il nuovo saggio di Gianfranco la Grassa
Di prossima pubblicazione.
Il saggio in argomento, che non ha ancora un titolo, si divide in due parti, una di teoria (politica ed economica) e l’altra di storia. La parte teorica tratta del pensiero marxiano, delle sue acquisizioni ancora valide, a livello di studio del modo di produzione capitalistico dell’epoca ottocentesca, ma, soprattutto, delle sue previsioni irrealizzate che lo hanno reso inadatto ad interpretare il nostro tempo e la differente articolazione dei capitalismi attuali. Secondo Marx, nelle viscere del capitalismo, nella sua base materiale (la produzione), in virtù dei processi di centralizzazione dei capitali e di socializzazione delle fasi lavorative, si sarebbe formato un soggetto collettivo alleato (dal primo ingegnere all’ultimo manovale) che, preso il controllo delle unità produttive, si sarebbe sbarazzato dei parassiti finanziari, divenuti tali, proprio per le succitate dinamiche, e ormai interessati soltanto a trattare gli scambi finanziari sui “segni” della proprietà. Perso il controllo della produzione, detti rentier, si sarebbero arroccati nello Stato (inteso come insieme di apparati che esercitano egemonia e coercizione) per difendere i propri privilegi ma non avrebbero retto a lungo, perché la nuova classe maggioritaria del General intellect, formatasi nella base materiale della società, li avrebbe spodestati. Pacificamente o con un colpo di mano violento detto rivoluzione. Ovviamente, questa dinamica descritta da Marx non si è concretata nei fatti, pertanto lo studio della società deve mutare di prospettiva. Il saggio apre, infatti, a nuove ipotesi analitiche sui capitalismi moderni che hanno una matrice non più inglese ma americana, chiamata da La Grassa “società dei funzionari del Capitale”. Istanza fondamentale per comprendere la situazione non è più la proprietà dei mezzi di produzione (o il potere di disposizione degli stessi) che struttura il mondo in due classi contrapposte (capitalisti da un lato, operai dall’altro, antagonismi che producevano la famosa disputa Capitale/lavoro creduta essenziale per la trasformazione del sistema), come pensato anche da Marx, ma lo squilibrio incessante del reale che genera conflitti a vari livelli. I più decisivi sono i conflitti tra agenti dominanti che lottano per la supremazia nelle diverse sfere umane: politico-militare, ideologico-culturale, economico-finanziaria. Gli attori non possono immergersi direttamente nel flusso del reale se vogliono incidere sul panorama collettivo. L’attività degli individui (nei gruppi), dei gruppi sociali (nelle formazioni particolari, in definitiva i vari paesi), dei paesi (con i loro Stati, con gli organismi detti internazionali, ecc.) nel mondo (scansione sociale persino più esplicativa di quella in sfere), tende sempre a cristallizzare la “realtà” (una specifica realtà) in un dato equilibrio, perché ogni azione, sempre preceduta da un progetto e dalla fissazione degli obiettivi da realizzare, ha bisogno di creare dei punti di riferimento, dei campi di stabilità, che, per quanto provvisori, sono datati di consistenza e cogenza per una specifica fase. Infatti, vi è sempre un “movimento” nelle viscere della società che alla lunga muta gli equilibri faticosamente raggiunti trascinando i soggetti, agiti da questa corrente, in molteplici tenzoni volte ad imporre la propria visione delle cose, la quale, ovviamente viene ritenuta più giusta ed adeguata di quella in auge mentre chi già detiene il potere lotta per l’esatto contrario, per mantenere la situazione in quelle condizioni storiche e sociali che garantiscono il suo predominio.
