IL DIAVOLO AL PONTELUNGO di G.P.

Questa storia è narrata in un romanzo ma è anche legata ad eventi realmente accaduti. E’ la vicenda di un falanstero comunista, anzi comunitario per la precisione, come ci tenevano a sostenere i suoi edificatori libertari. Era stato l’anarchico Carlo Cafiero ad acquistare la proprietà detta “La Baronata”, situata a Minusio in Svizzera, e a donarla al suo maestro Bakunin il quale, avendo lavorato tutta la vita per la costruzione di una società migliore, era rimasto povero in canna.
Come ben si sa costruire sogni non è attività redditizia, per questo il sobillatore russo versava in una situazione di grave disagio economico, con gravi sofferenze per se e per tutta la sua famiglia. Lo scopo di Cafiero era tanto quello di sottrarre Bakunin alle sue miserie che di permettere allo stesso, ormai vecchio e scoraggiato, di tornare a capo degli anarchici. Si decise pertanto di riunire in quel luogo isolato, costato molti soldi pur non valendoli per niente, i migliori spiriti rivoluzionari dell’epoca e di prepararli agli imminenti moti sociali che certamente sarebbero dilagati, di lì a breve, in Italia ed in tutta Europa. Nel quartier generale dell’Anarchia, tra un bicchier di vino e l’altro, si discuteva di sommosse e di strategie per rovesciare le dittature e si sperimentavano, al contempo, forme di collaborazione, di convivenza e di vita associata che rappresentavano, in nuce, tutto ciò che la società del domani, senza leggi e senza padroni, avrebbe offerto.
Presto sarebbero arrivati molti ospiti alla Baronata, uomini valorosi e ribelli coraggiosi pronti a sacrificare tutto per il bene dell’umanità e per l’ideale. Ma in attesa della decantazione degli eventi e di quella scintilla sociale che avrebbe dovuto infiammare il Continente, i convenuti si dedicavano alla socializzazione e all’esercizio della fratellanza tra tavole imbandite e calici ricolmi. Intorno ai manicaretti, con la pancia piena e la testa stordita dall’alcool, si approntavano piani e strategie per i tempi futuri.
C’era, per esempio, Marotteau il comunardo che “aveva in testa lo statuto perfetto di uno Stato Universale, che correggeva, integrava, temperava insieme Tomaso Campanella e Saint-Simon, Platone e Fourier, Gracco Babeuf e Augusto Comte, Proudhon e Moro. Tutto vi era regolato e tutto previsto. Era diviso in capitoli, sottocapitoli, articoli, commi e paragrafi minuziosissimi…Inoltre per ogni articolo aveva escogitato le obbiezioni possibili sotto qualunque punto di vista logico, e le aveva tutte risolte e confutate una per una. Perciò, secondo lui, era cosa già fatta, e si trattava solo d'applicarlo. Disprezzava, ignorava gli ignari del suo statuto, li compativa; ma per quelli che si fossero attentati a proporre di modificarlo, fuoco, corda e mannaia! Politica, economia, arte, morale, religione, virtù e delitti, premi e pene, tutto vi era sistemato fino alla virgola, e ghigliottina ai non conformi!”. Poi vi erano individui d’azione come il viveur Salzana, lo stratega un po’ intrigante O25 (costui si era dato un nome in codice perché ricercato dalle polizie di mezza Europa), l’operaio delle Trade Union Willcox ecc. ecc. E c’erano anche le “pasionarie” come Anna Kulisciov e Olimpia Kutuzof (moglie di Cafiero). Ma la fratellanza e la solidarietà, in questa piccola comunità di liberi pensatori e agitatori rivoluzionari, durerà poco a causa degli sperperi di denaro, degli investimenti eccessivi e improduttivi e dell’assottigliamento dei beni di Cafiero, il quale pagava i pranzi e le bevute di tutti. Carlo Cafiero, figlio di proprietari agrari di Barletta, si era quasi giocato gran parte del patrimonio in quell’esperienza ed ora, con suo immenso rammarico, era costretto a nascondere al suo mentore Bakunin l’effettivo ammontare dei suoi averi per paura che costui dilapidasse anche il resto. La moglie del pugliese, d’altro canto, pur essendo fedele alla causa, si preoccupava dell’avvenire proprio e di quello di suo marito e non poteva sopportare che egli buttasse via il denaro senza essere riconosciuto come il vero capo della rivoluzione. Piccole invidie e rancori s’insinueranno nel falanstero comunitario che cominciava a riprodurre in germe, non i crismi una società più giusta, ma gli stessi vizi e difetti di quella borghese. Il lassismo e il moralismo dilagavano tra fondatori e i semplici avventori della tenuta ed il primo a fare le spese di questo perbenismo di ritorno sarà il tombeur Salzana, pizzicato tra le siepi a copulare con la cognata del custode. Una vergogna! Uno schifo! Anche per chi aveva da sempre predicato il libero amore esisteva evidentemente un limite di pudicizia da non oltrepassare. Salzana allora non poté fare a meno che urlare in faccia agli uomini e alle donne del "mondo nuovo" quello che pensava di loro: “Avete fatto le maniere dei calotins, dei Gesuiti. Inghiottite noie, umor nero e stizza tutto il santo giorno: che meraviglia se poi parlando sputate sospetto, invidia, maldicenza, calunnia? Ho passata la vita tra i preti, e sempre me li ritrovo fra i piedi: preti neri,bianchi, verdi rossi; preti in sottana e in pantaloni!”
Era l’inizio della fine, il beneamato falanstero comunitario non manteneva le  promesse degli albori, facendo precipitare uomini e aspirazioni in un baratro di risentimenti reciproci, ripicche, maldicenze e pettegolezzi vari.  In conclusione della storia, i nostri barricadieri si ritrovano gli uni contro gli altri e ciascuno a macchinare per prendere il comando della situazione, in nome della libertè e dell'egalitè. Mentre la fraternitè si era ovviamente esaurita.
 
Mi fermo qui consigliando a tutti la lettura di questo meraviglioso e divertente testo: “Il Diavolo al pontelungo” di Riccardo Bacchelli del 1927.
In tempi in cui tornano in auge gli utopismi comunitari, il romanzo di Bacchelli è un ottimo vaccino contro le illusioni e le scemenze.