IL FREUD DEL SEGRETARIO DI STATO VATICANO, CARDINALE PAROLIN (di O.M. Schena)

papa

Prima le carte in tavola

Chi scrive non è un freudiano e non ha titoli accademici, né una preparazione tale da poter impartire su Freud e la teoria freudiana una “lectio” neppure brevis, né nei palazzi blasonati, né negli scantinati proletari, né del lumpënproletari̯àt. Ciò non di meno, peccando gravemente e consapevolmente d’orgoglio, chi scrive pensa comunque che Freud e la sua teoria vadano mandati assolti da ogni accusa d’aver in qualsivoglia modo “auspicato, atteso e vezzeggiato” l’esplosione del primo conflitto mondiale; prosciolti entrambi, dunque, con sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. E questo proscioglimento di Freud dalle gravi accuse <<(…) di chiunque siano quelle parole, in conferma e in esaltazione dell’errore, quell’affermar così sicuro, sul fondamento d’un credere così spensierato (…)>>. Così scrive Manzoni in premessa al suo “Storia della colonna infame” (Feltrinelli p. 10). Manzoni era credente e Freud no, ma la vittoria dell’errore contro la verità è sempre orrenda, e non può far altro che dispiacere come dispiacque al Manzoni.

 

 

La verità, i pastori e il gregge

 

C’era qualche volta una RAI TV pubblica, una RAI TV pubblica un po’ a singhiozzo, o meglio “pubblica” una volta ogni morte di papa. Che poi “pubblica” non significa “proprietà di tutti”, perché spesso quel “pubblica” è soltanto una finzione giuridica, è solo un guscio rigonfio di tanti interessi privati, di varie lobby, di bande quasi sempre in guerra fra di loro.

 

<<Il 12 settembre alle 13.15 su RAI3 prende il via la 4^ stagione de Il Tempo e la Storia. Il programma quotidiano di divulgazione storica quest’anno propone molte novità, prima tra tutte la conduzione affidata ad un nuovo volto femminile, la giovane storica Michela Ponzani formatasi con un dottorato di ricerca e autrice di libri sulla seconda guerra mondiale con una chiave interpretativa molto originale.

(…) Un impianto scenico interattivo, una conduzione fresca e incisiva, un utilizzo più dinamico dei contenuti multimediali in un percorso di 170 puntate realizzate con la consulenza del comitato degli storici.

Il programma continuerà a rispondere alla domanda del pubblico coniugando le nuove ricerche e i nuovi linguaggi con il rigore scientifico di storici affermati, in un dialogo costante.>>

(“http://www.raistoria.rai.it/tempo-storia/default.aspx”)

 

 

È il mese di novembre 2016 e va in onda su RAI 3 HD cultura – IL TEMPO E LA STORIA un servizio su “Benedetto XV e l’inutile strage”. Stando ai propositi dei responsabili del programma, che assicurano il “rigore scientifico di storici affermati”, e ferma restando la possibilità che anche un comitato di storici possa distrarsi o cedere ad un colpo di sonno, gli spettatori avrebbero dovuto e dovrebbero sentirsi in una botte di ferro, ovvero, in una “botte di verità di ferro”. Si spera non si tratti d’una “verità” secondo l’etimo latino “veritas”, cioè d’una verità di fatto, in cui credere, in cui avere fede, magari soltanto perché “l’ha detto Tizio”, e Tizio è, o è stato, un’autorità indiscussa. Ovverossia secondo quel procedimento illustrato da Schopenhauer (Stratagemma 30) attraverso il quale un’opinione di due o tre persone finisce col diventare un’opinione generale, universalmente valida. Le persone di Schopenhauer, vanno come le pecorelle di Dante, “a una, a due, a tre … e ciò che fa la prima, e l’altre fanno”(Purgatorio Canto III), e sono come gli scrittori di Manzoni  “l’uno dietro all’altro, senza pensare a informarsi”(Storia della Colonna Infame – p.10) d’un fatto del quale si mettono a parlare anziché mettersi a sedere e a studiare. Le pecorelle possono essere perdonate, ma i pastori?

Si spera, dunque, che, per il programma IL TEMPO E LA STORIA, anziché d’una “verità” secondo l’etimo latino “veritas”, possa trattarsi d’una “verità” secondo l’etimo greco di “aletheia”, cioè d’una verità come movimento, come esperienza che diventa vera nel giudizio, nel ragionamento, che presuppone il duro lavoro del disnascondimento e della ricerca.

http://h5.rai.it/raiplay/video/2016/11/Il-tempo-e-la-Storia-Benedetto-XV-e-l-inutile-strage-c99c3ef8-dbc5-4487-a795-21b65c56cd41.html

 

Ed ecco la trascrizione puntuale dell’introduzione letta dal Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin nella puntata su Benedetto XV:

 

<<La grande guerra era stata auspicata, attesa, perfino vezzeggiata da un’intera cultura che con la sola teoria di Sigmund Freud mescolava vitalismo e violenza nell’ingenua ed aberrante attesa d’un lavacro sanguinoso che sarebbe stato invece la catastrofe politica, civile e morale dell’intera Europa”. Papa della guerra e nella guerra spesso la sua figura ha rischiato di venire quasi compressa e quasi trasformata in una semplice premessa a quella frase memorabile, lapidaria al pari di un giudizio profetico della prima guerra mondiale come “inutile strage”, riducendo la sua azione ad un puro contorno a quell’atto>>.

