IL DEPISTAGGIO DI GUZZANTI di G.P.

Siamo intervenuti con molti articoli sulle vicende italiane dei primi anni ’90 nella convinzione che in quella fase storica, immediatamente successiva alla disgregazione dell’Unione sovietica, si siano prodotti eventi del tutto particolari (ma non casuali) orientati a far progredire l’architettura di un nuovo ordine unipolare di cui era portatrice l’unica superpotenza rimasta sulla scena mondiale, gli Usa.
Il nostro di paese, terra di frontiera e segmento determinante dell’avamposto anticomunista ad Ovest, per quasi mezzo secolo, era inevitabilmente tra quelli che potevano subire gli effetti più nefasti di un eventuale “regime change” planetario. Difatti, così è successo con la dissoluzione del Patto di Varsavia e l’avvitamento su se stessa dell’URSS.
In uno dei suoi ultimi interventi (Uno stallo quasi ventennale) Gianfranco La Grassa ha individuato ed analizzato le tappe graduali che portarono ad un tale cambiamento radicale del panorama politico italiano ed internazionale, partendo proprio, per il caso interno, dalla svolta pro-occidentale del PCI berlingueriano e da quella liquidatoria della Bolognina (impensabile senza la prima, almeno nei termini in cui si è poi verificata), sostenuta e realizzata da uomini che diverranno grandi protagonisti in negativo della seconda Repubblica, vedi Occhetto e D’Alema.
A conferma di questa disamina vi è anche quanto indicato da Mauro Tozzato (Il tradimento dei comunisti) sui rapporti segreti della CIA, la quale andava viepiù ammorbidendosi, già a metà degli anni ’80, verso i comunisti. Questo avveniva tanto in ossequio a valutazioni tattiche particolari che tenevano conto dell’indebolimento e dell’obsolescenza della DC (ormai logora sotto il profilo della credibilità politica e quindi inadatta a traghettare l’Italia nel nascente quadro monopolare), che per ragioni di più vasto allentamento ideologico, occasionato dalla conclusione della Guerra Fredda. Fattore quest’ultimo che permetteva l’accreditamento, dopo decenni di ostracismo, dei piccìisti orfani di Mosca, al livello di interlocutori affidabili.
Non per niente il rapporto della Cia parla di una nuova generazione di dirigenti post-comunisti che rispetta le logiche pluralistiche e anticentralistiche indispensabili ad americanizzare, con accenti più profondi che in passato, il nuovo corso storico della nazione.
Dunque, Washington punta pienamente, nell’era che si va approssimando, sugli astri nascenti del “fu” partito comunista i quali, nel frattempo, si spogliano della vecchia casacca stalinista per vestire i panni dell’unicentrismo stellestrisce, schermato, nella sua ben più pregnante sostanza politica e militare, dal riferimento ad un sistema di valori apparentemente universali (globalizzazione, diritti umani, interdipendenza tra gli attori mondiali) teso a legittimare, dissimulandole, le micidiali ingerenze americane nei paesi nemici ed in quelli “satelliti” o subdominanti.
In questo arco di trasfigurazione storica vanno ricercati i presupposti oggettivi e gli agenti soggettivi che permettono il passaggio epocale dalla I alla II Repubblica, con grave nocumento per l’indipendenza nazionale. La Grassa riassume così detto snodo cruciale che richiederà l’intruppamento, da parte americana, non solo delle seconde file della partitocrazia di sinistra ma anche (e soprattutto) dei sempiterni poteri banco-industriali di casa nostra:“…americani e Confindustria italiana fellona (accodata ai primi) scelsero il ricambio di rappresentanti politici in Italia. Ci fu “mani pulite” e il processo di attacco e disgregazione del regime Dc-Psi, fatto che sembrò, c.v.d., non sorprendere Andreotti (e altri Dc) e invece molto Craxi. Sapendo meglio oggi di certa politica mediorientale dei governi democristo-socialisti, l’interesse degli Usa al cambio di “personale di servizio”, una volta venuta meno la funzione italiana di bastione contro il sedicente mondo comunista, risulta evidente. La loro “felice” scelta si vide soprattutto nel 1999, durante la guerra contro la Jugoslavia (con il Governo D’Alema), ma è sempre stata abbastanza chiara in ogni momento di questi ultimi quasi vent’anni”.
