Il confronto che si profila sull’esportazione del petrolio curdo-iracheno
[Traduzione di Piergiorgio Rosso da: A Looming Showdown Over Iraqi Kurdish Oil Exports | Stratfor]
Sommario
Un altro confronto sta avvenendo fra il Governo Regionale del Kurdistan ed il Governo dell’Iraq, solo che questa volta la Turchia è entrata nel gioco. Gli sforzi di Ankara e di Arbil per esportare il petrolio nord-iracheno, contro la volontà di Bagdad, stanno guadagnando slancio, ma la Turchia dovrà fornire delle credibili garanzie di sicurezza per questi progetti energetici se vuole evitare un altro stallo ai suoi confini.
Analisi
La Turchia vive un dilemma. La sua competizione con l’Iran in Siria è già stata evidenziata – la Turchia appoggia i ribelli sunniti, che stanno lottando per mantenere il loro attacco contro il regime alawita sostenuto dagli iraniani. La Turchia non può neanche perseguire efficacemente i suoi interessi in Iraq, dove il governo a maggioranza sciita è strettamente allineato con la Shia a Teheran. La decisione turca di oltrepassare i suoi confini e ri-entrare nel conflitto etnico e settario nella regione è costata la partnership con Iraq, Siria e Iran. Anche questioni di comune interesse, come il contenimento delle ambizioni curde per l’autonomia, sono diventate una componente della lotta regionale, con gli iraniani ed i siriani che cercano di sfruttare la militanza curda per tenere occupata la Turchia a casa sua. La Turchia ha concepito un piano ambizioso per liberarsi da tali vincoli. Il partito di governo Giustizia e Sviluppo non condivide le profonde paure che i suoi predecessori di orientamento kemalista nutrivano rispetto al perseguimento degli interessi turchi all’estero. Il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan ed il suo gruppo ritengono che sia diritto della Turchia e suo compito storico assumere il ruolo di potenza regionale, nonostante le sfide connesse a tale politica. Riconoscendo i limiti intrinseci del trattare con Iraq, Siria ed Iran, Erdogan sta cercando di disegnare una politica estera più indipendente per la Turchia, confidando su alleati, poco fa improbabili, come i curdi, per raggiungere i suoi obiettivi.
Le opportunità del petrolio curdo
Nell’Iraq del nord la Turchia vede un battagliero Governo Regionale Curdo con risorse potenzialmente sufficienti ad aiutarla a raggiungere i suoi crescenti bisogni energetici. La Turchia, un paese di 73 milioni di abitanti, con un economia che sta al 17.mo posto nel mondo per valore del PIL, ha consumato nel 2012 circa 40 miliardi di metri cubi di gas naturale e 700.000 barili di petrolio al giorno, ed il consumo cresce costantemente in parallelo con la crescita economica del paese. Il Kurdistan iracheno ha riserve certificate per 4 miliardi di barili – un dato che crescerà se un ambiente adatto agli investimenti permetterà ulteriori esplorazioni – e l’attuale produzione dà al Kurdistan iracheno la potenzialità di spedire in Turchia circa 215.000 barili di petrolio al giorno. Cioè, se il Governo Regionale Curdo potrà trovare una via d’uscita dalla sua bagarre con Baghdad. Il governo curdo-iracheno si è rassegnato al fatto che non ci sarà una soluzione durevole alla sua disputa con Baghdad relativamente ai diritti energetici. Fintantoché Baghdad continuerà a contabilizzare e pompare il petrolio curdo e controllerà le finanze e tutti i ricavi iracheni da petrolio, i tentativi di Arbil di attrarre e pagare compagnie estere per sviluppare i suoi campi, incontreranno ostacoli senza fine. I curdi, presi tra Siria, Iraq, Iran e Turchia, non possono evitare di lavorare con i loro avversari regionali, e così a questo punto, trovano molto più urgente lavorare con una Turchia interessata che non con un’ostile Baghdad. Il punto di vista turco sta nel costruire un legame con i curdi iracheni basato sulla dipendenza economica per il quale il flusso di esportazioni energetiche curde dipenderanno dalla buona volontà turca e non da quella di Baghdad. In teoria questa relazione potrebbe garantire alla Turchia una leva politica per evitare che i militanti curdi in Turchia possano usare l’Iraq del nord come rifugio – un fattore critico per il corrente e delicato processo di pace fra la Turchia ed il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
Un tentativo rischioso
E’ una visione che richiede molta astuzia senza contare un’appropriata comprensione delle intenzioni e delle possibilità degli oppositori della Turchia in Siria, Iraq ed Iran. La Turchia ed il Governo Regionale Curdo hanno evitato accuratamente qualsiasi scontro con Baghdad mentre hanno creato confusione sui progetti nel nord iracheno. Questo tentativo iniziò nel 2012 quando le autorità curdo-irachene in lite con Baghdad cominciarono a trasportare in Turchia via terra piccole quantità di petrolio in cambio di prodotti raffinati, come benzina, per i consumi locali. Le cose sono andate avanti all’inizio del 2013 quando il crudo trasportato in Turchia dal Kurdistan iracheno è stato venduto sul mercato globale senza il consenso di Baghdad. Al momento i camionisti turchi trasportano tra 30.000 e 40.000 barili al giorno dal nord iracheno in Turchia, incluso il petrolio estratto nel campo Taq Taq. Contemporaneamente l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan controllato da Baghdad ha lavorato a circa un quinto della sua capacità, pari a 1,6 milioni di barili al giorno, a causa dei frequenti attacchi dinamitardi, scarsa manutenzione ed un generale basso livello di estrazione.
