Il debito pubblico è un pacco. Non abboccate
La Francia supererà la soglia del rapporto deficit/pil, stabilita dai trattati e dalle norme europee, per placare le proteste sociali che stanno mettendo a rischio il Presidente Macron e la cricca di potenti che lo sostiene.
Un bel dilemma per i chiacchieroni di casa nostra, economisti, giornalisti e politici mani di forbice che hanno costruito le loro carriere sul terrorismo psicologico dei conti pubblici da tenere sempre in ordine, crollasse l’universo. C’è lo chiede l’Europa è il mantra di questi farabutti senza idee e senza spina dorsale. Più arroganti che ignoranti, hanno messo da parte il buon senso per essere accettati nei circoli dominanti e godere di fama e privilegi, a scapito della nazione. Tutto il contrario dell’onestà intellettuale e del metodo scientifico che richiedono certe disamine.
Ma l’equilibrio non esiste in natura, figuriamoci nelle umane cose che sono sempre sociali e instabili. L’equilibrio è morte, stagnazione, desolazione, è la fine di tutto, infatti, questi cialtroni hanno reso l’Italia una morta gora che imputridisce giorno dopo giorno. Ora, lorsignori, di fronte all’infrazione delle regole da parte di un socio fondatore della baracca continentale accampano scuse inaudite. Dicono che Parigi non ha un debito elevato come il nostro, che il rapporto debito/pil fa pari al 100% mentre la Penisola veleggia verso l’abisso del 131%. Innanzitutto, sono stati proprio loro a non aver saputo arrestare questo andazzo, proponendo ricette economiche e scelte politiche inutili ed inefficaci, da più di un ventennio. Hanno aggravato la situazione e vorrebbero pure continuare a darci lezioni. In secondo luogo, andrebbero verificati determinati parametri che escludono dal calcolo fattori importanti come il risparmio privato, che forse in Italia è superiore a quello di qualsiasi altro partner occidentale. A proposito, dunque, gli spendaccioni sono gli altri ma a parere delle teste di cavolo liberali e liberal-democratiche finora gli italiani avrebbero vissuto oltre le loro disponibilità e possibilità.
Quest’ultima affermazione è l’emblema dell’asineria dell’economista liberale che non vede la storia e la società ma solo gli atomi sociali, in movimento disordinato sul mercato come i neuroni del suo cervello. Seguono a ruota altre castronerie come quella per cui il bilancio dello Stato va amministrato al pari di quello di una famiglia (peccato che le famiglie che contano davvero in Italia, quelle cariche di capitali, allo Stato hanno succhiato fino all’ultima goccia di sangue). Lasciamo dunque stare l’economia domestica alla quale dovrebbero veramente dedicarsi certi finti studiosi, soprattutto quelli provenienti dalla Bocconi (ma non solo) e passiamo ad analizzare il dato storico che ha inciso sulla struttura della nostra spesa e del nostro tessuto produttivo.
La nostra Penisola, all’indomani della seconda guerra mondiale, in quanto sconfitta, è finita nell’orbita egemonica statunitense. L’esistenza di un blocco contrapposto ad Est e la strategicità della posizione geografica di Roma, al limite dei due campi, ha determinato una riconfigurazione della nostra struttura sistemica politica ed economica, sia a livello statale che produttivo-industriale.
Non sono stati gli italiani a scialacquare ma gli Usa ad assicurare (ed imporre), nel campo di loro competenza, una massiccia spesa statale, soprattutto di Welfare, poiché perseguivano lo scopo di stabilizzare la propria sfera d’influenza in Europa, tanto più che c’era un nemico alle porte ed una delle porte più vicina al nemico era proprio la nostra Penisola. In cambio, di queste “sovvenzioni” (e protezioni) l’Italia era tenuta ad integrarsi nel campo americanocentrico, in posizione di dipendenza, evitando l’intrapresa di iniziative (politiche ed economiche) autonome. L’America avrebbe corrisposto la differenza sui mancati “introiti”. Il tornaconto statunitense, in ogni caso, valeva più dell‘ impresa, poiché l’Italia rappresentava per essa una “piattaforma di sicurezza” contro l’Urss dove installare basi, armi e personale. Inoltre, l’occupazione territoriale consentiva a Washington di bloccare lo sviluppo delle nostre imprese di punta (sia pubbliche che private, molte difatti sono state smantellate, spacchettate e neutralizzate) che avrebbero potuto fare concorrenza alle sue nei settori più avanzati. Quando qualcuno ci ha provato ha fatto una brutta fine.
Di che parliamo dunque? Quello del debito esagerato è un pacco che vorrebbero rifilarci i traditori dell’Italia, poiché, anche se effettivamente le spese di una nazione devono essere razionali ed indirizzate alla prosperità del Paese, esso viene strumentalmente usato dai nostri nemici esterni (l’Ue) e dalle quinte colonne interne (politici, giornalisti, economisti, ecc. ecc.) per allontanare la possibilità di una vera svolta italiana, all’imbocco di una nuova epoca storica multipolare.
Ps.
Sul debito pubblico avevano più senso le parole di Giorgio Gaber che quelle di qualsiasi altro economista dei nostri giorni:
“Mi fa male che a parità di industriali stramiliardari, un operaio tedesco guadagna 2.800.000 lire al mese, e uno italiano 1.400.000. Ma, l’altro 1.400.000 dov’è che va a finire? Allo Stato, che ne ha così bisogno. Mi fa male che tra imposte dirette e indirette un italiano medio paghi, giustamente per carità, un carico di tributi tale, che se nel Medioevo, le guardie del re l’avessero chiesto ai contadini, sarebbero state accolte a secchiate di merda. Mi fa male che l’Italia, cioè voi, cioè io, siamo riusciti ad avere, non si sa bene come, due milioni di miliardi di debito. Eh si sa, un vestitino oggi, un orologino domani, basta distrarsi un attimo… e si va sotto di due milioni di miliardi. Questo lo sappiamo tutti eh. Ce lo sentiamo ripetere continuamente. Sta cambiando la nostra vita per questo debito che abbiamo. Ma con chi ce l’abbiamo? A chi li dobbiamo questi soldi? Questo non si sa. Questo non ce lo vogliono dire. No, no perché se li dobbiamo a qualcuno che non conta… va bè, gli abbiamo tirato un pacco e finita lì. Ma se li dobbiamo a qualcuno che conta… due milioni di miliardi… prepariamoci a pagare in natura”.