La parte storica del testo rilegge, secondo questa chiave interpretativa, alcuni eventi essenziali del passato che ci riguardano da vicino, in quanto Paese inserito nell’area occidentale a dominazione statunitense. Il capitalismo italiano, dopo la sconfitta nella II guerra mondiale, si è sviluppato entro una cornice di rapporti di forza irrigiditi, in cui erano consentiti determinati (ristretti) spazi di manovra. La geopolitica dei blocchi contrapposti Usa-Urss, con l’Italia incastrata nel primo campo, ha condizionato l’evoluzione del nostro capitalismo. In questo quadro di dipendenza dagli Stati Uniti si sono verificati avvenimenti sui quali è bene riflettere, in maniera revisionistica, per cogliere anche le recenti degenerazioni del sistema politico nostrano. Dal ruolo delle imprese statali a quello del capitalismo famigliare (Agnelli, ecc.) la longa manus americana ha influenzato le strade percorse dal Belpaese, dalla fine del conflitto bellico in poi. Spesso queste ingerenze hanno portato agli ammazzamenti o alle sventure di protagonisti della vita politica italiana che avevano idee non collimanti con l’Egemone internazionale su rilevanti temi strategici, economici e politici. In Italia, inoltre, c’era il più grosso partito comunista dell’Occidente che per un pezzo ha seguito pedissequamente Mosca per la linea, benché avesse tradito, sin dalla svolta togliattiana del ’44, la sua vocazione rivoluzionaria. Tuttavia, già dalla fine degli anni ’60 e più decisamente con la segreteria Berlinguer ed il viaggio negli Usa di Napolitano del ’78, il Pci si trasforma in un pachiderma democraticistico e moralistico a disposizione degli americani e sotto l’ombrello Nato. In mezzo ci sono anche il fenomeno brigatista (e di tutta la galassia terroristica dell’ “ultrasinistra”) sul quale La Grassa dà giudizi molto più complessi delle famigerate versioni “dei compagni che sbagliano”, alimentate dallo stesso PCI, o quelle esclusivamente complottistiche che considerano tali gruppi infiltrati e totalmente manovrati dalla Cia, in quanto un ruolo decisivo, soprattutto nella genesi delle Br, viene svolto dai servizi segreti di paesi dell’est (non sovietici). L’analisi lagrassiana attraversa molti avvenimenti cruciali del ‘900, nazionali e internazionali: la Rivoluzione Russa, i fascismi, le grandi crisi economiche, lo stalinismo, il caso Mattei, quello Moro, il golpe in Grecia, quello Cile, il Vietnam, i difficili rapporti Urss-Cina, Kissinger, Nixon e Mao, le ricadute di queste relazioni nei partiti comunisti del globo che si dividono lungo le suddette linee di faglia, tra filo-sovietici e filo-cinesi, fino all’evento chiave del crollo dell’urss, con le conseguenze che provoca sulla geopolitica mondiale, alimentando scossoni non solo nell’Europa orientale ma anche negli stessi “spazi” dell’alleanza atlantica, Italia inclusa. Proprio da noi, agli inizi degli anni ’90, in virtù dei mutamenti dichiarati, scoppia tangentopoli, manovra giudiziaria con inneschi oltreoceanici che spazza via un intero gruppo dirigente, frettolosamente sostituito proprio dai nipotini dei piccisti, ormai dichiaratamente pro-Usa e liberali, e da quella sinistra Dc che, con la linea della fermezza (voluta anche dai comunisti), aveva condannato Moro a morte. L’anomalia berlusconiana (che raccoglie i voti dispersi dei socialisti e degli altri democristiani non di sinistra) impedisce al “disegno” di realizzarsi pienamente ma anche questo elemento di disturbo è divenuto oggi un fattore di decadimento del contesto politico italiano. Dalla crisi libica in poi, B. è diventato un alleato dei malfattori che ci portano alla rovina tra diktat di Washington e di Bruxelles, essendo anche quest’ultima un mero protettorato della prima, come ribadito da Bannon, ,o una creazione della CIA, come chiariscono documenti d’annata venuti a galla. Solo con una corretta interpretazione di tutti questi fatti è possibile orizzontarsi in tutto ciò che accade nella presente congiuntura, sotto i nostri occhi contemporanei che vedono un Paese, una volta dinamico e volenteroso, ridotto a divorare se stesso e i propri figli per allungare la sua agonia sotto il tallone di ferro americano. L’elezione di Trump alla Casa Bianca indica che la superpotenza sta cercando di attuare un mutamento strategico che non sarà privo di conseguenze, laddove l’azione riuscisse, anche in Europa. Ma questa è già attualità che ci riserverà molte sorprese. La lotta per il multipolarismo tra vecchi e nuovi protagonisti della scena planetaria è iniziata da poco ma gli effetti, caotici e destabilizzanti, si vedono eccome. Il monopolarismo americano non può conservarsi come in precedenza perché adesso ha sfidanti assertivi che si organizzano per insidiare il suo primato. E’ questa la massima espressione del conflitto che domina da sempre la società, quella dei paesi e dei loro Stati per l’egemonia mondiale.