Il trasporto via terra irrita Baghdad, ma gli alti costi di trasporto in mezzo alle montagne limita di fatto la profittabilità ed il volume dell’operazione. Se il Governo Regionale Curdo vuole un collegamento affidabile per le esportazioni nel mondo esterno, ha bisogno di oleodotti – preferibilmente uno che attraversi solo territori amministrati e protetti dai curdi-iracheni. La prossima fase delle ambizioni curdo-turche inizierà nel campo olio Taq Taq, dove la produzione è gestita da una joint-venture fra il consorzio anglo-turco Genel Energy e la cinese CPCC. La società curdo-irachena KAR Group ha costruito un oleodotto dal campo Taq Taq al complesso Khurmala Dome, che si connette all’oleodotto Kirkuk-Ceyhan controllato da Baghdad. Molte fonti sostengono che l’oleodotto Taq Taq-Khurmala è operativo, ma il petrolio continua ad essere trasportato via terra – l’opzione più costosa – il che fa sorgere dubbi sulle effettive condizioni dell’oleodotto. Da Khurmala il petrolio potrebbe avviarsi lungo il circuito dell’oleodotto Kirkuk-Ceyhan, con il consenso di Baghdad e con maggior rischio di attacchi di sabotaggio. L’alternativa sarebbe far viaggiare il petrolio lungo un nuovo oleodotto costruito da KAR Group che si diriga a nord-ovest attraverso territori amministrati dai curdi. Attorno a questo specifico progetto di oleodotto ci sono state molte, volute ambiguità. Il progetto iniziò come un gasdotto, apparentemente non controverso, che viaggiava da Khurmala per alimentare la centrale elettrica Sumel nella provincia di Dohuk. Il problema di questo gasdotto stava nel fatto che era progettato per una capacità di 11 milioni di metri cubi di gas al giorno, almeno quattro volte la capacità della centrale che doveva alimentare. Di colpo sono iniziate dichiarazioni che facevano trapelare che il misterioso gasdotto sarebbe stato trasformato in oleodotto, con pompe invece di compressori, sistemate lungo il percorso. Gli scavi, che erano stati fatti in direzione della centrale, sono stati ora reindirizzati a nord-ovest, correndo paralleli alla strada principale fra Dahuk e Zakho, a pochi kilometri dal confine turco. Al momento i tubi sono stati stesi ma non saldati. La domanda ora è quale sarà la connessione finale di questo oleodotto, prima che entri in territorio turco. Le autorità turche sostengono che l’oleodotto sboccherà a Fishkhabor, la stazione di misura e pompaggio, controllata da Baghdad, che riceve il petrolio sia dall’oleodotto Kirkuk-Ceyhan che dall’oleodotto da 100.000 barili/giorno che viene dal campo Tawke, di proprietà e gestito dalla norvegese DNO. Questo vorrebbe dire che Baghdad potrebbe avere teoricamente la possibilità di tagliare a piacere il flusso di petrolio di questo oleodotto tramite i suoi impianti amministrati a livello federale, apparentemente minando le intenzioni originali turco-curde. Le autorità curde, più audaci, sostengono che l’oleodotto eviterà del tutto Fishkhabor e che sarà costruita un’estensione dell’oleodotto direttamente in territorio turco. Ma questo sarebbe inaccettabile per Baghdad. Diversamente dalle mappe del Governo Regionale Curdo che illustrano questo progetto, il governo turco ha pubblicamente e cautamente preso le distanze da tali dichiarazioni, riconfermando invece che Baghdad coopera e che il petrolio transiterà da Fishkhabor. In effetti la Turchia ha detto che assicurerà il flusso ininterrotto di petrolio attraverso questa via gestendo direttamente i ricavi energetici curdi – o addirittura gli interi ricavi energetici iracheni – mediante un conto con impegno scritto, in modo da evitare che entrambe le parti possano escutere prodotto o pagamenti. Senza sorpresa, Bagdad ha rifiutato l’idea che la Turchia possa gestire i ricavi energetici iracheni. Dal punto di vista di Baghdad questo è un diritto sovrano fondamentale, certamente da non affidare ad un più grande e più potente avversario etnico e di setta del nord. Qui è dove, ancora una volta, la visione strategica e il dilemma della Turchia collidono.
