IL NOSTRO NEMICO E’ A WASHINGTON, NON A BERLINO
C’è molta confusione nella testa di chi, in Europa, accusa la Germania di aver imposto una dittatura economica sul Continente. In realtà, costoro non vogliono vedere (o cercano di coprire) i ben più cospicui rapporti di dominanza (e, conseguentemente, di sudditanza), politica e militare, che da oltre Atlantico si stagliano su tutta l’Ue. Prendiamo, ad esempio, il recente articolo di Becchi e Sacchetti apparso su Libero del 17/09. Correttamente, i due articolisti descrivono le manovre americane, attraverso organismi economici (fintamente internazionali ma concretamente governati da Washington), per indebolire l’azione di Berlino sui mercati europei e mondiali. Dalle indagini sulle banche tedesche alle sedicenti truffe nel settore dell’automobile. Fatti che potrebbero comportare ulteriori multe e sanzioni (come già accaduto per Volkswagen) contro imprese tedesche ritenute troppo attive nell’arena globale. Non si perdona ai crucchi di non seguire pedissequamente gli indirizzi economici statunitensi ritenuti indispensabili a tenere unita l’Ue sotto il tallone di ferro della Casa Bianca. Ovviamente, i tedeschi non intendono accettare tali diktat, almeno non integralmente, perché ciò rappresenterebbe un limite pesante alle loro potenzialità economiche ed un freno alle loro prerogative di leadership politica all’interno dell’Unione. L’attuale conformazione unitaria, come è già stato più volte scritto da noi e da altri, è un progetto americano che viene da lontano e che dopo la caduta dell’Urss si è realizzato, anche oltre i suoi iniziali intendimenti, inglobando alcuni soggetti nazionali della sfera d’influenza sovietica, per diluire la forza delle medie potenze centrali europee (Germania in testa). Questa configurazione dell’impalcatura comunitaria ha come scopo quello d’impedire alla Germania di farsi egemone in Europa e di rendere estremamente difficoltose le sue intese geopolitiche extracomunitarie, con la Russia in particolare. Il saldamento di un asse Berlino-Mosca (che, magari, coinvolgesse Parigi e/o Roma) è un vero incubo per gli yankee poiché coinciderebbe con la derubricazione della loro posizione nel Vecchio Continente e con un ripiegamento pauroso che farebbe decadere il loro primato globale.
Ma veniamo all’errore, a dir vero madornale, commesso dai due commentatori di Libero. Facciamo prima una premessa. Sappiamo come in passato gli americani, per ragioni di contenimento dell’URSS, abbiano favorito lo sviluppo di un sistema economico europeo estremamente assistenzialistico, basato da un lato su abnormi aiuti finanziari e dall’altro sullo smaccato protezionismo militare, con delega ai nostri “protettori” della difesa dei margini europei. Gli americani ci tenevano al riparo dagli squilibri e dai fattori più aggressivi del loro capitalismo e dei mercati, nonché da eventuali aggressioni di terze parti, in cambio di una assoluta fedeltà all’Occidente anti-sovietico. In queste condizioni, nel contesto europeo, hanno potuto svilupparsi forme concorrenziali meno aggressive (o solidali, come dice qualcuno, ma anche più dipendenti dagli Usa) su cui vigilavano e agivano gli Stati, i quali intervenivano in ogni ambito per calmierare eventuali sperequazioni e squilibri, sia economici che sociali. La natura del Welfare europeo, ormai in via di smembramento dopo l’implosione del socialismo realizzato, ha avuto sostanzialmente queste origini. Ma, appunto, il venir meno di determinate esigenze geopolitiche ha mutato pesantemente il quadro dell’epoca storica. Oggi, l’interferenza americana in Europa è mutata in subdola ingerenza, non (solo) ai fini dell’allontanamento di un nemico ai confini (leggi Russia) ma per impedire alla stessa Ue di tramutarsi in antagonista diretto di Washington. Questo l’antefatto. Becchi e Sacchetti, ai quali probabilmente difettano i passaggi soprastanti, affermano che la Germania costituisce un pericolo per gli altri partner perché impone forme estreme di neoliberismo all’Europa mentre gli Usa suggeriscono indirizzi di intervento neokeynesiani, di espansione della spesa pubblica, per agevolare un allineamento tra i paesi dell’Ue e ridare fiato a quelli in difficoltà, come la Grecia o anche l’Italia. Poi però gli stessi autori sono costretti ad ammettere che se il TTIP, accordo di libero-scambio tra Usa-UE, basato sull’ideologia del laissez faire, è fallito è stato per un impuntamento dei tedeschi, i quali non vedono di buon occhio l’invasione di multinazionali e prodotti americani che finirebbero per divorarsi, più che la Germania, proprio i sistemi-paese europei economicamente più fragili della nostra area collettiva. Allora, chi sono i neoliberisti e chi i neokeynesiani? Forse è proprio sbagliata la chiave di lettura che nasce da una sovrapposizione di piani (economico, geopolitico, storico ecc. ecc.) e da una confusione di idee (ammettendo la buona fede). Cominciamo col mettere le cose in ordine dicendo che nemici principali dell’Europa sono gli Stati Uniti. Da ciò dipendono le scelte economiche tedesche, che, in un certo qual modo, sono forzate dalla situazione. Se Berlino potesse contare sul supporto politico di altri vicini europei (i quali, invece, tifano e operano per restare sotto la sudditanza Usa) forse le cose andrebbero diversamente.