IL PENSIERO “MERCATISTA” DI TREMONTI

L’ultimo libro di Tremonti “La paura e la speranza,” più che un testo scritto è un manifesto di etica politica, tanto è l’afflato mistico in esso trasmesso, in un tentativo di recuperare l’individuo insieme alla collettività, in un mondo perso dal consumismo e dalla globalizzazione. Non senza paventare una grave crisi finanziaria che potrebbe aprire una fase nuova e per certi aspetti drammatica, del tutto simile alla crisi del ’29; una conseguenza prodotta da una accoppiata, tra l’ideologia “mercatista” e la “magia della globalizzazione” che in questa fase recessiva globale risulta ulteriormente deteriorata dalla “tecno-finanza:” “una crisi non congiunturale ma strutturale, non limitata alla finanza ma estesa all’economia.” Il bagaglio culturale-politico di Tremonti spazia tra consumismo, liberismo e comunismo in un paradigma del mercatismo-(consumismo) (sintesi tra il liberalismo del mercato che risolve tutto e l’ideologia economica del comunismo che spiega tutto) “….un nuovo tipo di ideale di uomo-consumatore: l’uomo a taglia unica; fonde insieme consumismo e comunismo, e così sintetizza un nuovo tipo di materialismo storico: mercato unico, pensiero unico, uomo a taglia unica Un tipo umano che non solo consuma per esistere ma che esiste per consumare. Un soggetto che pensa come consuma e consuma come pensa…La realtà risiede sempre più nell’economia e l’economia è sempre più dominata da un pensiero unico che tende a travolgere e demonizzare fino, a cancellarle, le vecchie diversità, perché il consumismo funziona solo su scala di massa….Il Comunismo non è quindi finito, si è trasformato, ha stretto alleanza con il capitalismo, si è spostato in modo strumentale dal controllo dei mezzi di produzione al controllo prima dei prodotti e poi dei consumatori..” L’accordo del WTO (World Trade Organization) del 1994 a Marrakesh (Marocco) insieme alla caduta del muro di Berlino (1989) segnano il big-bang della storia contemporanea, nel passaggio fondamentale dal mercato unico europeo al mercato unico mondiale. In questo mercato (unico), l’Europa è stata “l’incubatore ideologico mondiale artefice e vittima al tempo stesso.
L’impianto culturale di Tremonti nella spiegazione della crisi risulta inficiato dai limiti posti nelle stesse premesse: un approccio sulla complessità del capitalismo colto nell’aspetto della circolazione delle merci e/o nell’accaparramento di esse attraverso il demone del consumismo, sotto il controllo di un potere che domina il mondo nelle sembianze di un vecchio/nuovo spettro che aleggia su di esso (comunismo). Un Tremonti da non prendere sul serio, per non offendere la sua intelligenza, più duttile sul versante delle cose più prettamente politiche; il comunismo di cui parla, è l’identificazione ideologica in toto della sinistra al capitalismo e con esso l’adesione tutta esteriore ai valori declinanti della società europea, in piena sottrazione di valori etici (il consumismo), ed in totale deresponsabilizzazione sociale; rimane sullo sfondo un linguaggio economico talvolta suggestivo, ma poco rappresentativo della realtà odierna: manca completatamene lo sfondo degli Usa nella loro presa sull’economia mondiale (Imperialismo).
Le cause della crisi, più che nell’economia, vengono ricercate nella perdita dei valori identitari del passato (famiglia…) e nel vuoto creatosi e occupato dal ”mercatismo” con il portato dei nuovi valori identitari; un’dea di globalizzazione estesa soltanto dal lato della circolazione delle merci che, con il controllo a senso unico del Denaro (Moneta Unica) e del Politico (Europa unita), fanno da collante; da tali paure nascono la speranze di Tremonti con la necessità di un superamento dell’ideologia mercatista attraverso una filosofia politica che sposti il primato dall’economia alla politica attraverso “le radici giudaico-cristiane dell’Europa… Per la difesa dell’Europa non basta il Pil serve un demos (popolo) …è una visione strutturata e stabilizzata della società: sicurezza sul lavoro, per fare una famiglia con i bambini,.. sicurezza portata dalla garanzia della legge e dell’ordine. Per il demos serve la politica, e alla politica servono tanto una cultura e uno spirito collettivo positivo – un ethos -, quanto il potere per affermarlo… Un nuovo ordine morale porta infatti con sé e naturalmente anche progresso economico La modernità assoluta della globalizzazione avrebbe dovuto portare con sé e decretare il trionfo della “sinistra”…. Ma la sinistra non è più il progresso e il progresso non è più a sinistra …la sinistra ha creato lo “Stato provvidenziale” …e tende a identificare ciò che è “pubblico” con ciò che è
“statale.”   L’individuazione dei valori identitari passa necessariamente attraverso una <
rivendicazione di potere >..Non importa che i valori che fanno o difendono l’identità siano o possano essere di sinistra o di destra,..quello che importa é che sono necessari.. Serve una visione che, a differenza di quella mercatista, non demonizzi lo Stato e la dimensione pubblica.”