I vincoli della Turchia
La Turchia semplicemente non ha gli strumenti diplomatici per convincere l’Iraq, gli Stati Uniti o le grandi compagnie interessate a questi progetti, che avere Ankara che gestisce i ricavi e gli investimenti infrastrutturali nel nord iracheno, risolverà alle fondamenta la disputa energetica fra Baghdad e Arbil. Più avanti va la Turchia in queste intenzioni con i curdi, maggiore resistenza troverà in Baghdad – e per estensione in Iran. I curdi lo capiscono e perciò contano sul fatto che Ankara andrà avanti e by-passerà Baghdad del tutto per pompare petrolio in Turchia. Il Governo Regionale Curdo sta anzi aumentando la pressione, approvando leggi che essenzialmente mandano un ultimatum a Baghdad per fare una stima entro 90 giorni e pagare l’ammontare dovuto al Kurdistan iracheno dal budget federale. Se Baghdad non rispondesse entro 30 giorni, la legge autorizza il Governo Regionale Curdo ad iniziare atti unilaterali per esportare il suo petrolio. I curdi iracheni non si aspettano certo una risposta favorevole da Baghdad ma stanno provando ad avere almeno le carte in ordine per rivendicare di avere il diritto legale di portare avanti i loro progetti con l’appoggio della Turchia. Ma la decisione di by-passare le infrastrutture controllate da Baghdad e ricevere i pagamenti del petrolio in modo indipendente dal governo centrale è di quelle dense di pericolo, ed è improbabile che la Turchia sia pronta a tale livello di scontro.
Prima di arrivare a Washington per colloqui con il Presidente USA, Barack Obama, Erdogan ne ha fatto un punto annunciando che ExxonMobil aveva firmato un accordo con la società statale turca TPIC per sviluppare petrolio e gas naturale nel Kurdistan iracheno da esportare in Turchia. Esponenti anonimi turchi hanno anche riferito a Iraqi Oil Report che sia Chevron che ExxonMobil avevano dimostrato interesse nel finanziare e costruire tali progetti. Il governo centrale iracheno ha finora fatto affidamento sulla minaccia di cancellare dai progetti di sviluppo nel sud, le compagnie straniere che avessero unilateralmente firmato accordi di esplorazione sviluppo energetico con il Governo Regionale Curdo. Erdogan stava provando senza dubbio di creare l’impressione che la Turchia ed il governo curdo-iracheno avessero l’appoggio delle grandi aziende americane per forzare Baghdad ad acconsentire ai suoi progetti nell’intento di mantenere gli interessi degli investitori stranieri nella produzione energetica del sud. Ma sia ExxonMobil (che ha una parte nella gestione di West Qurna-1, a sud) che Chevron sono rimasti in silenzio sulla questione. Probabilmente le aziende stanno guardando con interesse ai progetti energetici del Governo Regionale Curdo con la Turchia ma non pare probabile che facciano alcuna mossa concreta fino a che non possano essere assicurate che la Turchia sarà capace di garantire fisicamente questi progetti contro Baghdad e Teheran arrabbiate. La Turchia ha ancora un paio di migliaia di soldati nel nord dell’Iraq ma non necessariamente vorrebbe trovarsi in una situazione in cui si trovasse a combattere a fianco dei Peshmerga curdi contro forze federali irachene appoggiate dagli iraniani, creando una zona di conflitto ideale da sfruttare per i jihadisti.
Inoltre la Turchia sta ancor cercando di gestire un lento e scosso processo di pace con il PKK a casa sua e non può permettersi una crisi militare nel nord dell’Iraq che potrebbe far fallire tali sforzi. Il complicato processo di pace dipende pesantemente dalla cooperazione del governo curdo-iracheno, in particolare dal capo del Partito Democratico del Kurdistan, Massoud Barzani. Dopo decenni di uno scontato duopolio fra il partito di Barzani e l’Unione Patriottica del Kurdistan del Presidente Talabani, l’incapacitazione di Talabani e il sorgere di partiti terzi, solleva la domanda se la Turchia potrà mantenere alleanze abbastanza forti, in questo panorama politico del Kurdistan sempre più competitivo, per perseguire i suoi obiettivi energetici.
Erdogan potrebbe anche bleffare a questo punto. Sebbene la contrapposizione fra ricerca del profitto e interessi strategici non permetta sempre alle grandi aziende ed al governo americano di agire di concerto, Washington ha messo in chiaro che non ha interesse a vedere la Turchia provocare un conflitto fra curdi e Baghdad, mentre gli USA non hanno voglia di intervenire e mentre la guerra civile in Siria sta già provocando abbastanza problemi. Per questa ragione gli USA hanno invece insistito affinchè la Turchia persegua progetti di oleodotti che connettano la produzione del sud dell’Iraq con le linee di esportazione del nord come approccio complessivo nella trattativa con l’Iraq. Ma il tentativo degli USA di trattare l’Iraq come un’entità coesa potrebbe rivelarsi tanto irrealistica quanto l’attesa della Turchia di prevalere su Baghdad. Non ci sono mosse facili, e nessun giocatore, tanto meno la Turchia, ha in mano un’azione decisiva per assicurare al Kurdistan iracheno una via indipendente ed affidabile per vendere il suo petrolio contro il consenso di Baghdad.