 

Quale potrà mai essere stata la serie causale dei 00:52 minuti (sui  23:26 minuti dell’intero servizio) delle terribili accuse lette dal cardinale Pietro Parolin e rovesciate sulle spalle di Sigmund Freud? In verità si vedono più fogli tra le mani del cardinale, ma ci sarà scritto qualcos’altro? Tre aggettivi, dunque, <<auspicata, attesa, vezzeggiata>>, tre terribili rabbuffi per marchiare col fuoco della più grave infamia un’intera cultura + Freud, tutti quanti assetati di sangue. Un’intera cultura, forse non tanto ingenua, a volerci vedere chiaro, che, così almeno par di capire, con la sola teoria freudiana (ingrediente teorico principale quindi!) mescolava vitalismo e violenza nella smaniosa attesa del bagno di sangue. Si sarebbe mai permessa, Sua eminenza, di scandire invece “(…) un’intera cultura che con la sola teoria del Cristo Figlio di Dio mescolava vitalismo e violenza …”? E poi perché non tirar fuori qualche altro nome oltre quello del povero Freud?

Ad esempio, tra i fanatici della campagna interventista, si potrebbero tirar fuori in Italia, accanto a Filippo Tommaso Marinetti e ai futuristi, i nomi di Giovanni Papini, con le sue urla belluine sulla rivista <<Lacerba>> a favore del “caldo bagno di sangue malthusiano”, e di Agostino Gemelli. Quest’ultimo, psicologo e biologo antisemita, si converte al cattolicesimo. Da positivista figlio di mangiapreti si fa teorico delle apparizioni e dei miracoli di Lourdes. Si fa frate minore e fonda nel 1921 l’Università cattolica del Sacro Cuore. Su “Vita e pensiero” frate Agostino Gemelli così scrive nel 1915:

 

<<(…) è naturale che noi come cristiani, abbiamo più di ogni altro uomo il dovere della disciplina militare in nome della nostra religione (“La psicologia della vita militare”). (…) Prova dunque terribile e sanguinosa, ma prova divina. Così all’occhio del cristiano la guerra si illumina di miglior luce. Il cristiano può combattere la guerra senza ledere il precetto divino e fondamentale dell’amore per il prossimo, perché egli pugna per il buon diritto. Il cristiano accetta la guerra con animo sereno, perché vede in essa un castigo salutare per le sue colpe. Il cristiano anziché abbattersi trova in questa prova nuova forza, perché la guerra nobilita e rigenera le nazioni … oh la dolcezza della vita religiosa al campo! … la guerra coi suoi mali conduce a manifestazioni sublimi di carattere religioso. Dalle trincee si leva un canto di invocazione a Dio, che desta un’eco attorno ai focolari delle nostre case (“La filosofia del cannone” 1915)

La guerra viene quindi ad essere un terribile e severo eliminatore  di quei popoli che hanno tradito la loro missione e uno strumento nelle mani della Provvidenza per guidare le genti (“Le conseguenze benefiche della guerra” 1915)

Potrà il buon cristiano non solo volere e fare la guerra – in quanto essa è e gli appare una giustizia – ma potrà anche predicarla (“Il dovere del cristiano della guerra”)>>.

***

<<Quelle di frate Gemelli non erano le opinioni di papa Benedetto XV, ma non erano neppure opinioni sconfessate come eretiche. Gemelli era anzi tanto autorevole che nel 1916 poté promuovere ufficialmente, con l’autorizzazione di quello stesso Benedetto XV che chiedeva la fine della guerra, la Solenne consacrazione dei soldati del Regio Esercito Italiano al Sacro Cuore di Gesù, di cui le truppe furono informate nel 1917 con un foglio (C149) che diceva tra l’altro:

<<La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la grande speranza dei tempi nostri … Vedete i francesi alla battaglia della Marna: tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau ebbe l’ispirazione d’invocare il Sacro Cuore e consacrargli l’esercito. E il risultato fu la meravigliosa vittoria che salvò la Francia>>.

(Walter Peruzzi “Il cattolicesimo reale” – Odradek edizioni 2008 – p.362)

 

Ci dovrebbero essere ben pochi dubbi sul fatto che quella di frate Gemelli sia una “lectio magistralis” sulla “guerra come strumento della Provvidenza” (!), un vero inno grondante di sangue e tutto recitato in punta di cristianesimo, per giunta con l’autorizzazione di Battista Della Chiesa, vale a dire di papa Benedetto XV, e senza neppure la più pallida ombra di Freud!

Ma allora perché il cardinale Parolin avrebbe tirato fuori il nome di Freud, e, come se non bastasse, lasciandolo da solo?

L’aberrazione massima, tutto il male di quel tempo sembra dunque tutto quanto concentrarsi emblematicamente nel corpo d’una sola persona (e nell’anima, per chi ci crede), e quella persona è: Sigmund Freud.

Sua eminenza Parolin lamenta poi la riduzione dell’azione di Benedetto XV <<ad un puro contorno>> della memorabile lapidaria frase del Papa sulla prima guerra mondiale come <<inutile strage>>. E va bene, tale giudizio papale sarà pure profetico, ma qui varrebbe la pena di chiedersi: potrebbe mai una strage essere (definita) <<utile>>? E la risposta potrebbe anche essere un <<SÌ, anche una strage potrebbe essere utile>>, se a dare la risposta fossero, però, solo i dominanti di tutte le contrade. Insomma, <<inutile strage>> sarà pure una frase lapidaria, ma con un aggettivo che avrebbe potuto e dovuto essere meno infelice e soprattutto più <<utile>>, ma più utile per i dominati (credenti e non), più utile ad essi per capirci qualcosa in più su quella guerra e, soprattutto, sul <<che fare>> per non doverla subire senza neppure l’abbozzo d’una difesa.

