IL FALLIMENTO DELL’”ECONOMICA” COME SCIENZA “ESATTA” – (Seconda parte)

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Voglio precisare – riprendendo così il discorso iniziato nella prima parte di questo intervento – che il “fallimento” di cui parliamo non mette in questione il fatto che l’economia politica anche nella sua versione neoclassica più ortodossa abbia, comunque, sviluppato analisi teoriche e modelli esplicativi importanti. L’approfondimento microeconomico delle interazioni tra individui ha permesso di comprendere meglio l’articolazione dei rapporti tra la sfera del consumo, le funzioni dell’impresa e le condizioni d’equilibrio ( pur sempre ipotetiche) auspicabili per l’economia reale e quella monetaria. La costruzioni di modelli matematici ha reso possibile, inoltre, una positiva interazione con discipline come la demografia, la sociologia empirica e la statistica. Ed è su questa base che Keynes  ha potuto  introdurre le sue rivoluzionarie concezioni che hanno dato vita all’analisi macroeconomica e hanno reso possibile la nascita di una politica economica scientificamente fondata. Ciò nonostante, come ben sanno i lettori di questo blog, noi riteniamo che nella misura in cui le branche specialistiche della scienza storico-sociale tendono ad autonomizzarsi dal contesto generale esse perdano contemporaneamente buona parte della loro capacità esplicativa. Gramsci, con una espressione che rimandava palesemente a Hegel e Croce, parlava dell’ “identità” tra storia, filosofia e politica sia per quanto concerne l’aspetto più propriamente teorico che per quello “pratico”. Ma, concordando in questo con Lenin, egli pensava che per l’azione politica fosse necessaria anche, come fondamento, una teoria generale della società la quale, per entrambi, era quella costruita da Marx nella forma della critica dell’economia politica a partire dall’osservazione del capitalismo borghese nell’Inghilterra della sua epoca. Tutti e due – come ha più volte evidenziato La Grassa – pur professandosi sempre eredi e discepoli dei fondatori del comunismo critico, avevano compreso che quello che era accaduto, prima durante e dopo, la Rivoluzione d’Ottobre “smentiva” alcuni importanti assunti della teoria marx-engelsiana. Il tradeunionismo “spontaneo” delle masse operaie, il ruolo degli “specialisti borghesi”, lo “sviluppo ineguale”, la teoria dell’”anello debole”, l’indeterminatezza dei tempi delle “transizioni” nelle fasi storiche prima e dopo la “rivoluzione” sono tutti punti che erano stati compresi da Lenin e Gramsci ed anche assimilati “praticamente” dal secondo. La Grassa comunque, da diversi anni ormai, ha rivisitato ed evidenziato tutte queste questioni e per questo motivo devo ancora una volta far riferimento ai suoi scritti per chi voglia approfondire. Le teorie della società, quindi, per aiutarci in qualche modo a comprendere la realtà che ci circonda e permetterci di agire politicamente all’interno di essa devono essere rielaborate criticamente e testate in ogni occasione per permetterne la verifica e/o la falsificazione. E, beninteso, sarà sempre importante che  queste concezioni generali e “prese di posizione” vengano supportate da “cassette degli attrezzi” (come nel caso degli strumenti dell’analisi economica in Schumpeter) tanto più fornite e aggiornate che sia possibile. La tesi che la scienza economica sia – e non possa essere altro che – una scienza integralmente (storico) sociale sembra del tutto ovvia e lo è senz’altro per noi e probabilmente per quasi tutti coloro che ci leggono ma è probabile che agli occhi di molti  “addetti ai lavori” le cose non stiano proprio così. Le “grandi crisi”, al contrario di quello che dicono i media, sono crisi dell’intero corpo sociale e l’elemento dominante preminente in esse non è quello economico ma quello politico. Certi dibattiti non sono quindi generati, come sembrerebbe,  da una messa in discussioni di paradigmi dal carattere puramente “teorico” ma da problemi politicamente stringenti. La questione dello statuto epistemologico e delle particolari caratteristiche  dell’economica in quanto scienza positiva sembra per l’appunto inserirsi in questo contesto sempre che si ritengano  affidabili certe fonti. A tale proposito non mi rimane che riportare alcune citazioni abbastanza comprensibili e, credo, interessanti.