Il riassetto geopolitico voluto dagli Usa sagomerà gli stessi equilibri interni di ogni comunità rientrante nella sua orbita egemonica provocando terremoti politici inusitati, a partire da quei contesti statali (come quello italiano) dove vi era irriducibilità d’intenti, discrepanza di visioni e discordanza di aspirazioni tra classi governative consolidate e amministrazione americana.
Ogni singolo accadimento di questo periodo (dalle bombe mafiose all’accanimento giudiziario contro democristiani e socialisti, dalla svendita del patrimonio pubblico alle cessione di fette sempre più estese di governance finanziaria e politica, trasferite senza resistenze agli organismi europei e internazionali) è stato scientemente provocato per depotenziare il nostro Stato e inserirlo, in posizione accessoria e sussidiaria, nella grande macchina imperiale messa a punto dagli Usa per estendere la propria supremazia.
Adesso un “genio guastatore” da sempre al servizio della CIA e degli ambasciatori americani ci viene a raccontare che è stato il KGB ad organizzare il golpe degli anni ’90. Secondo Guzzanti, infatti, le stragi che colpirono Falcone e Borsellino – contro evidenze storiche più o meno emerse nel tempo e contro le affermazioni di alcuni protagonisti di vertice di quella stagione (vedi Cossiga, Andreotti, Pomicino, Formica, ecc. ecc. i quali hanno, contrariamente a quanto sostenuto da questo “prosseneta” ammaestrato, parlato del coinvolgimento di una manina d’oltreoceano nella precipitazione dei loro destini personali e di quelli dei partiti ai quali appartenevano) – ebbero una matrice “non occidentale”. Come credere a questo depistaggio? Davvero non si può cadere nella trappola se solo si rammenta il caos in cui l’Est era già piombato in quella congiuntura. Il KGB era alle prese con lo scollamento dello Stato Sovietico, gli apparati pubblici erano in via di collasso, l’agitazione sociale alle stelle, l’esercito frastornato, figurarsi, quindi, se i servizi segreti russi potessero essere in grado di intromettersi nelle faccende italiane. Certo, i corpi speciali di che trattasi, ben organizzati ed efficienti, sopravvissero allo sbaraccamento dell’alta organizzazione burocratica sovietica ma non erano più nella condizione di lanciarsi in operazioni internazionali di siffatta portata e, per di più, in un territorio da sempre sotto sorveglianza del FBI e della CIA.
Si può ipotizzare anche che alcuni agenti del KGB, ormai disorientati, si fossero messi al servizio dei vecchi nemici di sempre, ma non si può minimamente autorizzare una interpretazione così bislacca come quella di Guzzanti, il quale vuole solo gettare fumo negli occhi di un Paese che balla anche oggi sull'orlo del baratro istituzionale.
Su una cosa il giornalista romano ha però ragione: le bombe di Capaci e di Palermo s’inserirono in un clima di guerra e furono piazzate con tecniche di guerra del tutto ignote alla mafia siciliana. Tuttavia, Cosa Nostra mise a disposizione di occulti manovratori, più potenti di essa, i suoi picciotti facendo riuscire perfettamente le infami operazioni di cui stiamo discutendo, come hanno dimostrato anche le indagini e le sentenze successive della magistratura. Adesso, mi dica pure
il sig. Guzzanti quale Nazione è stata aiutata
in passato dalle onorate famiglie sicule  per il perseguimento dei propri interessi sul nostro suolo? Non mi risponda la Russia perché altrimenti si prende un bel vaff****lo!