IL MANTRA DELL’ECONOMISTA LIBERISTA E DI QUELLO STATALISTA
Siamo entrati nell’oscurità della crisi, l’aria si è fatta aspra, la luce fievole, si cammina a tentoni nelle nebbie della storia con la costante sensazione di precipitare. Però l’epoca è opaca perché noi abbiamo la vista appannata. Nel disorientamento generale si ode un vociare spettrale, un motivo funereo che dice: tagliare, tagliare, tagliare. E’ la canzone dell’economista liberista, uno strano animale metà uomo e metà calcolo tombale. Un refrain cimiteriale per mettere una pietra sepolcrale sopra quello che va male. Se proprio si deve affogare meglio accelerare ed evitare di soffrire, del resto saranno soprattutto i più sfortunati a perire quindi non c’è altro da dire, meglio agire, affettare, tranciare, spezzettare, recidere, troncare, inumare. La speranza è l’ultima a morire, senza un braccio ed una gamba si può provare a sopravvivere. Fatevi sotto, pensionati, malati, diseredati, ed anche tartassati. La società richiede un sacrifico di lacrime e sangue e qualcuno lo deve pur accettare, dobbiamo rischiare per non schiattare. Avete già dato? Avete ceduto un orecchio, un naso, un occhio della testa? E che ci volete fare è sempre il turno di chi non può protestare e deve seguitare a rateizzare anima, corpo e sedere per tirare a campare. Vi chiederete: eppure se lo scopo è recuperare, risalire, rimontare come posso accettare i consigli di chi vuol solo mutilare, asportare, deturpare? Ma non capite, poveri depressi a pezzi, avanzi di esseri umani, l’economista è uno che sminuzza, trita, sgretola, smozzica, spunta per riattivare la crescita del corpo sociale che purtroppo non coincide con quello vostro personale. Ma tant’è. Questi signori che non ci hanno capito nulla della débâcle finanziaria fino a ieri mattina adesso tornano a pontificare coi loro consigli e le loro frattaglie economicistiche tanto per non cambiare. Per loro è naturale, un po’ come cagare. Tutti li stanno a sentire, è di nuovo il loro momento, è l’ora del dimagrimento. Questi macellai col coltello affilato si disputano la scena con affini statalisti, oggi più’ in sordina, che invece di segare, falciare, recidere vorrebbero ingrassare, impinguare, rabboccare lo Stato e tutti i suoi apparati dove stanno i loro amici costipati. Anche costoro hanno le loro ragioni sbagliate che oggi non vanno per la maggiore, per un fatto di moda e di alternanza tra gruppi di cialtroni autorizzati da qualche superpotenza mondiale, ma domani, vedrete, torneranno a contare. Gli Hannibal Lecter del mercato ed i Gargantua della spesa pubblica sono abituati a scambiarsi i ruoli, dipende dalle stagioni sociali e dai raccolti industriali. Tuttavia, l’obiettivo è comune, rincoglionire la gente e svuotare le sue tasche per il progresso ideale generale e il loro stretto benessere particolare. Ma lorsignori con l’indice di borsa sempre puntato come una pistola sul popolo affamato, (siano essi liberisti o statalisti, hayekiani o keynesiani, avari o spendaccioni, intransigenti o lassisti), sono d’accordo su un piccolo punto. Lo dice l’offertista e il domandista, il mercatista e l’assistenzialista, il restringista ed il disavanzista. Dobbiamo liberarci dell’argenteria e dei gioielli di famiglia per resistere alla fanghiglia, lo ha anche suggerito qualche gran cervello della politica nostrana con l’intelletto in ferie da qualche settimana. Vendere, liquidare, alienare, dismettere tutto, dalle Poste, all’Eni, da Enel a Finmeccanica, dalle aziende municipalizzate, alle partecipazioni azionarie in mano pubblica. La soluzione è geniale, perchè così la montagna di fango potrà passare senza fare danni, non ci sarà più nulla da travolgere se ci saremo liberati di tutto, persino di noi stessi. Dell’Italia resteranno rovine ma aumenteremo il flusso turistico e la produzione di souvenir, in ossequio ai costi comparati e agli idioti patentati.