IL CIRCOLO VIZIOSO DEL FINANZIARISMO di M. Tozzato
Sul Corriere del 17.10.2010 è apparsa una sintesi della prefazione di Guido Rossi al libro, scritto da Richard A. Posner – la cui traduzione italiana sarà reperibile tra pochi giorni – sulle relazioni tra politica ed economia nel mondo odierno e intitolato La crisi della democrazia capitalistica. Rossi ricorda che nell’edizione tedesca della Teoria generale, Keynes stesso ha scritto: << La teoria complessiva della produzione si adatta assai più facilmente alle condizioni di uno Stato totalitario, che riesce meglio a controllare il ciclo economico e a scongiurare la depressione rispetto a una democrazia in condizioni di libera concorrenza.>>
Il docente di diritto economico e finanziario inizia poi le sue interessanti osservazioni:
<<È ormai una constatazione incontroversa che il capitalismo, come sistema di economia di mercato, non comporti necessariamente un regime politico di democrazia. In base ad una consolidata distinzione, il capitalismo ha, per così dire, un andamento pendolare, ai cui estremi si collocano da un lato il capitalismo di Stato e dall’altro un’economia di libero mercato. Corrispondentemente si contrappongono l’utopia comunista da un lato e dall’altro lato quella libertaria: la prima ha avuto nell’Unione Sovietica la sua più avanzata espressione, così come la seconda è stata rappresentata storicamente dagli Stati Uniti verso la fine dell’Ottocento.
Successivamente alla deriva provocata dalla rivoluzione finanziaria, che data almeno dagli anni Ottanta del secolo scorso, i capitalismi sono diventati molteplici e vittime essi stessi di interne poliarchie, con interessi spesso divergenti, che hanno reso improbabili se non addirittura impossibili definizioni precise.>>
Non condivisibile appare la caratterizzazione dell’Urss come capitalismo di Stato anche se questo tipo di lettura rimane ancora la più diffusa tra gli studiosi della questione. L’approccio di La Grassa, il quale ha ricordato ripetutamente le parole di Marx nelle Glosse a Wagner, e che quindi ha ribadito come nell’economia capitalistica il soggetto è la merce, con le sue specifiche forme di produzione e di circolazione, permette sul piano logico di superare le difficoltà inerenti a questa problematica; quello che manca però è un lavoro storico adeguato a queste ipotesi teoriche. Del resto sarebbe molto importante approfondire ulteriormente la natura di quella rivoluzione finanziaria a cui fa riferimento Rossi e che egli ritiene all’origine dell’attuale differenziazione dei capitalismi. Soprattutto , secondo il giurista italiano, un nuovo tipo di lotta tra gruppi dominanti sarebbe sorto dal gioco dei poli di influenza all’interno dei singoli Stati fra il potere dei governi e quello delle corporations. E questo sarebbe risultato particolarmente evidente <<soprattutto da quando l’Institute of Policy di Washington nel 2000 rivelò che il 51 per cento delle 100 maggiori economie mondiali erano controllate dalle multinazionali e solo il 49 per cento dagli Stati.>>
Secondo Rossi la globalizzazione avrebbe creato altri e diversi capitalismi dopo il fallimento di quello che è da lui considerato il modello “puro” di capitalismo di Stato: quello del” Urss e dei suoi imitatori. Sarebbero nati, così, diversi capitalismi misti in cui l’ideologia del libero mercato efficiente che si autoregola ha continuato a prosperare. Anche Paesi come la Cina e la Russia, sarebbero passati così dal capitalismo di Stato ad una forma “ibrida” , per cui quelli che il professore chiama nuovi capitalismi risultano più assimilabili a sviluppi congiunturali di formazioni particolari oscillanti tra gli estremi del capitalismo di Stato e il modello del libero mercato efficiente. La dinamica della nascita e dello sviluppo dei diversi capitalismi avrebbe prima di tutto una origine interna; lo scontro tra gruppi dominanti legati al proprio determinato Stato di origine e i gruppi facenti capo alle corporations transnazionali avrebbe creato una “miscela” di nuovo tipo anche se il punto critico (che ha portato alla crisi e alla conseguente depressione) sarebbe stato raggiunto quando la globalizzazione <<superando i confini e le regole dei singoli Stati,>> si è affidata a una lex mercatoria <<la cui sola norma è costituita dal contratto, che proprio per la sua portata limitata e non generale, e la relativa mancanza di enforcement(1), costituisce un «non-luogo» del diritto, lasciando i mercati finanziari e i loro protagonisti, che ne hanno approfittato, privi di regole. È così che anche la più astratta e irreale, ma fondamentale istituzione del capitalismo inventata dal diritto per rispettare la proprietà privata in forma collettiva, la società per azioni, è caduta nella definizione di «nesso di contratti».>>