 

Antonio Moscato ha titolato il suo ultimo libro sul primo conflitto mondiale “La madre di tutte le guerre”- ed. La.Co.Ri. 2014. Sulla quarta di copertina si  legge:

 

<<Era stata presentata come “la guerra che metterà fine a tutte le guerre”: la spartizione del mondo che la concluse, e che confermava gli obiettivi predatori di tutti quelli che l’avevano voluta, ha invece innescato le micce per molti conflitti, per altre tragedie. È diventata, appunto, la madre di tutte le guerre future …

Il libro parte dalla ricostruzione delle cause reali che l’hanno provocata: oltre al desiderio di rimettere in discussione la suddivisione dei Balcani  e del mondo coloniale concordata tra il 1878 e il 1885 a Berlino, c’erano l’illusione di poter usare il conflitto ai fini interni (la “guerra come igiene del mondo”) e una straordinaria incapacità  di tutti i governi e degli alti comandi di prevedere le caratteristiche che avrebbero inevitabilmente preso i combattimenti tra forze sostanzialmente equivalenti nel numero e nella tecnica militare, rendendo impossibili i sogni di “guerra lampo”. Ottusità e cinismo, disprezzo per la carne da cannone, spedita ad attaccare trincee imprendibili, si riscontrano in tutti gli alti ufficiali dei due schieramenti. In Italia, la coercizione su soldati male addestrati e spesso analfabeti tentava di nascondere la più forte impreparazione delle gerarchie militari. E quei metodi, combinati con la violenza d’una minoranza interventista sul Parlamento, crearono le premesse del fascismo.

Saranno solo le avvisaglie della rivoluzione russa nel 1917, combinate con gli ammutinamenti francesi e lo sfaldamento dell’esercito italiano a Caporetto di fronte a forze tutt’altro che preponderanti, a costringere gli alti comandi a risparmiare un po’ gli uomini e a ridurre le decimazioni e fucilazioni arbitrarie, che avevano caratterizzato i primi anni di guerra.>>

 

Attenzione, allora, attenzione ai sogni di gloria e di potere dei governi e dei dominanti. E, soprattutto, attenzione al <<mal blanco>>, che può avvolgere le sue vittime in un candore luminoso simile a un mare di latte. Perché quel <<mal blanco>>, quella cecità dovuta a una malattia sconosciuta, a quell’epidemia che colpisce il Paese descritto da José Saramago nel romanzo “Cecità”, rappresentano la notte dell’etica.

Se i governi coinvolti, e gli alti comandi non fossero stati tanto incapaci di prevedere l’inutilità del conflitto, e pure così tanto ottusi e cinici, la guerra la si sarebbe potuta-dovuta fermare molto prima … ancor prima di scoppiare. Ma chissà, forse <<l’inutile strage>> della 1^ guerra mondiale non fu poi così tanto “inutile” per tutti, se è vero che essa servì egregiamente, con i suoi metodi di comando combinati con la violenza d’una minoranza interventista sul Parlamento, a plasmare le menti e i corpi (e non del solo popolo italiano) e a creare così le premesse “utili” all’avvento del fascismo (e del nazismo).

Insomma, a ben vedere, ma anche a mal vedere, in quel tempo della notte dell’etica (non certo il primo e il solo della storia umana), c’è davvero un bel mucchio di “brava gente”, che sbava per la guerra, sbava per un lavacro sanguinoso, c’è tanta “brava gente” da poter indicare con tanto di nome e cognome, perché mai prendersela con il solo, povero, innocente Freud?

 

 

Freud e  la guerra

 

Ma è davvero Freud il lievito del 1° conflitto mondiale? Nell’estate del 1914 Freud ha sì uno slancio patriottico, ma a questo slancio di breve durata fa seguito un subitaneo quanto doloroso turbamento. Turbamento che si esplicita nello scritto del 1915 Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte” (B. Boringhieri). In esso non si dà voce soltanto al dolore per la degradazione e la distruzione del prezioso patrimonio dell’umanità, ma si articola una dura denuncia della degenerazione che colpisce anche il mondo scientifico:

 

<<L’antropologo è indotto a dimostrare che l’avversario è un essere inferiore e degenerato, lo psichiatra a diagnosticare in lui perturbazioni spirituali e psichiche (…)>>  (Freud “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte” (1915) B. Boringhieri p. 15)

 

Il senso d’impotenza e il pessimismo di Freud risaltano ancor più nella sua corrispondenza privata, già alla fine del 1914:

 

<<Vienna 25 novembre 1914 — Cara signora (…) non ho dubbi che l’umanità riuscirà a rimettersi anche da questa guerra; tuttavia so per certo che né io né i miei contemporanei rivedremo mai più un mondo felice. Tutto è troppo orribile; ma quel che è più triste è che le cose vanno esattamente come avremmo dovuto immaginarle in base a quanto le attese suscitate dalla psicoanalisi ci hanno insegnato sugli uomini e sul loro comportamento. È questo atteggiamento nei confronti del genere umano ad avermi sempre impedito  di condividere il Suo sereno ottimismo. Nel segreto del mio animo ero giunto alla conclusione che, se ravvisiamo nella nostra civiltà attuale, che è di tutte la più elevata, soltanto una gigantesca ipocrisia, è evidente che non siamo organicamente idonei per questa civiltà. Non ci resta che abdicare, e il Grande Sconosciuto, persona o cosa, che si nasconde dietro al Fato, ripeterà in futuro, l’esperimento con un’altra razza>>. (S. Freud e Lou Andreas Salomé Eros e Conoscenza – lettere 1912-1936 – B. Boringhieri p.17)

