Il falso scontro di civiltà di G. Gabellini

 

In tempi non sospetti, a due anni dalla fine della cosiddetta "Guerra Fredda", la quale determinò il predominio unipolare degli Stati Uniti sul resto del mondo, il geopolitico americano Samuel Huntington pubblicò un articolo intitolato "Lo scontro di civiltà", a cui fece seguito, tre anni dopo, un saggio dall'omonimo titolo.
In questi due lavori, Huntington espresse le proprie radicali riserve sull'ottimismo febbrile sparso a piene mani dal politologo Francis Fukuyama, che proclamava festante la "Fine della storia" imposta, secondo costui, dall'ineluttabile e irreversibile processo di democratizzazione spontanea che sarebbe dilagato ovunque, fino ai più remoti angoli del pianeta. Il ritorno a un mondo multipolare era invece, secondo Huntington, una prospettiva assolutamente inevitabile. Si rendeva quindi indispensabile una messa a punto di nuove strategie, che attrezzassero l'Occidente degli strumenti adeguati alla protezione e alla consevazione della propria identità culturale. Nella sua opera, Huntington elenca otto "civiltà" differenti: cinese, giapponese, indù, islamica, ortodossa, latinoamericana, africana e occidentale. Ne screma sei e indica Cina e Islam quali principali minacce per la salvaguardia dell’identità occidentale. Questa impostazione presenta subito alcune evidenti forzature. In primo luogo egli affianca otto entità differenti e affibbia a tutte l'etichetta di "civiltà", prendendo in esame criteri di selezione per niente omogenei; nel caso dell'Islam tira in ballo la religione, nel caso dell'Occidente la geografia e via dicendo. In secondo luogo, da un lato smussa ogni differenza e divergenza tra Stati Uniti ed Europa, gettandoli in un unico calderone equiparante (malgrado si tratti di entità ben distinte tra loro, con fini e scopi spesso opposti e antitetici), dall'altro presenta la cultura islamica come un blocco monolitico unitario, laddove si tratta di una enorme costellazione di correnti e sette (non solo Sciite e Sunnite) spesso in aperto contrasto tra loro. Proseguendo nell'esposizione degli argomenti, Huntington pone l'accento sull'aspetto a suo dire essenzialmente religioso degli attuali conflitti. Scrivere che "Le frontiere dell'Islam grondano sangue" o addirittura che "Il problema per l'Occidente non è il fondamentalismo islamico. E' l'Islam"  rivela la prospettiva estremamente unilaterale adottata dall'autore nel valutare la complessità della situazione. Storicamente il pretesto religioso utilizzato per mobilitare gli eserciti (si pensi alle Crociate) e farli combattere conflitti interstatali è costantemente servito per mascherare interessi prettamente economici, territoriali e politici. Le guerre religiose si configurano quasi sempre come conflitti interni ai singoli stati, non certo tra nazioni. Questo rilevo di Huntington risulta tuttavia piuttosto interessante, in quanto rivela la predisposizione dell'autore a ritenere costante lo stato di belligeranza internazionale. Ciò lo porta a considerare l'imminente (a suo dire) "Scontro di Civiltà" come una naturale sostituzione della vecchia "Guerra Fredda". Nel grande gioco risoltosi con la capitolazione dell'Unione Sovietica, entrambi gli attori agivano però rispondendo ad esigenze imperiali e per niente religiose, ognuno nella propria aria di influenza, fedeli alla logica di Yalta. Una descrizione così apocalittica dell'attuale scenario geopolitico è però assai funzionale al perseguimento di finalità ben precise. Esaltando l'aspetto religioso ("La religione è la principale caratteristica identitaria delle civiltà, la differenza più profonda che esista tra i popoli", scrive costui) di uno scontro che si prefigura come imminente, Huntington sapeva bene di collocare la discussione sul medesimo terreno battuto dai cosiddetti "fondamentalismi". Creare uno stato di allerta nei confronti di una minaccia agitata ossessivamente come uno spauracchio conduce a innalzare ulteriormente il livello della diffidenza (di per sé già alto), che a sua volta determina il dilagare di una specie di psicosi generalizzata. A che scopo si fomenta un clima simile? La risposta a questa legittima domanda può essere facilmente dedotta da una breve frase pronunciata da Alexeij Arbatov (consigliere di Mikhail Gorbaciov), che alla fine del 1990 dichiarò agli statunitensi: "Vi infliggeremo il colpo più tremendo; vi priveremo del nemico". La genialità di Huntington sta proprio nell'individuazione di Cina ed Islam quali nuovi nemici credibili, fornendo conciò alle masse una chiave interpretativa estremamente semplicistica ma accattivante e accessibile a tutti (di massa, per l'appunto)del complesso contesto geopolitico. Le politiche interne ed estere adottate dalle ultime amministrazioni, che si sono trovate ad affrontare una situazione di rapida crescita da parte di diverse potenze regionali, hanno attinto a piene mani dal testo di Huntington. Quella guidata dai fanatici neoconservatori ha fatto un uso ossessivo della minaccia islamica, mediante la quale ha potuto acquistare il consenso popolare necessario per promuovere una sconsiderata politica di potenza, che ha fatto della forza bruta il nuovo "Nomos della Terra", da imporre tramite bombardamenti preventivi e/o umanitari in ogni angolo del pianeta. L'amministrazione Obama ha invece messo (provvisoriamente) da parte l'interventismo militare diretto (malgrado in un anni di presidenza abbia fatto ricorso ai droni più di Bush negli otto anni precedenti), in favore di una politica più morbida e diplomatica, differente nel metodo ma assolutamente identica nel merito rispetto a quella guidata da Bush ma sicuramente più adatta a fronteggiare i dissidi che nascono all’interno di un mondo multipolare. L'elezione di Obama, contrariamente agli squittii isterici dei numerosi "utili idioti" che lo dipinsero come l'"uomo del cambiamento", si configura così come un semplice arretramento tattico che non va ad alterare nulla di sostanziale. Il nemico è sempre alle porte, che si chiami Islam o Cina, Venezuela o Russia. Dopo i comunisti, presi di mira dal senatore McCarthy negli anni cinquanta, è ora la volta di queste "civiltà", nuove vittime designate del moderno delirio interpretativo
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