IL MITO DEL DEFICIT
Si sta parlando molto del libro di Stephanie Kelton “il mito del deficit”, così anch’io mi sono procurato una copia. Devo dire che il testo parte benissimo (sfatando un mito che ho sentito molte volte in bocca ai nostri esperti di economia (lo Stato è una famiglia), anche a quelli cosiddetti alternativi, come Claudio Borghi della Lega, il quale scrisse tempo fa che lo “Stato sono i cittadini”, concetto appena più largo ma ugualmente sbagliato. Kelton apre il suo saggio scrivendo, invece, che lo Stato non è una famiglia…perché emette la moneta che spende. E’ vero, si tratta di un giudizio economicistico essendo lo Stato, innanzitutto, il monopolio della forza e dell’egemonia, ma almeno si esce dalle ristrettezze mentali di cui sopra. Il testo poi prosegue rievocando la giusta importanza che ha avuto la svolta keynesiana durante l’epoca di crisi della prima parte del novecento (ricordiamo che per far ripartire l’economia Keynes pensava a soluzioni in controtendenza rispetto a quelle proposte dalla maggioranza degli economisti a lui coevi, preoccupata solo di contenere i salari o l’inflazione mentre il pensatore inglese suggeriva persino di “ riempire vecchie bottiglie con banconote, sotterrarle a profondità adeguate in miniere di carbone in disuso, riversare nelle miniere rifiuti urbani fino alla superficie, e lasciare poi alla libera iniziativa, sulla base dei consolidati principi di laissez faire, il compito di dissotterrare le banconote – dopo aver indetto una gara per le concessioni di sfruttamento di quel territorio – la disoccupazione non aumenterebbe più e, con l’aiuto delle successive spendite, il reddito reale e la ricchezza della comunità sarebbero probabilmente molto più elevati di quanto si darebbe altrimenti. Certamente, sarebbe più sensato costruire case o altro. Ma, se ci sono difficoltà politiche o pratiche nel farlo, quel che si è detto sopra sarebbe meglio che niente) ma si chiude male, anzi direi malissimo, ricorrendo a numerosi luoghi comuni di questa maldestra contemporaneità. Non entrerò nei dettagli della MMT (Modern Monetary Theory) sui quali la Kelton basa le sue analisi, poiché considero il fattore monetario secondario rispetto alle criticità odierne, per quanto, indubitabilmente, con una moneta sovrana sarebbe sicuramente più agevole far valere il potere di spesa degli Stati, messo in discussione da chi vede nel deficit pubblico esclusivamente un problema piuttosto che una opportunità per la ripresa.
Tuttavia, è bene precisare, pur restando nei ristretti confini economici, l’eventuale iniziativa dello Stato per risollevare la situazione non può essere semplicemente a supporto dell’impresa privata o delle piccole e medie imprese in difficoltà. Se queste hanno problemi a piazzare i loro prodotti, nessun incentivo, nemmeno fiscale, le faciliterà. In realtà, lo Stato, in presenza di una debolezza della domanda privata di beni di consumo e di investimento (perché le crisi che attanagliano le nostre società sviluppate sono di domanda e non di offerta) deve effettuare una sua spesa aggiuntiva che sopperisca a quella insufficiente dei privati. Per non entrare in competizione coi privati, già in difficoltà, lo Stato vara opere infrastrutturali nelle quali i primi si imbarcano con molta titubanza per gli alti rischi.
Come scrive giustamente La Grassa nel libro “Crisi e economiche e mutamenti geopolitici”: “La spesa pubblica per infrastrutture, insomma, dà impulso all’attività di una serie di imprese che debbono – tanto per fare un esempio – fornire cemento, acciaio, vetri, infissi, mobilio, ecc. per costruzioni edili. E queste imprese debbono assumere lavoro (dirigente come esecutivo) per produrre; così facendo, distribuiscono salari a lavoratori prima disoccupati, che cominceranno a domandare beni prodotti, a loro volta, da altre imprese. Anche queste allora si riattivano, acquistando beni di produzione e pagando salari ad altri lavoratori prima disoccupati che, con il salario percepito, domandano altri beni di consumo e …..via di questo passo, in un circolo ora virtuoso di ripresa economica”.
Purtroppo, tanto la Kelton che la MMT sembrano comprendere poco questo approccio. Infatti, l’opera della Kelton si chiude con un capitolo intitolato “Costruire un’economia al servizio del popolo” che è un coacervo di banalità e qualunquismi economici paurosi: “Riuscite a immaginare un’economia nella quale l’impresa privata e l’investimento pubblico si combinano per aumentare il tenore di vita di tutti? Riuscite a immaginare un’economia in cui ogni comunità rurale e urbana disponga di servizi sanitari, educativi e di trasporto sufficienti per soddisfare le esigenze della popolazione locale? Riuscite a immaginare un’economia in grado di misurare e migliorare continuamente il benessere della gente e non solo il prodotto interno lordo? Riuscite a immaginare un’economia in cui l’attività umana rigenera e arricchisce tutti gli ecosistemi? Riuscite a immaginare un’economia in cui le nazioni commerciano in forme che migliorano gli standard di vita e le condizioni ambientali di tutte le parti coinvolte? Riuscite a immaginare un’economia composta da una forte classe media occupata nei servizi e con lavori che prevedono buoni salari e benefit? Riuscite a immaginare un’economia in cui sia garantita a tutti una pensione serena, capace di soddisfare tutti i propri bisogni alimentari, abitativi e sanitari? Riuscite a immaginare un’economia in cui ogni genere di ricerca venga completamente finanziato, con un flusso costante di idee di successo commercializzate o diffuse a beneficio dei cittadini?… Acquisita la consapevolezza di come sia possibile finanziare tutto questo, adesso sta a voi immaginare e contribuire a costruire un’economia al servizio del popolo”.
Forse, è sempre ed ancora meglio scavare buche nel terreno e ricoprirle piuttosto che confidare in un mondo in cui le nazioni cooperino per il benessere di tutti. Ci troviamo all’imbocco di un periodo storico di conflitti per la supremazia che metteranno le nazioni le une contro le altre. Sarebbe più opportuno che gli Stati investissero in difesa, tecnologia, innovazione e ricerca per superare i competitori i quali hanno in testa di tutto ma non sicuramente l’armonia dei rapporti internazionali.