 

Sì, si potrebbe anche dire che l’uomo freudiano appare impegnato in una lotta senza speranza, perché l’essenza della natura umana sarebbe per Freud la naturale inclinazione alla guerra e all’autodistruzione. Ma, pur nel suo pessimismo, Freud non pare aver mai sbavato, né nel 1914 né tantomeno dopo, per l’attesa d’un malthusiano <<lavacro sanguinoso>> per l’intera Europa. <<Lavacro>> atteso, auspicato ed esibito, invece, dal più noto fra gli intellettuali cattolici italiani del 20° secolo, padre Agostino Gemelli.

Se, invero, è improbabile che anche un accurato lavoro di scavo tra gli scritti di Freud possa portare alla luce una sua esaltazione della guerra, appare davvero impensabile che le dure parole del cardinale Parolin possano essere state provocate dalle osservazioni critiche riservate da Freud alla religione e alla chiesa, come, ad esempio, con il paragone tra la chiesa e l’esercito. Due istituzioni entrambe fondate, secondo Freud, sulla medesima illusione dell’esistenza d’un capo supremo (Gesù Cristo per la chiesa cattolica). Illusione che, una volta caduta, trascinerebbe nella rovina l’esercito e la chiesa, le cui masse si disperderebbero come una <<lacrima di Batavia>> cui sia stata tagliata la punta. (Freud “Psicologia delle masse e analisi dell’io” – B. Boringhieri – p. 39)

Ancora un’osservazione. C’è chi ritiene che l’opera di Freud, sia una gigantesca descrizione di formazioni di compromesso. Chi scrive non sa dirvelo, sul “Freud del cardinale Parolin” ha messo da subito le carte in tavola. Ora, non per voler essere indiscreti, ma resta del tutto impenetrabile perché mai Sua Eminenza abbia voluto far credere agli spettatori di “non” conoscere di Freud neppure quel poco che sarebbe bastato per prosciogliere in istruttoria da ogni accusa il padre della psicoanalisi. E qui si assicura che quel precedente “non” non nasconde una negazione freudiana neppure debolissima. Tutt’altro, aver enunciato le ragioni di Sua Eminenza nell’atto stesso di negarne la “verità” può darsi soddisfi, invece, un residuo di convinzione accordato a quelle ragioni nell’atto stesso di annullarle.

Lasciato il cardinale alle sue incomprensibili (almeno per chi scrive) aspre accuse a Freud è possibile ora ricordare chi, inutilmente purtroppo, provò a rendere edotto e a pungolare il popolo italiano e perfino gli aderenti al suo stesso partito sull’immane tragedia della guerra.

 

 

I NI e i NO alla guerra: B. Croce e G. Matteotti

 

Sarebbero servite in quel tempo parole capaci di essere da subito  parole chiare e utili alle azioni dei dominati di tutte le contrade. Il PSI è ingessato da Turati, Treves e Prampolini (che hanno la maggioranza del gruppo parlamentare socialista) nella formula <<né aderire né sabotare>>, formula inventata dal segretario del Partito socialista Costantino Lazzari.

C’è Antonio Gramsci (1891-1937), ma è ancora un giovane studente, inquieto, appassionato e incerto, nonché privo dell’indispensabile autorevolezza nel partito. C’è il neutralismo di Benedetto Croce, leader indiscusso della cultura liberale, la massima autorità della cultura italiana. Croce è consapevole del suo ruolo d’ordine, ma suggerisce e comanda l’ubbidienza, come abito normale del buon cittadino -civile o militare-, a chi è investito del ruolo di comando. Per lui:

 

<<la guerra è come il terremoto, quando arriva arriva e si può solo sperare che passi senza fare eccessivi danni>> (da Mario Isnenghi “Convertirsi alla guerra” Donzelli 2015 – p. 54)

<<(…) Se si decide la guerra, sarò fra quei molti italiani che non pronunzieranno verbo di commento, appresteranno il loro animo alla nuova situazione, e faranno tutto quanto potranno. Ma non vorrei mai rimproverarmi di aver aiutato a provocarla.>> (Croce a Prezzolini, Napoli 16 maggio 1915, – Mario Isnenghi “Convertirsi alla guerra” p.60  )

 

Ovvero, secondo B. Croce, ciascuno faccia pure la sua parte, Parlamento compreso, e se il responso è la guerra tutti lo rispettino, e tutti quanti, mesti o esultanti, si acconcino poi alle inevitabili atrocità della guerra.

Ma c’è chi, invece, il <<verbo di commento>> lo pronuncia forte e chiaro. Uno di questi nomi è Giacomo Matteotti, inascoltato, però, anche dalla maggioranza del suo partito. Matteotti scrive sino al maggio 1915, dopo tale data, infatti, deve subire la disciplina militare rischiando più volte il carcere. (Alla disciplina militare, è bene ricordarlo, non devono sottostare papi, cardinali e preti, i quali corrono, in ogni caso, rischi assai minori).

Non è dato sapere se il cardinale Parolin abbia sistemato Giacomo Matteotti in una qualche sottocultura vampiresca assetata di sangue vivo <<che con la sola teoria di Sigmund Freud mescolava vitalismo e violenza>>.

