama alla mente qualcosa?).
Ma se il traditore può restare incertum (anche dopo lunghe fasi e studi storiografici), i soggetti e i gruppi sui quali ricade l’oltraggio ne pagano immediatamente ogni conseguenza. Chiedetelo agli italiani, quelli che stanno saldando lo scotto di tutta questa vergogna camaleontica, quelli che da decenni vengono iugulati dal malgoverno e dallo spossessamento dei loro averi, pubblici e privati.