IL PASTO AMERICANO, IL DIGIUNO ISRAELIANO
Venerdì prossimo Abu Mazen, leader dell’AP, chiederà all’Onu il riconoscimento dello Stato della Palestina. Per molti analisti si tratta di una forzatura, di un muro contro muro che infrangerà definitivamente le speranze palestinesi d’indipendenza dopo decenni di guerra e di occupazione, di un braccio di ferro pericoloso e pretestuoso che rischia d’incendiare il campo della riconciliazione, di una provocazione gratuita non solo contro lo Stato d’Israele, il quale ha pur sempre gravi responsabilità nel naufragio dei negoziati, ma anche contro gli Usa, i quali, almeno a parole (e Obama ne spara tante quanto i missili delle sue forze armate) stavano tentando di riallacciare i fili delle trattative tra le parti. Ma le cose non stanno esattamente così. Considerato che senza gli aiuti economici e senza il supporto politico statunitense Mahmud Abbas sarebbe già finito dietro le sbarre di qualche prigione islamica o sotto la stessa terra che tanto dice di amare, si comprende che questa mossa palestinese è stata concordata con la Casa Bianca. Quest’ultima sta realizzando un nuovo disegno geopolitico per il Medio-Oriente nel quale le pedine si muovono per traiettorie innovative e i rapporti di forzano si ridefiniscono, secondo schemi strategici ancora abbozzati ma non casuali. Dietro il caos delle rivolte arabe c’è un’architettura geopolitica in conformazione della quale sapremo meglio man mano che gli scenari andranno stabilizzandosi e gli eventi (per quanto possibile) placandosi. Certo, ci vorranno ancora mesi e anni, i tempi degli aggiustamenti, delle provocazioni, delle ribellioni, vere, fasulle o eterodirette, non sono ancora finiti ma, sostanzialmente, abbiamo compreso che la miccia del cannone in tutta la zona è stata accesa dagli Stati Uniti, i quali stanno riprogettando la loro supremazia nell’area in funzione di un diverso contesto multipolare. Al momento, il bailamme pseudorivoluzionario che ha squassato e continua a scuotere il mondo arabo, ci segnala che il cuciniere predominante sta predisponendo il suo banchetto planetario a base di egemonia e prepotenza, ma non è detto che lo stesso, a termine della cottura, avrà la saporosità che i suoi chefs immaginano. Ad ogni modo, l’unico ingrediente che tuttora non si abbina agli altri nella preparazione del piatto medio-orientale, perché ha un gusto troppo forte per la delicatezza della ricetta e per la giusta esaltazione dei sapori, è il ruolo d’Israele. Il governo di Gerusalemme è per gli Usa una spezia da dosare bene e da calibrare col peperoncino turco che si trangugia a piccole dosi, l’aglio iraniano che si digerisce a fatica e a seconda delle pietanze, il pepe nero siriano che si esporta in Russia e del quale non bisogna abusare e i correttori di sapidità delle petromonarchie fedeli della penisola araba. Insomma, checché ne pensino Netanyahu e Lieberman, è finito il tempo in cui il cuscus israeliano condito al veleno riempiva la bocca delle popolazioni vicine. Questo non vuol dire che Obama stia licenziando il suo ultradecennale aiutante in cucina, ma piuttosto che quest’ultimo dovrà, d’ora innanzi, condividere i suoi spazi e le sue provviste con altri camerieri. Come ha scritto in un recente articolo Thomas Friedman, il governo americano si è “stufato” dei leaders israeliani e delle loro lobbies che rendono pesanti ed indigeribili i suoi pasti mondiali. E considera anche fastidioso sedere in tavola con un commensale che ti alita sul collo mentre cerchi di goderti il desinare. Israele, se continua così, rischia sul serio di trovarsi a consumare la sua sbobba nella stanza di servizio senza convitati. Ciò pensa anche Friedman interpretando il menù di questo periodo scritto dall’amministrazione statunitense. Vi dico come credo si chiuderà tale convito solenne, dall’antipasto al digestivo. Probabilmente verrà a mancare il quorum in sede di Consiglio di Sicurezza e gli Usa non saranno nemmeno costretti a porre il loro veto. Oppure il numero legale ci sarà e gli Stati Uniti faranno il loro dovere bloccando l’istanza palestinese. In un caso come nell’altro, il messaggio e l’odore di cavoli amari sarà però giunto fino a Gerusalemme. Da adesso in poi gli israeliani dovranno essere più educati portandosi la forchetta alle labbra solo quando il padrone di casa avrà iniziato a masticare. Chi ha orecchi per intendere intenda e chi ha denti per mordere morda. Come si dice in questi casi “quando ha fame il cuoco c’è da scialar poco” ed il cuoco americano è attualmente affamato come un lupo.