 

– È lo storico Mario Isnenghi, nel suo libro “Convertirsi alla guerra” – Donzelli 2015, a ricordare tra i contrari alla guerra sia Errico Malatesta che Giacomo Matteotti; di quest’ultimo ecco il laconico e intensissimo Liebknecht del 12 dicembre 1914:

 

<<Non i cattolici di Vienna o di Monaco sono insorti contro la guerra; essi son cristiani, ma intanto aiutano a sgozzare i fratelli cristiani di Francia e del Belgio.

Contro la guerra è soltanto un socialista.

Uno solo, in un Parlamento di centinaia.

Ma quell’uomo salva l’Internazionale.

Carlo  Liebknecht non ha temuto il fucile o il capestro prussiano.

Temeranno i socialisti d’Italia o del Polesine, i fucili o i capestri  nostrani, per non rivendicare l’unione dei lavoratori contro tutte le guerre, per tutte le libertà?>>  (da M. Isnenghi  “Convertirsi alla guerra” p. 66)

 

E così continua Mario Isnenghi su Giacomo Matteotti:

 

<<Non sono grandi posizioni di potere, siamo fuori dai grandi centri urbani, ma il Polesine  è una torbida  area di braccianti rossi e questa drastica ostilità alla guerra – una testa fra migliaia di braccia, quella per giunta di un riformista dichiarato e non di un rivoluzionario – si dimostra con gli scritti e i discorsi dei dieci mesi a tal punto determinata da suggerire alle autorità di riaprire il suo fascicolo militare, togliergli l’esenzione e sbatterlo in divisa: non certo per introdurre un virus sobillatore tra i soldati combattenti, non è un fucile in più quello che può interessare, ma per sradicarlo, territorializzarlo e tenerlo più rigidamente d’occhio: prima in Veneto, e poi, dal settembre del 1916 al marzo 1919, addirittura in Sicilia: là dove la voce pubblica mormora che ci siano torme di imboscati protetti da omertà paesana, ma lui, paradossalmente, alla maniera e nella condizione di un “imboscato” di Stato.>>  (M. Isnenghi – “Convertirsi alla guerra” Donzelli p. 66 – 67)

 

La parola d’ordine di Giacomo Matteotti è da subito: <<Neutralità assoluta, neutralità a qualunque costo>>. Matteotti ritiene fondamentale mostrare alla classe lavoratrice il proprio interesse ad avere, sulle diverse questioni, dalla guerra alla patria, un proprio punto di vista, che necessariamente deve essere diverso dal punto di vista della classe dominante.

L’analisi di Matteotti sulla natura della guerra, sul concetto di patria e sul rapporto tra patria e guerra, come sul rapporto patria-socialismo-guerra, costituisce un lavoro (spesso in polemica con Turati) di costante disvelamento offerto ai proletari affinché su tali questioni si affermi il punto di vista della classe lavoratrice.

Una classe lavoratrice che dovrebbe approfittare della sua forza numerica e della sua capacità produttiva per conseguire nella sua lotta contro la classe capitalista sempre maggiori conquiste. Matteotti sottolinea più volte come e perché un partito socialista ben organizzato e compatto avrebbe potuto sostenere  efficacemente la “neutralità”:

 

<<Un milione di proletari organizzati nell’Italia settentrionale sono sufficienti a far riflettere qualsiasi governo sulla opportunità di aprire una guerra; poiché non soltanto noi dovremmo preoccuparci d’<<aggiungere anche la guerra civile>>; e non sappiamo fino a dove si possa temere uno spargimento di sangue, se altrimenti la grande guerra moderna falcerebbe, nel nostro stesso campo, centinaia di migliaia di vite.>> (G. Matteotti “Socialismo e guerra” Pisa University Press p. 92)

 

I lavoratori, secondo Matteotti, devono gridare <<abbasso il militarismo>>,  perché la borghesia vuole soltanto il dominio proprio sostituito a quello di un’altra borghesia, e poi ancora gridare <<abbasso la vostra patria>>:

 

<<poiché la storia dimostra nulla esservi di più facile che la finzione di assaliti quando si è assalitori, di invasi quando si vuol invadere e ogni esercito è un organo che richiede necessariamente la funzione di distruggere, attaccare, uccidere. Può bene la borghesia giocare tutta le propria vita in una questione di patrie, perché la posta della lotta è tutto il suo dominio; ma la classe lavoratrice non vi trova che una gradazione di dominazioni  che forse non vale la sua vita. Potrà darla tutta domani in una grande ribellione contro ogni specie di dominatori, perché allora soltanto potrà conquistare piena libertà.>> (G. Matteotti “Socialismo e guerra” Pisa University Press p. 77- ott. 1914)

 

E quando nel maggio 1915 la battaglia per il neutralismo è ormai perduta, Matteotti manifesta tutta quanta la sua amarezza con queste parole scritte su “La Lotta”:

 

<<(…) Prepariamoci ormai a veder dilagare la menzogna; prepariamoci a leggere vittorie sopra vittorie (…) Orsù, lavoratori che fate? Levatevi il cappello, passa la patria, e ormai più non ci sono socialisti; passa la Rovina, passa la Guerra, e voi date ancora la vostra carne martoriata.>> (G. Matteotti “Socialismo e guerra” Pisa University Press p. 98 – maggio 1915).

