Il dissolvimento della scuola pubblica italiana

da

Berlinguer a Gelmini  di Angelo Cani

 

Anche questo governo, in ottemperanza al mandato del Fmi e Bm sull’abbassamento della spesa pubblica, fa ridimensionare classi, organici, numero di istituti e aumenta il rapporto alunni/classi. Si prevede, nei prossimi anni, un taglio di circa duecentomila lavoratori della scuola.

Tutto ciò parte da lontano. Ci sono documenti risalenti agli anni 80 dove si delinea l’impostazione nuova del rapporto tra scuola e impresa.

 Fino a quegli anni l’impresa ha mostrato un costante disinteresse per il sistema scolastico statale, gestendo in proprio, per anni, la formazione professionale della propria manodopera, ma negli ultimi vent’anni ha cambiato radicalmente idea.

Le ragioni sono di natura economica: scaricare sullo Stato le spese della formazione della forza-lavoro  e di natura culturale: corresponsabilizzare i lavoratori convincendoli ad accettare passivamente il peso della crisi strutturale del capitale (accettare il lavoro precario, diminuzione di salario e qualsiasi altra forma di flessibilità ).  In un documento di quegli anni la Confindustria affermava: “L’importanza del sistema scolastico è capitale, in quanto il cervello è la materia prima di tutto lo sviluppo e l’evoluzione della scuola è presupposto e conseguenza della industrializzazione e della generalizzazione del modello di vita urbano industriale. La scuola e l’impresa sono le strutture forti dei sistemi democratici. Vanno parallelamente infatti virtù civile e creatività industriale…. Attualmente il sistema produttivo richiede mobilità, interscambio di ruoli e mansioni, mutamento. E’ necessario dunque far crescere una grande disponibilità psicologica individuale a vivere attivamente il mutamento”.

Il rapporto scuola lavoro, come sostengono questi signori, trasforma radicalmente la funzione sociale della scuola, dello studio, del pensiero astratto che da più di un secolo ha avuto una funzione emancipatrice, anche di chi non apparteneva alla classe dominante, e si riduce a rimodellare e piegare radicalmente tutto il sistema scolastico alle esigenze del mercato del lavoro.

E’ proprio negli anni 90 la distruzione della scuola pubblica divenne l’imperativo categorico.

Il compito venne assolto, egregiamente, dal governo di centro sinistra

Con l’introduzione della cosiddetta autonomia scolastica, legge Bassanini sul decentramento amministrativo del 15 marzo 1997 articolo 21, questa legge è stata la leva decisiva della disarticolazione della dimensione pubblica ed unitaria dell’educazione del cittadino e ha segnato la fine dell’idea della trasmissione di saperi e valori di civiltà da una generazione

all’altra come compito nazionale. Ha, inoltre, significato la privatizzazione sostanziale, anche se non formale, né dichiarata, della scuola pubblica italiana.

 Bassanini, padre della legge che porta il suo nome, era in quel periodo ministro del governo Prodi (centrosinistra), ora è al servizio del governo Sarkozy a dimostrazione dell’intercambiabilità di questi personaggi.

 La gestione Berlinguer – De Mauro ha cambiato radicalmente anche il linguaggio: flessibilità, concorrenza, dirigente scolastico, termini tipicamente  aziendali, osteggiati dai più in quel periodo, sono entrati oggi nel linguaggio ordinario.

Moratti ministro del governo di centro destra, in continuità con i precedenti,  ha portato avanti la distruzione del sistema nazionale della pubblica istruzione, regionalizzando la scuola e dando sempre più spazio e denaro alle scuole private, aggirando l’articolo 33 della Costituzione che nega i finanziamenti, da parte dello Stato, alle scuole private.

Il secondo governo Prodi e il ministro Fioroni in continuità con Berlinguer- Moratti ha portato avanti la politica dei tagli.

Poi è arrivata la Gelmini senza perder tempo con due manovre lampo: il Decreto Legge N. 133/2008 – art. 64  del 25 giugno e il Decreto legge N. 137 del 1 settembre ha reintrodotto il maestro unico, il voto in condotta, la riduzione dell’orario, l’aumento del rapporto alunni/docente, ciò permetterà di formare classi anche di 35 alunni, con tagli devastanti di posti di lavoro.

L’obiettivo finale che si vuole far passare è un’idea mercantilistica della scuola. Un modello di scuola asservita alla produzione che dovrà preparare i giovani alla flessibilità e alla competizione secondo le necessità del mercato.

La centralità della formazione quindi, consiste nella creazione di un modello di servizio formalmente privatizzato, in grado di formare generazioni di coscienze assuefatte e normalizzate all’assenza programmatica del conflitto sociale.

Da queste poche considerazioni possiamo capire che la riforma Gelmini distruggerà l’essenza stessa della scuola.