IL CARATTERE DI FETICCIO DELLA MERCE di Gianfranco La Grassa

IL CARATTERE DI "FETICCIO" DELLA MERCE (LINK AL SITO)

Presentazione di G.P.

 

Louis Althusser aveva sostenuto la necessità di tracciare una linea netta di demarcazione, nell’ambito della teoria marxista, al fine di separare le tendenze teoriche idealistiche borghesi e piccolo-borghesi (che in essa si erano infiltrate) da quelle prettamente materialistiche e scientifiche.

A tal proposito, aveva espresso l’esigenza di leggere i propri autori da vicino per non cadere nella trappola idealistica delle posizioni filosofiche che, attraverso raggiri ideologici, portavano a stravolgere il pensiero di questi stessi autori (in questo caso di Marx).

Tutto ciò era indispensabile per avanzare in uno spazio teorico meno ambiguo che non si prestasse a deviazioni umanistiche o a marchiani errori d’interpretazione della realtà storica e sociale. Questo era pertanto il metodo migliore (la demarcazione leniniana) per allontanare dalla scienza gli adescamenti buonisti e moraleggianti che tiravano costantemente in ballo l’Essenza umana, seppellendo sotto una coltre metafisica la vera natura del capitalismo.

Servendosi di questa lezione leniniana Althusser poteva dunque dire che: “…il marxismo non ha nulla a che vedere con la <<questione antropologica>> (<<Che cos’è l’uomo?>>), o con una teoria della realizzazione-oggettivazione-alienazione-disalienazione dell’Essenza umana (come avviene per Feuerbach e per i suoi eredi: teorici della reificazione e del feticismo filosofici), o anche con la teoria del <<decentramento della Essenza umana>>, che non critica l’idealismo del Soggetto se non nei limiti dello stesso idealismo del Soggetto, rivestito degli attributi dell’ <<insieme dei rapporti sociali>> di cui si parla della VI tesi, – ma esse permettono (tra le altre cose!) di comprendere il senso della famosa <<piccola frase>> di Marx nel 18 Brumaio… Di questa frase tanto discussa, sostiene  Althusser, i filistei che pongono l’uomo sempre al centro di tutto hanno voluto estrapolare solo le prime cinque “parolette”, ma essa nella sua integrità afferma tutt’altro: “Gli uomini fanno la propria storia, ma essi non la fanno a partire da elementi scelti liberamente (aus freien Stücken) entro circostanze scelte da essi stessi – ma entro circostanze (Umstände) che essi si trovano dinanzi (vorgefundene), già date ed ereditate dal passato”. E prosegue Altusser: “E’ come se egli [Marx] avesse previsto che sarebbero state sfruttate un giorno le sue cinque prime parole…”.

Il punto nodale allora è proprio questo, gli uomini agiscono nella storia sotto la determinazione di rapporti sociali dominanti e Marx tratta della personificazione delle varie figure particolari solo in quanto incarnazione di categorie economiche e di altrettanto determinati rapporti storici e interessi di classe.

Questa è la luce teorica sotto la quale voglio presentarvi il saggio di La Grassa che tratta del cosiddetto feticismo delle merci. Se la parte iniziale, con quanto ripreso dalle citazioni di Althusser (Umanesimo e stalinismo), è stata sufficientemente compresa dal lettore, si intuirà immediatamente dove si vuole arrivare con questa interpretazione del feticismo delle merci fornita dall’autore.

La lettura lagrassiana del feticismo delle merci parte proprio da queste valutazioni, cioè dal fatto che Marx non parla mai degli uomini concreti (poichè i suoi scopi non sono morali bensì teoretici), ma tratta solo “di ‘classi’ di soggetti svolgenti funzioni operaie (lavoro salariato che fornisce pluslavoro/plusvalore) e di ‘classi’ di soggetti con funzioni di capitalisti (proprietari dei mezzi produttivi) che si appropriano del pluslavoro/plusvalore” (La Grassa).

Ciò implica che il feticismo delle merci non può riferirsi agli individui empirici ma deve sempre essere analizzato nell’ambito di determinati rapporti sociali che riguardano sì i soggetti collettivi ma solo in quanto maschere di rapporti sociali. E tutto ciò diviene ancora più evidente se si considera che per Marx tali rapporti si generalizzano solo laddove la stessa forza-lavoro diviene una merce alla stregua di tutte le altre.

In realtà, quindi, non ha davvero senso parlare di uomini in carne ed ossa che sarebbero depauperati della loro Essenza perché costretti a cedere la propria personalità al capitalista. La merce appare come un feticcio solo perché, nell’ambito della società capitalistica, i rapporti tra merci divengono preponderanti (ogni attività sociale viene rivestita da questa forma) e la comprensione della loro dinamica di sviluppo sfugge al controllo dei vari soggetti associati. Si tratta di una acquisizione interpretativa generale che vale per ogni gruppo sociale, sia dominante che dominato, tanto che Marx stesso affermerà chiaro e tondo: “anche i migliori tra gli stessi economisti borghesi comprendono assai poco il meccanismo del loro sistema”; ed ancora: “l’etichetta di un sistema si differenzia da quella di altri articoli tra l’altro perché non solo incanta chi acquista, ma molte volte anche chi vende”.

Ed il nascondimento ideologico fondamentale che agisce in tale tipo di società (e che s’impone sotto forma di leggi generali uguali per tutti) viene così descritto, in maniera altrettanto inequivocabile, da La Grassa: “In realtà, chi possiede la sola merce forza lavoro, ma è privo della proprietà e controllo dei mezzi necessari alla sua attuazione nel processo produttivo, dipende dalle scelte di ‘investimento dei capitali’ da parte di chi li ha. Tali scelte dipendono a loro volta dalla convenienza (profittabilità) degli investimenti (acquisto, impiego e controllo di quelle cose/merci che sono i mezzi produttivi) in questo o quel settore produttivo. E la profittabilità degli investimenti deriva dalla possibilità di maggiore o minore ottenimento di pluslavoro/plusvalore in questo o quel settore produttivo di merci da vendere (per cui certamente vi è anche un problema di realizzazione del plusvalore oltre che di sua “estrazione” dalla forza lavoro). In merito alla producibilità e realizzabilità di questo plusvalore, da cui discende il profitto, si possono fare diverse ipotesi economiche, che non influenzano tuttavia la questione teorica centrale: la libera vendita della propria forza lavoro come merce è in relazione di dipendenza rispetto alla capacità di certi soggetti (capitalisti) di acquistare i mezzi di produzione e di impiegarli con profitto in qualche settore di attività produttiva di merci; dipende cioè dalla possibilità che i capitalisti riescano con modalità appropriate, in specie innovazioni ecc., a estrarre adeguate quantità di pluslavoro/plusvalore dai venditori della merce forza lavoro. La libertà di contrattazione mercantile nasconde questo fatto; e l’ideologia dei dominanti vi sguazza a suo perfetto agio”.

I filosofi dell’ “Uomo-prima-di-tutto” (e della “Ragione-riposta-in-un-angolino”) si rassegnino a queste semplici verità e, d’ora in poi, per i loro vaneggiamenti utopistici si rivolgano pure a tutti gli autori che vogliono ma badando bene di lasciare in pace Marx che proprio non c’entra nulla con le loro assurdità esoteriche.