 

Ed è proprio Matteotti a ricordare un altro nome dell’italica cultura schierato fra i tanti <<vezzeggiatori della guerra>>:

 

<<(…) ognuno di noi ha visto il degno poeta d’Italia, in quel piccolo mantenuto di donne, fuggito in Francia per debiti, e restituitoci per porto affrancato dalla massoneria repubblicana (il riferimento è a Gabriele D’Annunzio tra i più attivi fautori dell’intervento dell’Italia in guerra)>>.

 

Chi, allora, sarà stato più profetico tra papa Benedetto XV e Giacomo Matteotti? Il papa che può avvalersi del grosso aiuto divinatorio dello Spirito Santo? O il socialista che, per aver ostinatamente pronunciato e gridato il suo <<verbo di commento>> alla tragica scelta della guerra, è  costretto a subire, insieme al bavaglio della censura, anche l’onta infamante del marchio dell’imboscato?

 

 

Sotto la maschera di Benedetto XV

 

Tra i pochi storici che abbiano voluto vedere che cosa c’è sotto la maschera del misericordioso samaritano con la quale Benedetto XV recita davanti al mondo intero il ruolo del pacifista c’è Karlheinz Deschner (1924 – 2014).

Deschner si domanda perché il papa non abbia vietato ai cattolici di combattere, perché non abbia invitato dappertutto a gettare le armi, perché non abbia obbligato i vescovi ad agire nello stesso senso, perché i popoli non siano stati chiamati all’obiezione di coscienza e così si risponde:

 

<<(…) In realtà però il clero obbliga tramite un giuramento i cattolici di entrambe le parti a massacrarsi  reciprocamente in caso di guerra – in mezzo ai rincretinenti appelli papali alla pace. L’ipocrisia più micidiale della storia. (…) e mentre lui stesso (Benedetto XV) ostentava il fatto che la <<Santa Sede>> dovesse, per quanto difficile restare neutrale (nullius partis), mentre lui stesso si presentava al mondo commosso in qualità di padre di tutti i suoi figli (…) era responsabile di un’assistenza militare che ordinava ai soldati cattolici di tutti i paesi belligeranti il massacro reciproco come supremo adempimento  del proprio dovere>>. (K. Deschner  “La politica dei papi nel XX secolo” – ed. Ariele – Tomo I – pag.167-168)

 

La risposta ai propri perché da parte di K.  Deschner è chiara, e siccome “i fatti hanno la testa dura” egli dimostra come la lamentazione del cardinale Parolin poggi su fondamenta tutt’altro che solide. Perché l’azione di papa Benedetto XV pare sia stata tutt’altro che un “puro contorno” della profetica, memorabile frase “inutile strage”, ma semmai “un contorno impuro e avvelenato. In quei tempi, in quella guerra, infatti, il nemico ha ancora un corpo, un volto, una fisionomia, e quel volto nemico è ben visibile, è visibile addirittura dalla trincea di fronte, ed è anche il volto del cristiano d’oltreconfine.

Quello è anche il tempo della “Guerra di Piero” descritto e cantato da Fabrizio De Andrè:

 

E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore”.

 

Tra i fabbricatori d’odio della 1^ guerra mondiale ci sarebbe dunque anche la Chiesa di Roma, col suo papa che ordina e benedice il massacro reciproco tra i cristiani <<come supremo adempimento del proprio dovere>>, in una delle ultime occasioni per poter “sparare in fronte o nel cuore e vedere gli occhi d’un uomo che muore”.

Davvero memorabile, allora, l’assistenza ai militari di papa Benedetto XV, un papa di guerra, un papa per la guerra, senza l’elmetto, ma con l’aspersorio sempre a portata di mano!

Ci sarebbero tante buone ragioni per avanzare l’ipotesi che la catastrofe del 1° conflitto mondiale sia stata un’ottima levatrice del fascismo e del nazismo, come anche un’ottima levatrice della catastrofe della 2^ guerra mondiale.

 

 

La carnevalizzazione della Storia e Richard Wurmbrand

 

Ora, forse, potrebbe risultare un po’ più chiaro come la bramosia, gli obiettivi di ogni “potere”, compresi i poteri religiosi, anche nell’alba del 1915, siano quelli di controllare sempre meglio il proprio gregge, anche a costo d’una carnevalizzazione della Storia, nel corso della quale, come spesso accade, carnefici e vittime finiscono col diventare indistinguibili. Indistinguibili anche perché trattasi d’un carnevale stregato. E sotto ogni maschera c’è n’è sempre un’altra. Nel 1915, infatti, ci si trova  da un po’ di tempo, nel regno e nel tempo del Capitale,  laddove, se ci sono persone, ci sono solo nel senso etimologico-etrusco di “maschere”. Almeno secondo quel che Karl Marx ha da poco finito di “raccontare”. Ma ci si può fidare di costui?

Un certo Richard Wurmbrand, nell’anno 1976, scrive “Was Karl Marx a Satanist?”, dove così annota:

 

<<L’aspetto irsuto di Marx con i suoi capelli e la sua barba non vi ha mai dato da pensare? Gli uomini del suo tempo portavano in genere la barba, ma non come la sua, né capelli così lunghi. L’aspetto di Marx è tipico degli adepti di Giovanna Southcott, sacerdotessa di una setta stravagante che pretendeva di essere in relazione col demonio Shiloh>> (R. Wurmbrand “Mio caro diavolo – Ipotesi demonologiche su Marx e sul marxismo – Edizioni Paoline 1979 – p. 42).

