IL PIVOT DI WASHINGTON IN ASIA DELUDE DI NUOVO
[traduzione della Redazione da: Washington’s Pivot to Asia Disappoints Again | Stratfor]
Il “cardine” degli Stati Uniti in Asia ha subito un altro colpo da parte della politica interna. Alla Camera dei Rappresentanti, 151 democratici hanno scritto una lettera aperta al presidente Barack Obama giovedì esortandolo a non perseguire la corsia preferenziale [fast track – NdR] per l’approvazione degli accordi di libero scambio. L’autorità per la promozione del commercio negherebbe al Congresso la possibilità di modificare gli accordi commerciali internazionali negoziati dal ramo esecutivo quando sono sottoposti a votazione. La facoltà dell’esecutivo di accelerare gli accordi commerciali attraverso l’altrimenti difficile processo di ratifica è decaduta nel 2007, ma la Casa Bianca e i suoi sostenitori del Congresso stanno ora tentando di ripristinarla.
La Casa Bianca vuole facilitare il passaggio della Trans-Pacific Partnership, meglio conosciuto come il TPP, un piano per consentire agli Stati Uniti e ad altri 10 paesi del Pacifico non solo di scambiare merci con tariffe prossime allo zero, ma anche di trattare più liberamente servizi, investimenti, progetti pubblici e proprietà intellettuale, riducendo le barriere commerciali non tariffarie. Mentre il Congresso è riuscito nel tempo a far passare tre accordi commerciali senza il fast track (con Panama, Colombia e Corea del Sud nel 2011), il TPP è tuttavia così vasto e controverso che i suoi negoziatori temono che gli emendamenti del Congresso possano mandare all’aria gli impegni presi con qualcuno degli altri 10 membri e fermare l’affare.
Il TPP è stato spesso indicato come l’agenda commerciale del nuovo impegno di Washington con la regione Asia-Pacifico. L’accordo esclude la Cina, mentre include il Giappone e cerca di attrarre ulteriormente stati come la Malesia ed il Vietnam nell’orbita del sistema economico statunitense. Ma questa descrizione non coglie il punto. L’accordo esclude anche più antichi alleati di Washington nella regione – la Thailandia e le Filippine – e rappresentanti sia cinesi che statunitensi hanno manifestato la volontà di lasciare aderire la Cina. Lo scopo di Washington non è stato mai di tenere fuori la Cina definitivamente, ma di fissare delle regole che la Cina o qualsiasi altro paese che volesse aggiungersi in seguito fossero obbligati a seguire.
Recentemente la spinta a concludere l’accordo entro la fine dell’anno ha incontrato diversi ostacoli, prima ancora che i democratici si dividessero sulla questione. A livello globale, è un momento difficile per i politici per fare concessioni straordinarie per quanto riguarda le loro economie nazionali. Volatilità e incertezza li hanno indotti a riconsiderare l’intento di cedere le proprie prerogative su appalti pubblici, regimi regolamentari e altre leve che sono particolarmente utili per stringere la presa sul potere.
Infatti, potenti fazioni si sono levate contro l’accordo in ogni paese e, proprio come gli Stati sviluppati sono diventati più preoccupati di dover diluire gli elementi più aggressivi dell’accordo al fine di favorire piccoli giocatori con un coinvolgimento pesante dello Stato nelle loro economie, così anche gli stati più piccoli sono diventati più dubbiosi sul fatto che i grandi giocatori ridurranno le proprie protezioni statali. Poiché l’opposizione si è ripresa, gli Stati Uniti non sono stati capaci di dissipare le preoccupazioni – nel mese di ottobre, lo shutdown ha costretto Obama ad annullare il suo viaggio in Indonesia, dove aveva intenzione di mostrare l’accordo ai leader mondiali.
Ciò non vuol dire che il TPP è morto in culla; ha ancora una buona possibilità di passare alla fine dopo un compromesso dei negoziatori sull’ambiziosa versione originale. Gli Stati Uniti vogliono continuare a sfruttare la rapida crescita dell’Asia e dell’America Latina e sanno che possono contrattare con i loro partner commerciali sulla base del loro vasto mercato di consumatori. In qualche modo il TPP riflette il più ampio problema della narrazione che circonda il cardine [asiatico – NdR] degli USA. La regione è in continua evoluzione e gli Stati Uniti di conseguenza stanno aggiornando le proprie priorità, e non c’è molto di più.
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