Il dott. Marco Bergamaschi all’inizio di un suo saggio accademico del dicembre 2006 scrive che la scuola neoclassica o marginalista , alla fondazione della quale hanno contribuito come principali esponenti Walras, Jevons, Menger, Pareto e Edgeworth, fu influenzata in maniera decisiva  dal positivismo imperante nell’ultimo trentennio del Secolo XIX. Successivamente egli specifica così il suo discorso:

<<Al fine di rendere sistematica e formale l’analisi dei fenomeni economici, tali Autori propugnano l’utilizzo di strumenti logico-matematici, l’applicazione del metodo deduttivo, il ricorso a leggi rigorose e universali desunte dal linguaggio meccanicistico della fisica e della chimica: l’economia può conseguentemente configurarsi quale “scienza esatta”. Scopo dunque dell’economia teoretica è l’acquisizione di una conoscenza certa e generale che oltrepassi l’immediata esperienza, al fine di (poter) prevedere e dominare la fenomenologia economica nella sua totalità. Oggetto di studio dell’economia pura divengono quindi i “fatti economici” dal punto di vista generale, cioè teoretico: fatti perciò detti “tipici”(1). Viceversa, la conoscenza scientifica del singolo fenomeno nel suo concreto divenire è esclusivo campo d’indagine delle scienze storiche e pratiche. L’economia teoretica, in quanto conoscenza scientifica generale, consente poi di stabilire tra i fenomeni relazioni tanto rigorose da non ammettere eccezioni. Tale impostazione conduce alla determinazione e alla formulazione di leggi “esatte” (come le leggi di natura)>>.

 

Fabrizio Pezzani, professore ordinario presso l’Università Bocconi di Milano, in un articolo del 27.01.2014 così, invece, si esprime:

<<Nei giorni scorsi si è svolto a Davos l’annuale incontro sui temi globali che da anni ha come primo punto l’economia e la finanza, il loro trend e le possibili aspettative di crescita [mentre ( A.d.r.)] il tema della disuguaglianza e del rischio di implosione delle società sembra perennemente rimanere […] “il convitato di pietra“ ed una sorta di “problema collaterale“ allo sviluppo dell’economia. Einstein diceva: “Le nuove idee nascono come eresie e muoiono come dogmi“ ed è quello che sta succedendo all’Economia assunta come verità incontrovertibile e come motore di sviluppo unico del benessere sociale. Ripensare al ruolo dell’economia come motore di sviluppo sociale significa però porre in discussione l’ipotesi che sta guidando gli studi e l’Accademia da ormai 30 anni: l’economia non è una scienza esatta e l’approccio razionale ai mercati finanziari è stata un’illusione fondata su un’ipotesi comoda, opportunistica ma infondata>>.

 

Per concludere riportiamo alcuni passi da una voce enciclopedica, datata 2012, che ho ripreso dal sito  www.treccani.it:

<<Per tutto il 20° sec. la scienza economica ha abbracciato il paradigma neoclassico legato all’idea che fosse possibile descrivere, prevedere e controllare le economie usando semplici modelli basati su tre elementi fondamentali: razionalità illimitata, egoismo ed equilibrio economico. Tale paradigma ha raggiunto il suo punto più alto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, quando si affermarono i modelli microfondati della ‘nuova macroeconomia classica’, basati sull’ipotesi di agenti omogenei (o di un singolo agente rappresentativo), perfettamente informati che formulano aspettative razionali. Questi modelli assumono l’esistenza di un equilibrio generale di tipo walrasiano e la loro soluzione riflette in generale la soluzione del problema microeconomico dell’agente rappresentativo, evitando così i problemi di aggregazione, posti già da John M. Keynes con il ben noto problema della fallacia della composizione (il tutto non è la somma delle sue parti). Negli ultimi anni, questa prospettiva teorica è stata messa in discussione dal verificarsi di un insieme di eventi e shock esterni (l’inattesa crisi borsistica del 1987, il collasso dell’Unione Sovietica e del suo impero, le successive fasi di crisi finanziaria ed economica succedutesi a partire dalla metà degli anni Novanta e culminate nella grande crisi del 2007-08), accompagnati da scoperte e innovazioni derivanti dall’applicazione all’analisi economica dei metodi empirici dell’economia sperimentale sviluppati da V. L. Smith, premio Nobel per l’economia nel 2002.>>

 

 

(1)C. MENGER, Il metodo nella scienza economica, traduzione di G. Bruguier, in Nuova Collana di Economisti, vol. IV, Economia Pura, a cura di Gustavo Del Vecchio, Torino, UTET, 1937.

 

Mauro Tozzato 15.01.2017