Il pensiero di Tremonti, un po’ inedito ed enfatico nelle sorprendenti sollecitazioni etiche, aspira ad elaborare una intuizione politica, per tentare di sbrogliare una matassa intricata di sovrapposizioni politiche tra destra-sinistra, nei tanti cambi di casacca, nelle convenienze partitiche e tutte comunque interne alle stesse rimasticature ideologiche; un corpo politico-ideologico ormai spento che non è più in grado di esprimere alcuna spiegazione dei profondi cambiamenti geopolitici in atto: mi riferisco in particolare alla vetusta accoppiata ideologica del Liberismo (mano invisibile del Mercato)- Statalismo (Comunismo) che continua ad albergare ed a arrovellare, ed alquanto inutilmente, gran parte degli storici ed economisti. Si deve riconoscere a Tremonti, che rispetto ai politici nostrani (si pensi all’ineffabile “bamboccione” Padoan Schioppa già Ministro dell’economia del passato governo di centro-sinistra), qualche elemento di differenziazione lo dimostra, pur in un ambito interno ad uno disegno strategico Usa, e soprattutto in una sua più marcata autonomia politica, se non altro per l’elevata competetenza (del nostro) in materia economica che lo ha sempre contraddistinto; rimane, lo schiacciamento sull’”accoppiata ideologica”suindicata, ed entro cui la politica è costretta in territori conosciuti e circoscritti in cui risulta più facile muoversi “in vitro” affinché non si oltrepassi le temute “Colonne d’Ercole.” Non è facile dare vita ad un governo con l’occhio sempre rivolto alle clientele della cosiddetta democrazia parlamentare, ed al tempo stesso sopravvivere su una linea di galleggiamento avendo cura che la programmazione economica non affoghi prima ancora di cominciare a galleggiare. C’è in tutto questo, un drammatico continum tra vecchio e nuovo posto sotto la tutela Usa, attraverso il controllo del Capitale Finanziario in Italia consolidato dalle Banche d’Affari americane; un esempio di questi giorni: il Ministro dell’Economia (e del Tesoro) Tremonti ha ricevuto il passaggio di mano, dal fu defunto governo di Centro-Sinistra, per la “raccolta ordini per il global bond (prestito pubblico mondiale) emesso dalla Repubblica Italiana” per la modica cifra di 2,5 miliardi di dollari, e guidato (nella raccolta) dalle solite ed onnipresenti banche d’affari americane, Goldmann Sachs, JP Morgan, Merril Lync. A ciò si può aggiungere la annunciata centralizzazione al Ministero del Tesoro dei “contratti derivati” di tutti gli Enti Locali (da leggere: Socializzazione delle perdite o dei debiti) per decine di miliardi di euro; versione quest’ultima di una messa a regime di un moderno Neostatalismo, in vista del “Federalismo fiscale solidale”? Staremo a vedere. Le prove generali per il governo (Berlusconi) sono iniziate; rimangono gli irrisolti problemi di fondo, nel coacervo dei forti interessi che si sono espressi nelle alternanze storiche tra il Liberismo e Statalismo vero e proprio “nodo gordiano” di ogni politica economica non solo italiana.
Il Liberismo come lo Statalismo hanno rappresentato nel secolo passato e fino ad oggi, l’aspetto bifronte nella soluzione dei problemi delle crisi economiche di ogni paese (almeno per quanto riguarda la parte Occidentale Europea); nella fase dello sviluppo si dava libero corso alla mano invisibile del mercato, con riposizionamenti strategici delle imprese attraverso un maggiore liberismo, grazie all’allargamento dei mercati ottenuto il più delle volte con il presidio delle armi. Viceversa, al verificarsi dello stallo competitivo delle imprese, lo Stato si fa garante della ripresa economica con finanziamento alle aziende in crisi attraverso marchingegni fiscali, ed una redistribuzione di redditi ai dominati in misura sempre minore, coadiuvata in ciò dagli apparati statali sindacali-partitico, che nella cogestione dello “Stato Sociale” con sanità e pensioni, imbrigliano la Spesa Pubblica sulle necessità storiche dei limiti invalicabili del nuovo Dio, nel rapporto ”Deficit/Pil” secondo i sacri principi degli accordi internazionali di Maastricht. Nel contempo si cerca di incanalare il conflitto sociale in aspettative mitologiche e transeunte per una ragione più di fondo da difendere: il ritardo storico del sistema competitivo dell’impresa europea nella stretta dipendenza nei confronti di quella Usa. Su questo ritardo, l’assistenza dello Stato alle imprese svolge non solo una assistenza diretta al finanziamento attraverso il fisco (defiscalizzazione) ma anche indiretta nel liberalizzare il Capitale Finanziario allargando gli spazi
alla concorrenza internazionale finanziaria, con leggi ad “hoc,” mirate a fusioni e concentrazioni bancarie con l’aiuto (secondo gli indirizzi) delle grandi Banche d’affari Usa, punte di diamante per la penetrazione ed il controllo finanziario delle imprese europee.
Ben si comprende come il mix storico finora riuscito è lo Statalismo (Socializzazione delle perdite) combinato al Liberismo (Privatizzazione dei profitti); il classico “stop and go” dell’economia, non si può pensare l’uno interamente scisso dall’altro. Tra l’altro questo spiega la forma partitica assunta dalla politica nella Destra(Liberismo)-Sinistra(Statalismo) diventata negli ultimi due secoli, un tormentone storico, vera e propria mistificazione ideologica ad uso e consumo dei dominanti nei confronti dei dominati.
G.D. maggio ‘08