Il secondo governo neo-sabaudo-badogliano – detto anche governo Letta – come evidenziato in numerosi interventi sul blog, pubblicati sia prima che dopo la sua nascita, non ha solo il compito di provare a garantire le condizioni per un cambiamento della struttura politica della Repubblica italiana. Anche la struttura economico-finanziaria deve trovare un suo aggiustamento, coerente con la prima, e che porti in modo evidente il segno della piena subordinazione della penisola ai dominanti USA, eventualmente anche mediante il tramite di fidati sub-dominanti europei. A questo fine il ventennio passato aveva visto solo l’inizio del lavoro, resistendo alcune “sacche” in cui il potere di disposizione degli apparati economico-finanziario non era stabilmente attribuito oppure era attribuito a mani non del tutto allineate e affidabili. La crisi finanziaria del 2008 ha permesso di focalizzare l’azione di “risanamento” su banche ed assicurazioni italiane e quindi sui centri motori: Generali, Unicredit, Mediobanca. Sia i centri regolatori (Consob, Isvap, Banca d’Italia ecc.) che i centri mediatici specializzati e generalisti, italiani ed esteri, hanno battezzato questa operazione come la fine del capitalismo italiano di relazione, la necessità di eliminare gli incroci azionari (operazioni correlate) , e di conseguenza la fine della figura del banchiere di sistema. Il dimissionamento dal vertice di Generali di Cesare Geronzi, con il codicillo della pubblicazione nel 2012 del suo libro-intervista a Massimo Mucchetti (oggi senatore del PD) – inteso a dare consapevole ed ubbidiente lettura dei fatti – ne è stato solo il segno più evidente. Fra gli obiettivi concreti, ancorché meno immediati da ottenere, di questa operazione in pieno svolgimento, vi è l’eliminazione della centralità di Mediobanca dall’azionariato della galassia bancaria, assicurativa, industriale che ancora conta qualcosa nella penisola. Senza trascurare i mezzi di comunicazione di massa. Mentre i nuovi ad di Generali (Mario Greco) e Unicredit (Federico Ghizzoni) hanno già assunto all’interno dei loro rispettivi CdA un posizionamento del tutto autonomo da Alberto Nagel – rappresentante ultimo di Mediobanca, loro azionista – più difficile è apparso da subito il compito di Pietro Scott Jovane, neo amministratore delegato della RCS, nominato a forza dal duo Mediobanca-FIAT (30% circa dell’azionariato) con qualche mugugno degli altri azionisti del patto di sindacato, a partire dal solito Mr. Tod’s (Diego Della Valle) che è uscito clamorosamente dal patto. Quest’ultimo si è dato il ruolo di rottamatore ufficiale degli “arzilli vecchietti” del sistema bancario italiano, che sono oggi sostanzialmente rimasti in due: Giovanni Bazoli, Presidente rinnovato di Banca Intesa e Giuseppe Guzzetti, finora padrone incontrastato della CARIPLO e delle Fondazioni.
La recente approvazione in CdA dell’aumento di capitale della RCS non va certo ascritta come un successo di Scott Jovane, non solo perché gli azionisti industriali hanno chiesto ed ottenuto che i loro soldi non andassero dritti-dritti alle banche – come previsto all’inizio nel piano industriale presentato dall’ad – ma soprattutto perché i 400 milioni di euro sono appena sufficienti a guadagnare tempo e non portare i libri in tribunale: la ristrutturazione aziendale deve ancora partire e gli azionisti, pur firmando una tregua, hanno disegni molto diversi. La sensazione generale è che il patto di sindacato in RCS non arriverà alla sua fine naturale, che nuovi azionisti entreranno in RCS, con il ridimensionamento del ruolo di Mediobanca ma anche di Banca Intesa e Unicredit. Il maggiore sacrificio chiesto alle banche per ottenere il via libera all’aumento di capitale, ha visto Bazoli nel ruolo di mediatore con gli “industriali” Rotelli e Della Valle, segno di una qualche debolezza più che di forza. Chi sembra avere le idee abbastanza chiare è invece FIAT.
Data per fredda nei confronti dei destini della penisola, disinteressata ai giochi dei palazzi romani, quasi subalterna alla vivace determinazione del suo uomo di punta, Marchionne, la famiglia Agnelli, rappresentata dal giovane John Elkann, ha invece fatto capire di non essere assolutamente interessata a cedere la sua presa su RCS e quindi tanto meno a rinunciare a giocare un ruolo “nazionale”. Il messaggio è arrivato indirettamente, ma neanche tanto: John Elkann in rappresentanza di EXOR, la finanziaria di famiglia, è stato chiamato nel CdA di News Corp di Rupert Murdoch, dopo che da tempo si vociferava di una alleanza strategica fra i due gruppi per mettere le mani sul ricco circo della Formula 1. Inoltre la cassa della finanziaria degli Agnelli è stata rinforzata dalla vendita della sua storica partecipazione nella svizzera SGS. Se questo preluda ad un ingresso di Murdoch nella RCS non sappiamo, ma non è escluso, ancorché alcuni guardino invece all’interesse dell’editoria tedesca degli Springer. Sullo sfondo rimane poi la possibilità della fusione fra RCS e Stampa.
E’ un dato di fatto che il munizionamento preparato dalla famiglia Agnelli, sempre meno piemontese e sempre più globale, è di sicura consistenza ed efficacia nel caso ci sia da scalare RCS. A questo aggiungiamo la constatazione del progressivo successo della vicenda FIAT-Chrysler che potrebbe chiudersi entro l’anno con l’intestazione definitiva del 100% della casa automobilistica americana e la quotazione al NYSE del nuovo conglomerato. In questa eventualità – assolutamente possibile e probabile, considerato l’interesse diretto dimostrato dall’amministrazione obamiana finora in questa vicenda – tutti sappiamo quanto verrà fatto pesare sul piano mediatico la narrazione di un’azienda che passa in pochi anni dalla prospettiva del fallimento al giocare un ruolo di primo piano fra i primi dieci grandi costruttori mondiali di auto. Con annessa italianità dei suoi protagonisti, grandi imprenditori visionari se solo si affidano alla salda e generosa guida dei “liberatori” di sempre. Il fatto che Murdoch sia australiano e non certo organico all’orbita obamiana, condisce di sale la pietanza in giusta dose. Per questo è importante per la famiglia mantenere salda la presa sul Corriere della Sera e a questo fine Mediobanca deve svolgere bene il suo residuo compitino di banca d’affari ed aiutare EXOR a trovare il partner giusto, dopo di che ritirarsi dalla scena. A quel punto si vedrà anche se rientrare in Confindustria ed eventualmente accordarsi con l’ex-demonio Landini, una volta pienamente normalizzato anche lui con opportune “rappresentanze sindacali”.
Il mestiere del “cotoniere”, si sa, è estenuante ed a volte comporta di apparire in patria duri ed insensibili, ma alla fine ripaga.