 

Delle Edizioni Paoline ci si dovrebbe poter fidare. Forse, però, non è né giusto, né saggio porre i tratti somatici d’un individuo, la sua barba e i suoi capelli lunghi, in lombrosiana relazione col suo potenziale tasso di criminalità. In ogni caso, chi scrive non sa dirvi se Marx sia stato o meno un adepto di Giovanna Southcott e se sia mai stato in relazione col demonio. Può dirvi, invece, che nei suoi scritti Marx parla spesso di cose strane, ma strane forse solo perché ricoperte da una fitta nebbia, una nebbia di classe, una nebbia creata e disseminata a bella posta dalle classi dominanti e dai loro fidi scudieri.

 

Marx scrive di “lavoro vivo”, di “lavoro morto”, di “rapporti cosali tra persone” e “di rapporti sociali fra cose”, di “maschere economiche che sono la personificazione di rapporti economici”. E poi qualifica  “il capitale” come “stregonesco”, come “mostro animato”, evoca “lupi mannari” e “vampiri”, con numerosi riferimenti al “mondo magico”.

Marx usa dunque, scientemente, il linguaggio degli inquisitori e degli stregologi per descrivere il mondo del capitale come fosse il mondo delle streghe, ovvero un mondo alla rovescia, popolato d’incantesimi, di apparizioni e sparizioni. E come potrebbe mai definirsi se non “incantesimo” quello che costringe la stragrande maggioranza del genere umano a restare sotto le grinfie d’un manipolo di gentiluomini abili anestesisti dello sfruttamento?

È senz’altro vero che K. Marx ha l’ossessione (diabolica?) del “plusvalore” e del “valore di scambio”, e li vede un po’ dovunque … ma soprattutto perché, nel modo di produzione capitalistico, essi sono davvero dovunque. Ad esempio Marx, detto anche il “Moro” dagli amici (soprannome che forse potrebbe “aver dato da pensare” a R. Wurmbrand suffragando l’ipotesi demonologica su Marx), ritiene che il potere sociale (ovvero “il valore di scambio”, ovvero il “denaro”) d’un individuo risieda nella sua tasca:

 

<<così come il suo nesso con la società, egli lo porta con sé nella tasca. L’attività, quale che sia la sua forma fenomenica individuale, e il prodotto dell’attività, quale che sia il suo carattere particolare, è il valore di scambio, vale a dire qualcosa di generico in cui ogni individualità, proprietà, è negata e cancellata>>. (K. Marx Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica – La Nuova Italia 1978, p. 97)

<<(…) Da ciò la funzione preponderante che ebbe allora il sistema coloniale. Esso fu il “il dio straniero” che si mise sull’altare accanto ai vecchi idoli dell’Europa e che un bel giorno, con una spinta improvvisa li fece ruzzolar via tutti insieme e proclamò che fare del plusvalore era il fine ultimo e unico dell’umanità>> (K. Marx – Il Capitale Libro I – Einaudi 1975 p. 926)

 

Marx racconta, tra l’altro, di un cambio di religione, ovvero la religione della “tasca”. Racconta la nascita colonialistica del Capitale, che lui chiama “il dio straniero”, con i suoi rituali altrettanto magici, e con sempre nuove vittime da immolare alle indefettibili leggi del Capitale. In questa nascita colonialistica del Capitale si rivelerà di fondamentale importanza la grande esperienza accumulata dal cristianesimo in casa propria nel torturare, spezzare le ossa e abbruciare vivi i corpi di streghe ed eretici o presunti tali.

Non ci sarebbe dunque alcun motivo per dubitare che, in tema di “lavacri sanguinosi”, il  cardinale Parolin ne sappia quanto basta e avanza, e abbia  altresì piena coscienza e conoscenza di quel che dice e non dice di Freud.

È forse possibile dimenticare i misfatti del “dio straniero” e cancellare la più grande caccia alle streghe che dentro l’alba della età moderna sacrifica oltre 60 milioni di amerindi eliminati, con la duplice accusa di sodomia e stregoneria, per la sete di plusvalore del capitale? È forse possibile dimenticare la messa in cantiere del “lavoro forzato”? Si possono dimenticare gli scritti di Bartolomé de Las Casas’?

È questa nascita del capitale, battezzato in un Giordano di sangue e di orribili supplizi, che fa dire a Marx:

 

<<In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò a impiccare i falsificatori di banconote>> (K. Marx – Il Capitale Libro I – Einaudi 1975 p. 928)

 

Chi scrive, però, non sa proprio dirvi se “l’irsuto” Karl Marx, dopo essersi unto ben bene col grasso del diavolo, fabbricato con le carni bollite di bambini morti, qualche notte scivolasse di soppiatto per la cappa del camino su scope e caproni volanti, pur di recarsi al sabbatico rendez-vous col diavolo, con annessi voli notturni, metamorfosi e orge gastronomico-sessuali collettive (sui sabba stregoneschi, sulla bolla di Innocenzo VIIISummis desiderantes affectibus (1484) e sull’enciclopedia  demonologica di J. Sprenger e H. Institor KramerMalleus maleficarum” (1486), si può leggere “I Lumi e le Streghe” – di Luciano Parinetto ed. Colibrì ‘98).

 

 

Un esorcismo a babbo morto?

 

Pare che gli esorcismi del battesimo non abbiano più l’efficacia d’un tempo. I papi, che se ne intendono, dicono spesso che servirebbero più esercizi ascetici speciali, come preghiere e digiuni, ma i cristiani non devono esserne granché entusiasti, vista la reiterazione ossessiva degli appelli papali.