Insomma a questo punto il ragionamento di Rossi incomincia a farsi chiaro; i problemi del capitalismo – perché i diversi capitalismi sono solo delle varianti non dei nuovi paradigmi: l’unica contrapposizione autentica è tra il capitalismo classico e il capitalismo di Stato – nascono dal fatto di essere un sistema di mercato autoregolamentato che “aborre le regole”, alla “trasparenza preferisce l’opacità” e <<nella lotta attuale tra lo Stato e le sue regole nei confronti delle grandi imprese sempre più padrone della ricchezza e la loro libertà dalle regole sembrano proprio queste ultime a prevalere. La politica ha ceduto all’economia, con l’unica eccezione, spesso pericolosa, del capitalismo di Stato.>>
Se non fossi inorridito dal termine, che comunque ho già incontrato in qualche testo, parlerei – a riguardo dell’impostazione di Guido Rossi – di una forma di ragionamento da definire non come semplice economicismo ma addirittura come finanziarismo. Questo ultimo lungo passo dell’articolo mi sembra lo evidenzi a sufficienza: <<nel capitalismo finanziario sia la proprietà sia i mercati hanno subìto profonde trasformazioni e sono soprattutto queste ad aver messo in discussione il concetto stesso di democrazia, collegato al capitalismo. Agli azionisti proprietari, persone fisiche, si sono sostituiti enti astratti creati dal diritto, persone giuridiche con responsabilità limitata, la cui genesi e il cui sviluppo hanno sempre avuto una connotazione pubblica e uno stretto rapporto con i governi.[…] Il capitalismo di Stato sembra, nel mercato globalizzato, aver preso il sopravvento sul capitalismo del libero mercato, attraverso i fondi sovrani, o comunque le società possedute direttamente dagli Stati. E sono proprio la mancanza di trasparenza, quale caratteristica collegata alla scarsa regolamentazione dei mercati del credito, le misere limitazioni al leverage(2) speculativo sul capitale preso a prestito e la totale opacità delle banche ombra (gli hedge funds e le società di private equity), con le loro operazioni sui non disciplinati prodotti finanziari «derivati» nelle varie forme di opzioni e di assicurazioni sul loro fallimento (dai cosiddetti Cdo ai Cds(3)), ad aver travolto il capitalismo finanziario nella crisi e nella depressione economica attuali.>>
I rapporti sociali, il conflitto su scala mondiale tra gruppi dominanti, può trovare la sua soluzione e la sua ultima ratio nella lotta per la supremazia solo grazie alla determinante forza coercitiva militare (in
senso stretto e in senso lato) degli Stati. La formazione capitalistica mondiale spazialmente orientata e geograficamente suddivisa in aree d’influenza politiche viene ridotta invece da Guido Rossi ad una delle sue componenti: al mercato sregolato dei giocatori d’azzardo; ancora una volta la deriva ideologica, in questo caso della ben nota economia sociale di mercato, vuole sostituirsi alla pratica teorica autentica che studia l’insieme a partire dalla politica di potenza come fondamento.
(1)Si definisce incompleto il contratto sottoscritto da due o più soggetti, i cui termini siano osservabili dalle parti contrattuali ma non verificabili ed eseguibili (enforceable) con certezza e in via forzosa, da terze parti (un giudice o un arbitro) nel caso in cui sorgano controversie tra i contraenti.
(2)Il leverage o rapporto di indebitamento è un indice utilizzato in ambito finanziario per misurare la proporzione fra il capitale proprio e quello di terzi delle risorse utilizzate per finanziare gli impieghi.
(3)Il credit default swap (CDS) è uno swap che ha la funzione di trasferire l'esposizione creditizia di prodotti a reddito fisso tra le parti. È il derivato creditizio più usato. È un accordo tra un acquirente ed un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito (come ad esempio il fallimento del debitore) cui il contratto è riferito. Il CDS viene spesso utilizzato con la funzione di polizza assicurativa o copertura per il sottoscrittore di un'obbligazione.