Sembra, inoltre, che le pezze papali per tappare le <<fessure attraverso le quali il Maligno penetra e altera l’umana mentalità>> si rivelino quasi peggiori dei buchi dei diavoli. Gli identikit psicofisici dei demoni sono più o meno gli stessi di papa in papa, peraltro in sintonia con i passi evangelici, ivi compresi quelli su Satana e Gesù. Questi identikit dell’orrore non fanno però che accrescere a dismisura l’infernale incubo umano per le migliaia di diavoli che ballonchiano senza sosta per le vie del mondo: questi diavoli sono <<molti, oscuri e conturbanti, insidiatori sofistici, che esistono davvero>> (Paolo VI 15/11/72), <<bugiardi che sanno come ingannare e truffare la gente>> (Francesco I 14/10/16). Com’è possibile difendersi da chi osa insidiare Gesù, che accetta persino di farsi condurre da Satana sul pinnacolo del tempio? (in occasione della seconda tentazione di Gesù: <<Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio>> (Matteo 4,5).

 

Coloro i quali sono ossessionati da qualcosa rischiano prima o poi di ritrovarsela davanti agli occhi dovunque vadano, anche negli specchi della propria casa. C’è chi, come R. Wurmbrand, si è convinto che sia stato  Satana a intrufolarsi nel corpo di K. Marx. Altri sono convinti che il Maligno abbia posseduto B. Mussolini, A. Hitler, G. Stalin, N. Lenin,  per giungere sino alle demonizzazioni più recenti di Saddam Hussein, di Slobodan Milošević, di Mu’ammar Gheddafi, di Bashar al-Assad. E così ci si può anche convincere che Satana abbia abitato e posseduto il corpo di Freud.

È ben noto che non solo Freud si sia molto interessato di animismo, di stregoneria e di magia, alla ricerca di “alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici” (che è poi il sottotitolo del suo libro “Totem e Tabù”), ma abbia anche istituito analogie fra possessione isterica ed epidemie demoniache. E non è affatto un caso se per il padre della psicoanalisi <<il diavolo non è altro che la personificazione della vita pulsionale inconscia rimossa>> (in C. Musatti “Freud” Boringhieri 1970 – p.188).

Non sarebbe dunque impossibile che in un brutto giorno, sentendosi ingiustamente degradato a fenomeno isterico dalla “nuova scienza”, quel povero diavolo di Satana, per amor proprio e per dare nuova linfa alla teoria medioevale dell’invasamento, come sempre ben sostenuta dalle corti ecclesiastiche, abbia deciso di andare ad abitare nel corpo di Freud. Non foss’altro che per far toccare con mano, al profeta della nuova scienza, i propri ancora intatti poteri di diavolo e dimostrare così di saperne, almeno una più di S. Freud, il quale lo riduce a “nient’altro che personificazione della vita pulsionale inconscia rimossa”. Al riguardo si dice che Satana, giunto davanti a Freud, poco prima di prenderne possesso, così abbia esclamato con satanico cinismo: “ehi, Sigmund Freud, professor extraordinarius, si ricordi che, una volta compiuta la mia diabolica missione, il rimosso sarà lei!

Una tardiva scoperta di questa possessione demoniaca da parte delle corti ecclesiastiche potrebbe finalmente spiegare anche l’irrisolta questione (almeno a parere di scrive) dell’accanimento (esorcistico?), a babbo (della psicoanalisi) morto, da parte del cardinale Parolin nei confronti di Freud, presunto sitibondo di sangue umano.

Anche la 1^ guerra mondiale, così stando le cose, potrebbe essere stata in buona parte, se non per intero, tutta colpa di Freud, ovverossia di Satana, il quale risulta sempre in cima ai pensieri anche di papa Francesco I (14/3/2013): «Chi non prega il Signore, prega il Diavolo» (adattamento della frase evangelica pronunciata da GesùMatteo 12, 30 «chi non è con me, è contro di me», lat. «qui non est mecum, contra me est»).

L’intolleranza divina sa essere lapidaria e terribile … a volerla vedere!

“Intolleranze” divine a parte, pare abbastanza difficile che Freud, che ha dissolto la religione in patologia, abbia mai usato anche solo una piccola parte del proprio tempo per pregare il Signore. L’impero del male di Satana, dunque, ha di certo un’anima in più. Peccato, una festa in meno in paradiso.

Ed è per dare la caccia in tutto il mondo a Satana e a tutti i diavoli che papa Bergoglio si è da subito dotato d’un piccolo esercito di 250 esorcisti  (Famiglia Cristiana 3/7/2014).

Ed è stato papa Bergoglio a nominare Pietro Parolin prima segretario di Stato Vaticano e poi cardinale.

Che dire allora, nell’auspicare che sia tolto il blocco delle assunzioni nel ruolo degli esorcisti e sia almeno decuplicato il loro numero, non è meglio un esorcismo a babbo (della psicoanalisi) morto che niente? Se la pianta organica degli esorcisti fosse stata adeguata, chissà, forse oggi Satana si starebbe rodendo il fegato nel vedere lassù, nell’alto dei cieli, Freud, magari in qualità di consulente psichiatrico, accanto al padre e al figlio. No, non si intenda accanto “a dio Padre e al suo Figlio Gesù Cristo”, ma accanto ad Abramo e ad Isacco, entrambi impegnati nel lungo lavoro di un’analisi interminabile, a causa degli effetti traumatici del monte Moriah, ovvero “grazie” alla fede canina di Abramo in Dio Padre onnipotente.

14 maggio 2017

oronzo mario schena